Saggio su Eisenman
di Sandro Lazier
- 11/9/2001

"Peter Eisenman - Trivellazioni
nel futuro" di Antonino Saggio non è solo un testo
importante e penetrante per la conoscenza di un architetto contemporaneo.
E' un testo soprattutto illuminante. Ringraziamo Antonino Saggio, autore del libro a
cui si riferisce l'articolo, che ci ha consentito di pubblicare
il link dal quale si può accedere al testo nella versione
precedente a quella poi pubblicata. Tale testo è preceduto
dalla seguente prefazione: <>
Pochi autori, nel marasma di parole che dicono, disegnano e fanno l'architettura,
sanno accendere la lampadina della comprensione portando luce su improbabili
e nuove prospettive Quindi merito a un grande Saggio.
Due aspetti in particolare mi tornano rischiarati e proverò in
poche righe a definirne i tratti.
Il primo riguarda il tragitto progettuale dell'architetto Eisenman il
quale, dalla necessità di mettere alla porta "l'uomo"
della centralità rinascimentale, si ritrova in casa l'uomo individuo
della condizione contemporanea. Un percorso limpido e rigoroso, tutto
dentro i limiti della ragione, intesa come costante e cosciente controllo
del progetto, del fare, del divenire. Una ragione sollecitata e posta
ai limiti di rottura, nel senso di quella crisi che L. Kahn consegnò
alla coscienza degli architetti e nella quale egli stesso sprofondò
senza soluzione.
La necessità di un sentire oltre la funzione pratica (meccanica
e psicologica caratteristica della modernità) è il nucleo
della crisi. Crisi a cui la ragione impone l'esigenza di restare all'interno
del paradigma architettura, con le sue proposizioni, locuzioni e vocaboli
drasticamente rinnovati dai maestri del primo novecento. Ma questi avevano
demolito con successo tutto l'armamentario tipologico e decorativo precedente
proprio in virtù della funzione pratica, riscrivendo l'intero modello.
La crisi è dunque palese, forte perché contraddittoria:
da un lato, per salvare il paradigma, occorre negare la funzione con quella
stessa funzione che ha determinato la forma; dall'altro non rimane che
il relativismo oppure lo storicismo, il recupero del vecchio armamentario,
la rassegnazione e la sconfitta. L. Kahn scelse la prima strada, un vicolo
senza uscita, un circolo ricorsivo dove il soggetto, per divenire, deve
escludere sé stesso e dove, infine, la sola decisione possibile
sta nel reset di tutto il sistema. Spenta l'intelligenza il mondo dell'architettura
si avvia lungo la seconda strada.
P. Eisenman, consapevole del paradosso, fa una scelta più radicale.
La funzione, pilastro intorno al quale poggia tutta la struttura del razionalismo
rigoroso, ha le sue radici lontane nel tempo. L'uomo al centro del mondo
è un'idea rinascimentale. L'uomo soggetto (variabile indipendente)
e l'architettura oggetto (variabile dipendente) è idea del razionalismo
che dà luogo alla funzione. L'uomo è sempre soggetto, nel
rinascimento come nel mondo dei razionalisti quindi, dice Eisenman, non
c'è stata nessuna vera rivoluzione. Con atto estremo, ad altissimo
rischio, l'architetto annienta il soggetto e, quindi, la funzione, perdendo
una variabile fondamentale, si dissolve come un'equazione dal dividendo
nullo. Cosa resta? Una infinità di soluzioni arbitrarie, una voragine
intellettuale che rischia di negare senso e significato alla storia e
alla stessa architettura. Una voragine possibile da superare solo introducendo
una nuova variabile, mai sperimentata prima; il movimento. Ed è
la soluzione. La funzione da lineare, meccanica, si trasforma in ricorsiva,
non lineare, complessa, dove di volta in volta la variabile cambia perché
è risultato della precedente interazione. Ed è qui che rientra
l'uomo, non più entità astratta, ideale e sovrastorica,
ma individuo che sceglie e determina il risultato di ogni movimento successivo.
Il controllo del progetto è salvo perché la ragione si concede
al mutamento e si storicizza nel senso più nobile del termine.
Finalmente una ragione che comprende la complessità, che rinuncia
all'apriorismo della linearità a favore del discontinuo, del mutevole,
del contingente e che ha coscienza della necessità di un elemento
imprevedibile, instabile: l'uomo individuo.
Il secondo aspetto riguarda un tema che mi sta molto a cuore: l'attualità
dell'espressionismo.
Se una sottile ragione e un raffinato intellettualismo hanno salvato P.
Eisenman dalla sciagura del paradosso, lo stesso non è uscito immune
dall'insolenza dell'arbitrio. Una parte fondamentale di individualità,
quindi di arbitrio, è necessaria per far funzionare il suo sistema
e questa parte inesorabilmente lascia un segno. Un segno personalissimo,
suo e basta, riconoscibile e inimitabile.
Il segno è esperienza di chi scrive, non ha neutralità e
appartiene alla coscienza e consapevolezza della condizione individuale;
è espressione del proprio sentire.
Certo, rispetto al lavoro di P. Eisenman, l'espressionismo spaziale di
F. O. Gehry è manifestamente lampante, ma la diversità tra
i due è, secondo me, culturalmente compatibile.
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