No al catechismo conservatore
 
  Oggi il 12/10/2006
Storia e Critica
No al catechismo conservatore
di Mariopaolo Fadda

Introduzione
In campo architettonico sentiamo spesso discorsi sulla cosiddetta diversit italiana. C' chi la enfatizza quale risultato del mitico arroccamento degli anni settanta intorno alla "autonomia dell'architettura", c' chi ritiene che il destino dell'architettura italiana sia quello di vivere all'ombra di epoche passate, c' chi convinto che l'architettura sia morta e c' infine chi pensa che la diversit italiana non sia altro che una profonda e preoccupante stagnazione architettonica figlia legittima di quel assunto ideologico chiamato conservazione, propagandato, in questi ultimi decenni, in lungo e largo per il Paese con un ossessivo tambureggiamento ritmato da partiti politici, ambientalisti para-statali, nonch da sfiatati esponenti del pi variopinto associazionismo, da soprintendenti-prefetti, da sindaci-architetti, assessori-urbanisti, ingegneri-capo e loro annessi e connessi.
In questo clima di lacrimevole nostalgia del tempo che fu c' addirittura qualche noioso intellettuale storicista, che senza pi alcun senso del ridicolo, addita la diversit italiana, ad esempio nel panorama della civilt occidentale! Certo un ottimo esempio di retrocessione culturale senza dignit. Questi patetici tentativi di darsi un tono con la diversit italiana non sono nient'altro che alibi per giustificare il siluramento dell'architettura moderna. E tutto ci possibile perch la cultura architettonica italiana ha sempre rifiutato di sciogliere, sin dal dopoguerra, il pericoloso nodo dell'incontro-scontro tra antico e moderno. E per un paese che detiene gran parte del patrimonio architettonico mondiale non sciogliere tale nodo ha significato da un lato l'autocastrazione creativa, dall'altro la disneylandizzazione e la pompeizzazione. Da un lato ricostruzioni fantastiche di presunti stati o ambienti originari, dall'altro la pretesa di un impossibile, artificioso congelamento dello status quo. Tutte operazioni che vanno incontro alle legittime richieste delle agenzie turistiche ma che poco o nulla hanno a che fare con la cultura, con cui si tenta di ammantare tali operazioni.
I sacerdoti della conservazione si sono estraniati dalle problematiche dibattute in campo architettonico e nel campo del restauro, per agire da movimento politico, tutto intento a costituirsi una cerchia di fanatici sostenitori sordi alle istanze della cultura.
E pensare che il primo a sollevare la questione del rapporto antico/moderno stato proprio un attivista politico: il socialista William Morris. Il quale ebbe l'accortezza di inquadrare nella giusta dimensione intellettuale e culturale il problema. Sar il pensiero marxista a far piazza pulita delle deviazioni borghesi morrisiane e imporre la dittatura della tradizione che condurr al mito delle citt fiabesche e/o mummificate. A Bologna quel pensiero celebrer la sua apoteosi filosofico-politica.
Spetter agli architetti moderni il difficilissimo compito di contrastare le aberrazioni del pensiero totalitario allargato all'architettura per recuperare le intuizioni di Morris e rimettere nel giusto contesto la dialettica antico/moderno. Dialettica che affonda quindi le sue radici agli albori del movimento moderno.

Breve excursus storico
Quando intorno alla met del XIX secolo emergono sempre pi palesemente gli arbtri e le falsificazioni eseguite in nome del restauro stilistico ai danni dei monumenti francesi, uno dei primi a rendersi conto della pericolosit del fenomeno, non solo nel campo del restauro ma anche in quello architettonico, William Morris. Unitamente a John Ruskin guida l'Anti-Restoration Movement che ha come obiettivo primario quello di impedire ogni manomissione dei monumenti antichi. La polemica non solo sul restauro, sulla compatibilit di antico e nuovo, ma tra due visioni dell'architettura che hanno una radice comune: la riscoperta della cultura medievale.
Per tutto il 700 erano di moda Vitruvio, Vignola, Palladio, Serlio ed in genere tutti i trattatisti classici. Le scoperte archeologiche di Ercolano, Pompei unite agli scavi del Palatino di Roma e di Villa Adriana a Tivoli serviranno a Winckelmann per la sua teoria del "bello ideale" dell'arte classica. Questa spinta si propaga sino ai primi decenni dell'800 quando, in reazione all'opprimente dogmatismo neo-classico e alle orge dell'archeologia classica, i circoli letterari prima, e quelli architettonici poi, coltivano l'interesse per le architetture nazionali: in Francia per il gotico francese, in Inghilterra per l'architettura medievale italiana (veneziana in particolare), in Italia per l'architettura medievale lombarda.
In Francia questo significa innanzitutto mettere mano al patrimonio architettonico devastato dalla furia giacobina. Vengono emanate le prime norme sulla tutela dei monumenti e viene creato il posto di Ispettore Generale per gli Antichi Monumenti (1831) (Vitet e Merime saranno i primi due), quindi viene istituita la Commissione per i Monumenti Storici (1837). Vitet verr nominato commissario e Merime segretario. Auditore supplente un giovane architetto che si muove negli stessi circoli letterari: Viollet-le-Duc, considerato, a torto o a ragione, uno dei padri del restauro.
Viollet-le-Duc invitava esplicitamente gli architetti a "... mettersi al posto dell'architetto primitivo e supporre che cosa farebbe lui se tornasse al mondo e se avesse innanzi lo stesso problema". Un aperto invito alla falsificazione, da un lato, e al suicidio creativo, dall'altro. Egli era non solo architetto ma anche storico e teorico. Si schier contro l'accademismo Beaux-Arts cercando di dimostrare la razionalit del gotico e le sue virtuosit strutturali. Mancava di creativit e inventiva per cui non riusc mai ad emergere come progettista ma altri incarneranno i suoi principi ad iniziare da Victor Contamin e Charles Louis Ferdinans Dutert autori della Galerie des Machines per l'esposizione parigina del 1889, per continuare con Paxton ed Eiffel. In pratica il revival neo-gotico di Viollet-le-Duc alimenter la cosiddetta rivoluzione tecnica.
Chi invece non si invaghisce dei virtuosismi strutturali ma del lato sociale ed etico della cultura medievale sono Morris e Ruskin e, dall'altra parte dell'oceano, Richardson che rivalutano il romanico. Morris e Ruskin non vedono di buon occhio il recupero in chiave ornamentale e strutturale del gotico inglese e puntano tutta la loro attenzione sul romanico. Un atteggiamento che apre la strada al rinnovamento del gusto ed al movimento moderno. Morris non solo fonda nel 1877 la S.P.A.B. (Society for the Protection of Ancient Buildings), ma si fa costruire, nel 1859 su progetto di P. Webb, a Bexley Hearth, Kent, la famosa casa Rossa che rappresenta una pietra miliare dell'architettura moderna. Un audace azzeramento linguistico che liquida in un colpo solo decenni di stagnazione artistica.
Nel campo specifico del restauro abbiamo da un lato chi sostiene che "Restaurare un edificio significa ristabilirlo in uno stato di integrit che pu non essere mai esistito" (Viollet-le-Duc), dall'altro chi sostiene che "di tutti i restauri gi intrapresi, i peggiori hanno significato lo spoglio incurante di una costruzione o di alcuni dei suoi aspetti fisici pi interessanti; mentre i migliori hanno la loro esatta analogia nel restauro di un vecchio quadro, in cui il lavoro in parte distrutto dell'antico maestro d'arte stato reso pulito e levigato dalla mano scaltra di qualche non originale e non pensoso dilettante dei nostri giorni." (Morris) scontro aperto tra chi invita "a mettersi nei panni dell'architetto antico" e chi invece invita l'architetto ad immergersi nelle problematiche del suo tempo.
uno scontro salutare tra le due tendenze che si ispirano all'architettura medievale e serve a mettere definitivamente fuori gioco l'ormai dissanguato neo-classicismo. Il rinnovamento del gusto, che inizia nella seconda met dell'ottocento e si sviluppa impetuoso per esplodere fragorosamente nel primo dopoguerra, costringe i nostalgici degli stili architettonici a ritagliarsi uno spazio accanto ai "protettori" dei monumenti del passato, in attesa del giro di ruota che riporti in auge il ballo in maschera dell'eclettismo.
In Italia sar Camillo Boito a dare un consistente apporto sia al rinnovamento del gusto sia all'evoluzione teorica del concetto di restauro. In campo architettonico gli daranno manforte Ernesto Basile e Gaetano Moretti, anche se il contributo al ribollente panorama internazionale sar ben pi che modesto. Diversa influenza si ebbe nel campo del restauro. Grazie all'apporto di Carlo Cattaneo e Luca Beltrame, il dibattito teorico imbocca la strada della riflessione e della moderazione che mette freno alla convulsa, tumultuosa stagione del restauro in stile. Nasce il restauro filologico che pone le basi per una moderna definizione del restauro.
Arrivano guerre e regimi totalitari: bolscevichi, fascisti e nazisti. Tutti regimi che hanno in odio la modernit ed una venerazione maniacale per la tradizione. L'orgia di romanit, i lugubri colonnati, gli sterminati spiazzi per le adunate oceaniche sembrano travolgere le aspirazioni per un'architettura di qualit diffusa a tutti i livelli sociali. Poi ancora guerra, e il dopoguerra dominato dalla ricostruzione. Frenetica. Tutto o quasi viene tollerato, solo l'apporto dell'architettura moderna viene osteggiato in tutti i modi con il risultato che la sua versione commercializzata, l'International Style, vince su tutta la linea attirando, ingiustamente, sul movimento moderno l'ira funesta dell'integralismo conservatore (di destra e di sinistra) che conosce il suo battesimo di fuoco a Venezia nel 1954. Ne fa le spese F. Ll. Wright, il genio del XX secolo. Wright viene stroncato dal pregiudizio conservatore il cui astro nascente Antonio Cederna, si dimostrer il pi ottuso e feroce nemico del suo progetto. Le voci nel deserto? Sergio Bettini, Roberto Pane, Carlo Ludovico Ragghianti e Bruno Zevi.
Di fronte a questa massiccia offensiva all'Italia non resta che ritirarsi dall'architettura moderna. La strada per la consacrazione definitiva del movimento integralista spianata: nel 1969 viene adottato il piano del centro storico di Bologna. Da quel momento in poi la moda della presunta conservazione integrale dilaga sin nella pi remota periferia. Scatta un'ondata di ostracismo di massa e plebeo verso l'architettura moderna secondo solo a quello dei regimi totalitari.

Il virus bolognese
La conservazione integrale non nasce da una disputa disciplinare ma dal pensiero totale marxista che trova una propria dimensione storica nel "Catechismo per la protezione dei monumenti" di Max Dvork, del 1916. S catechismo, e per i pensatori marxisti non sembra vero. Sar Italia Nostra, e non poteva essere diversamente, nel 1972, a far rivivere il catechismo pubblicandone, sul suo bollettino, la traduzione italiana. L'introduzione affidata a Maurizio Calvesi, che con un'avvolgente manovra di distorsione storica accusa chi non si rassegna alla mummificazione di essere ora "abbellitori", ora "sventratori", ora "fanatici dei ripristini", per concludere perentoriamente che l'arte contemporanea "incompatibile rispetto a quella antica." Certo che lo come lo un palazzo rinascimentale verso un'edificio del trecento, o una chiesa barocca verso i ruderi imperiali. Anche Cesare Brandi aveva espresso la stessa convinzione giustificandola per col fatto che l'architettura moderna rispetto a quella antica antiprospettica. Qui non siamo di fronte a distorsione storica ma ad arbitrarie estrapolazioni. Seguendo la logica brandiana potremmo giudicare l'architettura rinascimentale incompatibile con quella medievale in base all'uso della simmetria. E potremmo estrapolare all'infinito senza aggiungere o togliere nulla all'interrogativo che ci interessa: perch si ostracizza la creativit contemporanea?
Il piano di recupero del centro storico di Bologna nasce dopo una gestazione durata una decina d'anni in cui si mette a punto l'armamentario pseudo-culturale per tenerlo in piedi e, subito dopo la nascita, fatto oggetto di amorevoli attenzioni: una lunga, martellante campagna propagandistica beatifica quel piano e ne incensa autori e ispiratori.
Significativo l'esordio di Pierluigi Cervellati, uno dei massimi ispiratori: "Appare chiaro, allora, come un'intervento del tipo proposto dal comune di Bologna per il Centro storico della citt si ponga in netta antinomia con tutti i principi ideologici della classe al potere". Come se Bologna fino ad allora fosse stata governata dalle suore orsoline e non dagli amici del focoso tribuno. Quando i nemici non ci sono basta inventarseli a suon di slogans.
Un'altro degli ispiratori, ma di altra chiesa, Leonardo Benevolo si fa prendere la mano dall'enfasi: "Il piano presentato certamente il migliore di quelli fatti finora nelle citt italiane, e sta al livello dei pi progrediti studi stranieri". Ma non basta, dopo l'autoincensazione un p di bastonate per chi osa criticare simile capolavoro di bravura: "... i critici pi in vista... polemizzano contro il criterio della conservazione integrale e promuovono piani pi ambiziosi di 'valorizzazione' dei centri storici... confidando nel controllo personale di un bravo architetto; cosi i bravi architetti sono usati ancora una volta come garanti di un 'superamento delle regole', cio senza possibilit di opporsi alle regole ben precise degli interessi e delle istituzioni dominanti". Oltre all'enfatizzazione della pretesa grande novit del piano, la conservazione integrale, siamo, come si vede, alla propaganda spiccia sostenuta, e la cosa non desta meraviglia, da un'urbanista di area cattolica. Questa manichea divisione del mondo in buoni (loro che fanno i piani belli) e cattivi (gli altri che servono i padroni) l'alibi per decretare la proibizione del moderno.
Stabilito il credo si profonde tutto l'impegno per la sua divulgazione e la sua traduzione pratica. Nasce la tipologia edilizia, altro feticcio che tanto estasia i conservatori e che conduce direttamente al famigerato ripristino tipologico, vero e proprio lasciapassare verso l'abbruttimento intellettuale.
Gli spalleggiatori si fanno prendere facilmente la mano dalla voglia di sovvertire la societ a colpi di carte catastali, tipologie originarie, vaneggiamenti sociologici. A proposito del primo intervento attuativo - Solferino e S. Leonardo - "appare possibile la continuit o il ripristino dell'uso 'popolare' dei tipi edilizi esistenti. L'adeguamento alle esigenze abitative attuali dato prima di tutto dalla eliminazione degli inserimenti e delle alterazioni apportate dalla sopravvenuta logica del capitale... L'intervento mira al ripristino dell'uso originario, per ristabilire la persistenza della morfologia urbana, che il piano si propone di ricostruire mediante 'la progressiva socializzazione delle antiche funzioni familiari e la progressiva emancipazione della donna che lavora'." (M. Fabbri) Dalla planimetria catastale alla emancipazione della donna; non c' argine che tenga a freno il dilagare del pi vuoto sociologismo.
Ma da solo il piano del centro storico di Bologna, con tutto il suo rozzo armamentario propagandistico, non avrebbe certo potuto segnare un'epoca: questo piano stato il punto di coagulo di fenomeni sparsi ma che gi incidevano negativamente nel panorama architettonico italiano: l'affermazione dell'ambientalismo pi putrido e deleterio, l'equivoco dell'architettura popolare o minore, l'attacco massiccio all'architettura moderna, il lezioso distacco dalle contemporanee, tumultuose esperienze delle altre arti visive.
Ma come pretendevano, i soloni di Bologna di salvare, oltre ai monumenti, anche l'edilizia comune senza fare i dovuti conti quel pauroso vuoto critico-operativo dovuto, in Italia, alla svalutazione profonda dell'architettura popolare?
Come pretendevano di essere presi come grandi innovatori se invece di avviare una coraggiosa politica di riciclaggio del costruito chiamando a raccolta le pi avvertite voci dell'architettura moderna si cucivano addosso una metodologia rozza, provinciale, reazionaria?
Cosa pensavano di ottenere da questa conservazione integrale se non ridicole casette finto-medievali, disgustose piazze e piazzette da paese dei balocchi e vergognose falsificazioni stilistiche?

Il contesto storico-architettonico
Il piano del centro storico di Bologna vede la luce in un'epoca in cui il dibattito sui centri storici registra i contraccolpi della contestazione studentesca, la riforma urbanistica miseramente fallita. Nel clima di generale disorientamento, la sinistra oscurantista ne approfitta per scatenare la controffensiva che culminer, politicamente, nel compromesso storico e nella politica di austerit e architettonicamente nelle volgarit del recupero tipologico e nel rancido storicismo del post-modern.
Del problema dei centri storici si stava occupando, fin dagli anni '50 la cultura architettonico-urbanistica pi avvertita, che aveva preso coscienza, grazie allo sprone della cultura del restauro, della problematica conservativa estesa agli aggregati storici. Ma c'era stato anche il brutto segnale della polemica sul Memorial Masieri di Frank Lloyd Wright a Venezia che non faceva ben sperare. in quella occasione che gli oltranzisti, i pretoriani del proto-ambientalismo conquistano le luci della ribalta per recitare fino in fondo il ruolo di guastatori: a loro non interessa salvare i tessuti storici, a loro interessa ritagliarsi un miserabile spazio politico per imporre, da un lato l'improbabile quanto demenziale assioma sull'intangibilit assoluta dei centri storici, e dall'altro mettere alla sbarra l'architettura moderna.
Anche uno studioso del calibro di Mumford paventava i pericoli della politica di imbalsamazione dei centri storici: "Il nucleo metropolitano storico ha ancora una funzione da svolgere, una volta che i suoi membri abbiano compreso che non possono conservare all'infinito n il suo monopolio originario n la sua disgregazione attuale".
A Venezia trionfa quell'atteggiamento, che diventer tipico, di chi disposto a tapparsi gli occhi di fronte a qualsiasi oscenit in "stile", "ambientata", in "tono" pur di impedire all'odiata architettura moderna di intervenire nei centri storici. Le conseguenze di questo atteggiamento dogmatico, retrogrado, antimoderno saranno pesanti. Decine e decine di centri storici saranno sfregiati, non da architetture moderne, come i conservatori vogliono farci credere, ma da brutture in tutti gli stili con il loro complice silenzio.
Il convegno di Gubbio nel settembre del 1960 sul tema "Salvaguardia e risanamento dei centri storico-artistici e ambientali", apre la stagione dei congressi, convegni, tavole rotonde sui centri storici che vivr la sua apoteosi istituzionale nel "Convegno nazionale sui centri storici" promosso a Roma dal Ministero dei Lavori Pubblici nel dicembre del 1975 a conclusione dell'anno europeo del patrimonio architettonico. