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Ci sono 4 commenti relativi a questo articolo

Commento 93 di Giovanni Bartolozzi del 10/04/2002


Premetto che il commento, forse troppo lungo e noioso, frutto di piccole riflessioni che, traendo spunto dallo scritto del professor De Sessa, tentano di esprimere la straordinaria capacit di rinnovamento del pi grande architetto europeo, e di rispondere, deviando leggermente il discorso, alla domanda che De Sessa si pone in fondo al Suo scritto.
Per una strana coincidenza, da qualche giorno, non faccio altro che pensare a Le Corbusier, essendo tornato da una vacanza in Francia e avendo fatto tappa a Poissy.
Fino a pochi giorni fa, credevo che villa Savoye fosse semplicemente una scatola, sospesa tra terra e cielo e tagliata da una lunga finestra a nastro.
Ammetto dessere ancora oggi sbalordito da quanto ho visto dentro la scatola. Percorrere la villa Savoye unesperienza indimenticabile, formativa, consente in pratica di scoprire la concezione spaziale che vi racchiusa, ingabbiata. Lo spazio magistralmente concepito, dentro e fuori si fondono in uninsolita simbiosi apparentemente celata dalle quattro facciate e quasi temporalizzata (grazie alla rampa). Gli ambienti sono incastrati in modo da creare una sequenza dascensione verso il tetto giardino, punteggiata da viste antiprospettiche e dalla continua percezione, mediante finestre vetrate e lucernari, del verde circostante. Salendo la parte finale della rampa, in prossimit del tetto, viene quasi voglia di gridare e saltare.
In sostanza un vero e proprio capolavoro che incarna in modo esemplare e completo i famosi cinque punti. Ho quasi la sensazione, che a livello spaziale, la villa Savoye, rispetto alle precedenti opere, abbia qualcosa in pi dei famosi cinque punti, che anticipi, in qualche modo, ed esclusivamente sotto laspetto spaziale, i cambiamenti futuri.
Naturalmente, questa una sensazione personale, dovuta probabilmente allentusiasmo nellaver scoperto e toccato con mano la villa Savoye.
Certamente dal punto di vista linguistico, e non solo, il cambio di direzione, o meglio, la sterzata evidente. Basti pensare, allo choc che provoc Ronchamp a tutti i seguaci di L-C (e negli anni 50 erano veramente tanti) e ai critici del periodo.
Bisogna anche tener conto della novit e della diversit del tema edilizio che caratterizza Ronchamp rispetto alle precedenti opere: non pi lotti predefiniti e ville per banchieri, pittori, artistima un luogo di preghiera, svincolato da programmi rigidi e soprattutto immerso nel verde, tra vallate e colline. Un altro aspetto, inoltre, pu offrire uninteressante chiave di lettura, soprattutto per un architetto veramente sensibile e ferratissimo nellassorbire i mutamenti della societ: gli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale.
Com' noto, infatti, L-C trascorre questi anni, tra i Pirenei e Parigi, in una sorta disolamento, lavorando ai piani urbanistici, al modulor, facendo qualche viaggio e soprattutto dipingendo, attivit questultima che accompagner tutta la sua carriera. Stranamente, in questo periodo di relativa pausa, i dipinti di L-C riproducono mostri biomorfi. Il cambio di direzione si coglie, infatti, con uno scarto sostanziale, anche da questi ultimi dipinti che si presentano ben diversi dai primi geometrici, colorati, puristi e dunque idonei a rappresentare, mediante forme pure, let della macchina.
A questo punto potrebbe essere utile e nel nostro caso risolutivo, il concetto di modernit inteso come continuo tentativo dazzeramento del linguaggio. Senza dubbio L-C, dopo un periodo di crisi, dovuto allisolamento, alla guerra, agli insuccessi dei suoi piani urbanistici, a quelli del modulor e dei concorsi di New York e di Ginevra, azzera completamente il linguaggio rinnegando, soprattutto a Ronchamp, tutte le teorie elaborate precedentemente. Ronchamp potrebbe essere dunque riletta come il frutto di un lungo periodo di crisi, per L-C molto formativo; allo stesso modo, un altro azzeramento potrebbe essere rivisto nel 58 con il Padiglione Philips, seguito ad una serie di lavori che mostrano, ancora una volta, un tono pi sereno rispetto alla successiva esplosione di Bruxelles.
Sarebbe interessante osservare, da una certa distanza, tutta la carriera di L-C, per esempio partendo dalla Villa Schwob del 1916, fino al padiglione Philips del 1958. Basterebbe, confrontare questi due edifici, visualizzando, naturalmente, tutte le tappe intermedie, per rendersi conto di quante volte L-C si sia messo in discussione, generando un processo evolutivo che dovrebbe far rabbrividire tutti coloro che si fossilizzano per tutta la vita, o per buona parte, dietro un mucchio di teorie e di formule che, nella loro illusoria e apparente universalit, ignorano il continuo avanzamento della societ.
Ci, a mio modo di vedere, implica un atteggiamento veramente coerente rispetto al mestiere dellarchitetto e il concetto di modernit consente di soffermarsi, non tanto sul motivo del generoso cambio di direzione, di cui Ronchamp forse il segno pi evidente ma non lunico, quanto sul filo conduttore sommerso e non evidente. Tale filo, sidentifica, infatti, con la continua speranza di poter cambiare la societ, magari progettando, soprattutto durante la guerra, degli alloggi comodi, economici, e immersi nel verde, cos come tent di fare battendosi per la costruzione delle Unit dabitazione e in mille altre occasioni, oppure per quanto ci riguarda pi da vicino (vedi lospedale di Venezia) progettando delle stanze di degenza per i poveri uguali a quelle dei ricchi.
Dunque, un filo conduttore fortemente umano, pregno di valori, di altruismo e democrazia.




