Commento di Pierluigi Di Baccio all'articolo No al catechismo conservatore
Commento all'articolo
No al catechismo conservatore di Mariopaolo Fadda
Commento 546 inviato da Pierluigi Di Baccio
...
Questo in realt non un commento all'articolo di Mariopaolo Fadda, anche se di spunti di riflessione e critica nell'articolo ve ne sarebbero eccome... Molto pi modestamente, in occasione della prossima riapertura al pubblico del Teatro la Fenice a Venezia, ritenevo utile ed interessante proporre qui un articolo apparso sul sito on line de La Repubblica a firma di Alessandro Baricco, per tutti coloro che se lo fossero persi. Credo che il caso della Fenice potrebbe fungere assai bene da pretesto per una discussione approfondita e stimolante su ci che significa per noi tradizione e avanguardia, conservazione e innovazione oggi in architettura e non solo.

La Fenice che risorge copiando se stessa
di ALESSANDRO BARICCO
AVREI da raccontare una follia. Non che ne manchino, di follie, di questi tempi. Ma questa ha una sua eleganza impareggiabile e inoltre sembra pi istruttiva di altre. Se il mondo ammattisce, che almeno lo faccia con charme e in modo utile. Dunque. Com' noto, il 29 gennaio del 1996 il teatro La Fenice, a Venezia, se ne spar ingoiato da un incendio colossale.
Fu un brutto colpo. Per chi ama l'Opera quella era una delle quattro, cinque sale pi importanti del pianeta. E se ne era bruciata via come un cerino. Adesso sappiamo che fu un incendio doloso. La ditta di elettricisti che stava lavorando al nuovo sistema antincendio (pensa te) provoc l'incidente perch non era in grado di finire il lavoro entro una certa data e quello era un modo di rinviare la faccenda senza pagare una penale che li avrebbe rovinati. Va detto che probabilmente si immaginavano qualcosa di pi piccolo, un incendietto circoscritto, una fiammatina. Gli and male. Nessuno riusc a fermarlo, e il teatro se ne and in fumo, letteralmente. A Venezia reagirono con compostezza.
"Dov' era, com' era", decretarono, dando per scontato che dal giorno dopo si sarebbero messi l a ricostruire. "Dov' era, com' era" era uno slogan inventato anni prima in una circostanza analoga: nel 1902 era collassato il campanile di San Marco (senza l'aiuto di elettricisti, aveva fatto tutto da s: non ne poteva pi) e si era aperto un dibattito su che fare.
Risultato: ricostruirlo identico a prima e nello stesso posto. In quel caso, come d' altronde anche in quello della Fenice, la cosa sapeva di buon senso, e di veneto pragmatismo. Magari per un attimo ti puoi sognare di chiamare un architetto giapponese e farti costruire qualcosa di avveniristico su un'isola artificiale in mezzo alla laguna. Ma poi abbastanza ovvio che lasci perdere e cerchi solo di non fare troppi guasti. E la soluzione pi logica effettivamente rimettere tutto a posto come prima.
Ha tutta l'aria di essere una soluzione di puro buon senso: mi ha affascinato scoprire come, invece, sia il lieto ingresso in una follia. Provo a spiegare. Cosa davvero significhi "Com' era, dov' era", l'ho capito solo quando mi hanno invitato a fare un giro nel cantiere della ricostruzione. Il teatro riapre il 14 dicembre, quindi l dentro erano al rettilineo finale. Muri, impianti, perfino i colori, erano gi a posto. Stavano dandosi da fare sulle decorazioni. Sorvolo sull'emozione di rientrare in quella sala come se nel frattempo non fosse successo nulla: strano loop dell'anima.
E invece non sorvolo sul fatto che a un certo punto mi son trovato in una sala di quelle tipo foyer, quelle in cui poi tu passi distrattamente con un bicchiere in mano, durante l'intervallo, cercando uno specchio per controllare se la cravatta ti andata di traverso. L trovo due artigiani al lavoro. Stanno facendo le decorazioni di stucco, sulle pareti. Ghirigori e animali. Uccelli, per la precisione. Li stanno rifacendo: com' erano, dov' erano.
Voglio dire che se avevano il becco verso sinistra lo rifanno con il becco a sinistra. Se la zampa era un po' sollevata, fanno la zampa sollevata. importante chiarire che, stando alla realt dei fatti, uno pu andare a teatro per anni, in quel teatro, e quegli uccelli non li vedr mai: non si accorge che esistono, sono decorazioni che non ti entrano mai nella retina e nella memoria. A meno che qualcuno non ti prenda il cranio e te lo spacchi sbattendolo proprio contro quegli uccelli, tu gli uccelli non li vedrai mai. Ma loro li rifanno uguali.
Com' erano, dov' erano. Naturalmente finisci per chiederti come lo sanno, dov' erano e com' erano. Fotografie. Solo che, ovvio, nessuno si era mai preso la briga di fotografare proprio gli uccelli, sarebbe stato come fare un ritratto a Marylin Monroe fotografandole un'unghia dei piedi laccata. Quindi le foto, quando va bene, riportano l'intera stanza, e tu, con la lente vai a cercare se quell'uccello, l, in quell'angolo, ha la zampa su o gi. E se la foto non c' ? Chiedere a chi era passato da l inutile. Uccelli? Quali uccelli? Allora puoi leggere ci che l'incendio ha lasciato: un'ombra, un rimasuglio annerito, una scheggia. Quella mattina, quando son finito in quella stanza, lo stuccatore capo (un genio, nel suo) aveva appena finito di leggere detriti del genere, riuscendo a dedurre, da un'ombra lasciata dalle fiamme, che gli uccelli di quel pannello erano falchi, deduzione fatta a partire dalle dimensioni delle zampe, zampe robuste, da rapace.
Non c' foto, il fuoco s' mangiato tutto, ma lui adesso l che fa un becco da falco, com' era e dov' era, perch un'ombra di una zampa gli ha svelato il segreto. Allora uno sar portato a credere che quegli uccelli abbiano, in qualche modo, un valore artistico unico, che va salvato. Posso dire in tutta tranquillit che non cos. In s e per s quegli uccelli hanno il valore artistico degli inserti in radica che trovate sui cruscotti delle macchine. Decorazioni. E nemmeno geniali, o rivoluzionarie o in qualsiasi modo significative. Volete sapere tutta la verit? Gli uccelli bruciati con la Fenice erano gi, a loro volta, delle copie. E' una storia assurda, ma vera.
L'ultima volta che ricostruirono la Fenice, nel 1854, dopo l'ennesimo incendio, l'idea che ebbero fu di costruire un teatro settecentesco, cento anni dopo. Una cosa da Las Vegas. Presero un teatro settecentesco e lo copiarono. Per cui, a voler essere precisi, quella mattina, quell'artigiano, sotto i miei occhi, stava facendo la copia di un uccello che era una scopiazzatura di un uccello che, lui s, era un originale, almeno 200 anni fa. E' l che ho sentito arrivare il profumo di follia. Quando mi son reso conto che pi o meno la stessa storia degli uccelli valeva per le lampade, per le pitture, per gli specchi, per i pavimenti e per tutto, ho capito che stavo girando non in un teatro, ma in un racconto di Borges.
Con cura maniacale, alcuni geniali umani spendevano un numero di ore spaventoso usando un sapere tecnico affinato per secoli, con l'unico scopo di raggiungere un obbiettivo apparentemente folle. Ce n' era abbastanza per indagare. Ed l che son finito al reparto dorature. La cose stanno cos: se volete dorare qualcosa potete immergerlo in un bagno d' oro ed quello che fanno a Las Vegas. Oppure volete farlo esattamente come lo facevano nel 1854: e allora quel che usate sono impalpabili fogli d' oro grandi come sottobirra: uno ad uno, per ore, li lasciate cadere sulla superficie che volete dorare.
Provate a immaginare di dorare cos la vostra vasca da bagno: un'eternit. Beh: quelli hanno dorato la Fenice. Allora ho pensato che quel gesto era davvero un gesto che volevo gustarmi tutto, dall'inizio alla fine. E ho chiesto: ma chi fa questi fogli d' oro? Una settimana dopo ero da Giusto Manetti. Giusto Manetti non c' pi ma era uno che nel 1820 si mise a fare oro in foglia. A Firenze. Dopo cinque generazioni sono ancora l, con lo stesso cognome e un sapere affinato nel tempo fino alla perfezione. Praticamente se il gioco quello di ridurre un lingotto d' oro a un fogliettino leggero come una zanzara, loro in quel gioco sono i migliori del pianeta.
C' un tedesco che non se la cava male, ma insomma, i migliori sono loro. Sono andato nei loro laboratori perch nelle miniere d' oro non sono riuscito ad andare: ma l'idea era di ricostruire una follia dall'inizio alla fine. Come un viaggio. Pronti a partire? Dunque: la miniera purtroppo dovete solo immaginarvela. ma immaginatevela (Russia o Sudafrica). Poi trasferitevi dai Manetti, Firenze, Italy. Crogiuolo con dentro, a friggere, una lega di oro argento e rame: le proporzioni sono, ovviamente, risultato di decenni di esperimenti. Idem per i tempi di fusione e perfino per il tempo che ci deve mettere l'uomo a versare l'oro fuso nello stampo che lo aspetta. Versare. Raffreddare. Sfrigolio. Lingottino, spesso un centimetro, grande come una tavoletta di cioccolato. Lo fanno passare sotto un rullo. Il lingotto passa, una volta, due, dieci, e ogni volta perde un nulla in spessore e guadagna in lunghezza.
Alla fine avete una striscia d' oro lunga metri e spessa come una carta di credito. La tagliano in tanti quadratini. Poi prendono ogni quadratino e iniziano a martellarlo: cinque colpi e poi lo giri, altri cinque colpi e poi lo giri, e via cos. Adesso lo fa una macchina, ma quelli che la fanno funzionare sono gli stessi che ancora pochi anni fa lo facevano a mano. Cinque colpi e giri, cinque colpi e giri, e cos via. Ci vuole una pazienza bestiale, ma alla fine il quadratino diventa un quadrato grosso come un sottobirra. Soprattutto: sottile come un nulla. Allora li controllano uno ad uno, li rifilano, buttano quelli venuti male, e quelli buoni li portano in una stanza dove quattro signore li prendono uno ad uno, con una pinza di legno, e li stendono su un foglietto di carta: sono cos sottili che per distenderli bene le donne ci soffiano su: li toccassero con le mani rovinerebbero tutto. L'ultima signora confeziona i "libretti", cio 25 fogli d' oro rilegati insieme.
Sulla carta del pacchetto ci sono le solite medaglie da Esposizione Universale. E, scritto grande: Giusto Manetti, Firenze. Tempo passato per convertire un lingotto in un foglietto: 10 ore, pi 183 anni a fare la stessa cosa fino a non sbagliare pi. Treno. Traghetto. Venezia. Fenice. State seguendo? Gente che ha studiato per anni quel gesto prende il libretto di fogli d' oro, lo apre, prende un foglietto, lo appoggia su un cuscino di pelle scamosciata, lo taglia in quadratini grandi come francobolli, li solleva con un pennello speciale e finalmente li applica ai mancorrenti di una ringhiera, dorandola. Guardate la ringhiera. Luccicante d' oro. Ecco, appunto: troppo luccicante. E' chiaro che non luccicava cos una doratura che aveva 150 anni, quel giorno prima di bruciare non luccicava cos. "Com' era e dov' era": quindi la opacizzano.
A mano, con un'arte umile e sublime, raschiano via l'oro in alcuni punti, facendo venir fuori il bolo che c' sotto, un collante rossastro. Poi spennellano altre colle che tolgono ulteriormente il luccichio. E allora, solo allora, dopo tutto questo viaggio, dopo il lavoro di tutti quegli occhi e mani e memorie, dopo tutto quel sapere salvato dall'oblio di un mondo a cui non serve pi, allora, finalmente, avete ottenuto quello che volevate: un pezzo di ringhiera "com' era e dov' era". Mi spiace di averla fatta lunga, ma era necessario. Non basta guardare la ringhiere e pensare "Eh, chiss quanto tempo ci sar voluto..." No. Bisogna ricostruire esattamente tutto quel tempo, e quel sapere, e quel gesto, per capire, davvero, cosa sta succedendo l dentro.
Bisogna capire la ringhiera e poi, anche se spaventoso, immaginare lo stesso processo per le lampade, i tessuti delle tappezzerie, i mosaici del pavimento, quelle due statuette l, i disegni del soffitto, gli uccelli di gesso, e via cos, di decorazione in decorazione. Vertiginoso, no? Sommate tutto, e adesso sentite qui: quello solo lo scrigno, i gioielli sono un'altra cosa. Tutto quell'immane lavoro stato fatto solo per rendere elegante lo scrigno: i gioielli sono la musica, il canto, il suono degli strumenti: l'Opera. Gli uccelli di gesso sono l'unghia laccata di Marylin Monroe, e le dorature sono il la tazzina che aspetta il caff, e i mosaici per terra sono le calze a rete che quella donna si toglier quando vi amer. Decorazioni, orpelli, belletti. Ma quando avete finito di farli, non ancora successo niente. In certo senso avete prodotto il niente. Bella folla, no? Non Borges?
Dopodich ognuno pu pensare cosa vuole. E decidere se tutto ci una follia o una cosa sublime. Posso dire cosa ne penso io? Quel che penso che l'unico valore che avevano quegli uccelli e quelle ringhiere, prima di bruciare, era di essere l da un sacco di tempo. Ci per cui erano preziosi erano i passi che li avevano sfiorati, le mani che vi si erano appoggiate, i suoni che ci erano scivolati sopra. Gli sguardi che non li avevano visti: perch in loro era impresso un mondo che non esiste pi. Il loro valore era essere muti traghettatori tra noi e tutto quel passato, quel nostro passato. Una volta bruciati, quell'aura persa per sempre. Capisco il dolore e l'istintiva reazione: ma rifarli non salva niente. E' una cosa persa, e basta.
Detto questo, ho visto qualcosa, in quel cantiere, che mi ha fatto pensare. Mi venuto in mente Valry. Lui aveva una sorta di lancinante nostalgia per il mondo artigiano. Diceva che nel" paziente operare" degli artigiani ritrovava la prodezza di cui era capace la natura quando produceva una perla, o un frutto: "opera preziosa di una lunga serie di cause l'una simile all'altra". E gi ai suoi tempi, poteva dire:"L'uomo odierno non coltiva pi ci che non si pu semplificare o abbreviare. Tutte quelle produzioni di una fatica industriosa e tenace sono scomparse, ed finito il tempo in cui il tempo non contava".
Ecco. In quel cantiere, mentre vedevo quelli l, assurdi, che passavano giornate a dorare - dio mio, dorare - l'impressione che ho avuto era che non stessero salvando delle decorazioni ma un modo di pensare il mondo. Stavano restaurando un tempo in cui il tempo non contava. In cui l'adeguazione dei mezzi ai fini era una volgarit. In cui l'ottimizzazione di un sistema produttivo era una nevrosi inutile e inelegante. Un'altro mondo, se capite cosa voglio dire. L'unico mondo in cui puoi pensare di spendere giorni a fare un falco che nessuno, mai vedr. Avete presente le decorazioni in punta alle guglie di un duomo gotico? Cose per gli occhi di dio.
E ho pensato che tutto sommato perfino la musica che daranno l dentro, non poi molto differente dagli uccelli e dalle ringhiere. Pensate al tempo che c' dietro a cinque minuti di Traviata. Quello che ha scelto il legno per gli strumenti, i macchinisti che manovrano le scene, quello che ha copiato la partitura di Verdi, quello che fa il suggeritore, quello che da sette generazioni fa costumi, e Violetta, naturalmente, e nella sua voce la sua maestra e la maestra della sua maestra, e cos via, indietro per secoli. Che immane quantit di tempo, e sapere, e pazienza. Artigianato.
La follia dell'artigianato. Cos che quel teatro alla fine mi sembra un unico, compatto, meravigliosamente coerente ecosistema che, senza alcun pudore, ripropone una logica che non esiste pi. E' come un parco naturale, come l'ultima tana di una razza estinta. Che piaccia o no, noi stiamo a mollo in una civilt che ha fatto dell'adeguazione dei mezzi ai fini il proprio idolo. La nostra religione attuare sistemi in cui ogni parte scarica energia nel prodotto finale, senza perdere per strada niente. Pensate alla catena di montaggio, simbolo vecchiotto ma pur sempre esatto: nulla va sprecato, n uomini n cose, n gesti n bulloni, n tempo n spazio.
La follia della Fenice - come tante altre, per carit - sembra stare l a ricordare che c' era anche un'altra possibilit, decaduta, ma un tempo reale. Sistemi che impiegano un'enormit di energia e tempo per produrre risultati sorprendentemente piccoli. Anni per fare una ringhiera. Sistemi che fanno acqua da tutte le parti, che perdono energia per strada, e che arrivano al momento buono completamente scarichi. Follie, secondo la nostra logica attuale. Ma se ci pensi: erano sistemi che sprigionavano il Senso ai lati e non all'arrivo. Se ricostruisci la storia della ringhiera capisci che la ringhiera davvero poco, ma il mondo che per strada si prodotto dal gesto che la faceva, immenso. Lo vedete il modello di sviluppo diverso? Il tubo che perde porta poca acqua al rubinetto, ma innaffia tutto intorno, e l nascono fiori, e bellezza, o grano, e vita. Scusate la predica. Ma volevo cercare di spiegare. Per dire che quando entrerete l dentro, prima o poi, girate per bene e quando trovate gli uccelli di gesso, sul muro, fermatevi e guardateli.
Non sono l per farsi guardare, in verit, sono l per non essere visti, ma voi guardateli lo stesso. Sono una folla. E sono quel che resta di ci che non siamo pi.


(22 ottobre 2003)
  . ..
Commento inserito il 13/12/2003

  Altri commenti relativi a questo articolo
Vai all'articolo No al catechismo conservatore
Chiude questa finestra
...
 

antiThesi - Giornale di Critica dell'Architettura - www.antithesi.info - Tutti i diritti riservati