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Commento 97 di Domenico Cogliandro del 24/04/2002


Fuochi fatui
di Domenico Cogliandro

Ho letto il testo di De Sessa su Ronchamp. Ho letto lintervento di Giovanni Bartolozzi. Bene. Sono rimasto sorpreso, di come la storia delle cose affiori sempre e in maniera radiale dalle cose stesse. La storia delle cose circola e vive delle cose che la rendono tale. Ricordate il piccolo principe e la sua rosa? Bene. Io non credo nella figura meramente intellettuale di Le Corbusier, credo piuttosto nel suo voler essere a tutti i costi una sorta di animale da cantiere. Una di quelle bestie che nascono in cattivit e poi, fuori, perdono il senso dellorientamento o la loro naturale aggressivit. Fuori dal cantiere Le Corbusier un teorico, gioca con gli slogan, ricicla la vecchia storia delluomo inscritto nel quadrato cambiandone i presupposti, un abile promotore di se stesso, si vende al miglior offerente (non sono ignoti i suoi spostamenti politici a seconda del tirar del vento), riscrive almeno sei volte una sua teoria urbanistica in sei testi che hanno sei titoli diversi ma, a ben guardare, sono sempre lo stesso testo. E quello che fa un leone rimesso a cercare di vivere nella savana, si guarda un po in giro, pascola lerbetta, beve stancamente ad una pozza dacqua, se il caso ed spinto da una fame atavica si mette a cacciare, ma senza molta convinzione. Quando lo si rimette nellarea protetta diventa un altro, riesce a cacciare, pure, e con convinzione.

Attenzione a Ronchamp. Non un gioco formale che sta fuori dalle righe, un vezzo adamantino per confondere i propri seguaci (mossa, peraltro, poco conveniente) e per sviare i propri avversari, non nemmeno lerrore di percorso che conferma la regola. E un pi sottile artificio. La piccola cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp, luogo pi ameno che mai, andateci e capirete, paesino cot de la Suisse, la piccola cappella, dicevo, pone almeno tre questioni, che dir senza svelare nulla, perch su questa opera sto preparando un pamphlet nel quale verranno poste in maniera pi netta. Comunque, sto qui a scriverne non per puro piacere della scrittura (anche!) ma perch una banale incertezza percorre i testi letti. Lopera darte dellanimale da cantiere Jeanneret va attraversata. Lerrore fatale in cui si cade quello del cincischo. Si legge di unopera, se ne guardano le fotografie, si studiano con attenzione voyeuristica i disegni (tutte le versioni, i passaggi lievi dalla prima allultima) e poi si dice che questopera da buttare o che una geniale idea di proposizione dello spazio darchitettura, o ancora che esiste un forte parallelo organico tra le forme di natura e loggetto chiesastico di Ronchamp. Balle.

Quello che si vede non sempre vale quanto ci che . Le riletture che spesso si fanno sono letture di letture, dove anche la fotografia una mediazione e guarda quel che vuole guardare tralasciando altro che sta nel contesto, che il contesto. La butto l. Chi ha visitato il castelletto federiciano a Castel del Monte, in Puglia, retro dellun centeuro italiano, non ha potuto fare a meno dal rimanere incantato di due cose, tra le molte: il pozzo di luce centrale (la corte ottagona) e la collocazione del fortilizio rispetto al territorio. Due punti di vista che consentono di traguardare, di misurare, una cosa rispetto ad unaltra. La volta celeste (e tutta la cosmogonia magica e scientifica medievale ad essa legata) costretta, se cos pu dirsi, a passare dentro locchio ottagonale della corte, misura del tempo e misura dellincommensurabile infinito; lorizzonte libero, allesterno, e lospite architettato ad interromperlo, ma in una speciale maniera: la collina che sostiene il castelletto , da qualunque lato la si guardi, sempre un tronco di cono e la natura, per quanti scherzi possa fare, non ha labilit di realizzare in maniera cos unica ed elegante una forma geometrica pura, su cui si possa incistare, per magia, proprio quella curiosa architettura che alla natura guarda affascinando e affascinandosi.

Chi giunge a Ronchamp da Belfort pu cogliere la medesima sorpresa di trovare quella piccola cosa bianca lass, appuntata come un cameo alla verdeggiante collina della bassa Francia, collina di minor fascino che la brulla e desertica Puglia, seppur ammantata di faggi e olmi. La relazione che crea loggetto nel paesaggio, mi si scusi il bisticcio, non di tipo paesaggistico. Direi, in maniera sfrontata, che a Le Corbusier del paesaggio non gliene importa un fico secco, del paesaggio in s, voglio dire, come oggetto di culto romantico. Ha a cuore piuttosto una relazione forte tra gli elementi naturali che costituiscono una pietra filosofale per larchitettura (la luce, il vento, la pioggia), essi elementi forti del paesaggio, non il paesaggio in s, e la conformazione dellarchitettura stessa, da non confondersi con la forma, astratta e pura. E la relazione tra le cose che importa, delle cose Le Corbusier se ne sbatte. La sua grande abilit, piuttosto, consiste nel riuscire a vendere una architettura in funzione del senso da essa evocato che in funzione del suo rapporto con lambiente, cosa che cozza con le mie ipotesi, ma ben venga se c da rimettere qualcosa in discussione. Per dirla tutta, la Chapelle si sarebbe potuta realizzare, indifferentemente, a Chandigarh (e anzi il sospetto che da l sia stata sottratta potrebbe aprire ad una ricerca interessante) visto che, tutto sommato, i due progetti, e le due realizzazioni, sono quasi contemporanei. Ad una latitudine diversa da quella nella quale adesso si trova, avrebbe funzionato perfettamente, come un orologio.

La forma dellarchitettura, di cui si parla quando si parla di Ronchamp un falso dio. Lo stesso architetto, o intellettuale, svizzero non ne parla quasi mai. I cinque punti, benemeriti, sono elementi di un programma politico per la casa dabitazione, non certo sollecitazioni formali da tenere in considerazione ogni qual volta si deve far qualcosa di abitabile utilizzando cemento, mattoni e calce. Della forma organica, o presunta tale, ne parla la critica, o i detrattori. Ma un falso problema, larchitettura non accostamento di forme, non lo tuttora, ma la risoluzione di un programma fatto di tempi, di misure, di costi, di soluzioni tecniche e di invenzioni strutturali. A tirare a sorte le vesti macchiate di sangue non si fa un buon affare. E comunque un affare che ha vita breve. Per questo motivo ritengo che Le Corbusier voglia a tutti i costi confrontarsi in cantiere con le cose, perch sa che le cose sono fatte di tempo e che alluomo non dato di essere eterno, per cui quello che va detto deve esser detto bene, e talvolta non deve esser detto tutto. Si faccia caso solo a due indizi, e con ci lancio un sasso che non faccio cadere. Due indizi letterari. Sul progetto di Ronchamp esiste un librino edito in Germania e tradotto in Italia, nel 1957, da Giulia Veronesi. Un librino impaginato personalmente da Le Corbusier, dentro il quale il peso delle immagini, foto e disegni, vale 90 e il testo, su 100, vale 10. Troppo silenzio per un teorico chiacchierone come Le Corbusier. Lincipit dice: La chiave la luce. Bene. Dentro il secondo libro dedicato al Modulor, che edit in Italia Mazzotta, sino a qualche anno fa, un paragrafo appartiene a Ronchamp. Ecco, in un libro che tutto calcoli matematici, digressioni geometriche e asserzioni di pro e contro il Modulor, lui se nesce con quattro pagine striminzite in cui ci viene a raccontare che Ronchamp non unopera tecnica in cui, sfrontatamente, si sperimenta un certo modo di utilizzare la struttura in cemento armato e secondo proporzioni e rapporti fra parti da far impallidire Einstein, ma che una parentesi poetica, realizzata con la mano sinistra, mentre con la destra stava progettando Chandigarh, cos, per caso.

Attenzione, attenzione, lomino furbo. Almeno quanto quello a cui viene commissionata una fontana e se ne esce con il progetto per una citt di tre milioni dabitanti. C da fidarsi poco delle apparenze, certo pochissimo di quel che appare e di cui si parla senza aver pedantemente seguito le orme sul luogo del delitto. A far cos non si fa che confondere le tracce

Tutti i commenti di Domenico Cogliandro

 

Commento 1416 di guidu antonietti di cinarca del 22/09/2006


" Moi Architecte
Je suis Charles Edouard Janneret
Dit Le Corbusier
Le pote de l angle droit
On mappelle aussi le fada calviniste
Je me prtends pourtant athe
Et jai mme un jour affirm
Que les cathdrales taient blanches !
Il ne faut pas abuser du corps
Faute de se retrouver arc bousier
Car le cor bu...zi, oyez ! "


Ce pome lettriste est de - Sorcier bleu - (anagramme de Le Corbusier)
il est illustr de quinze aquatintes numriques originales
que lon peut voir sur aRoots
ici :
http://www.aroots.org/notebook/article186.html

Amicizia
Guidu Antonietti

Tutti i commenti di guidu antonietti di cinarca

 

Commento 9244 di giovanni barsacchi arch. del 17/01/2011


Mi sembra una giusta lettura di Ronchamp,avrei solo aggiunto qualche riferimento ad alcune opere realizzate da Corbu a Chandigaar,dove la poetica del Maestro trova assonanze ed echi che ci rimandano a R.

Tutti i commenti di giovanni barsacchi arch.

 

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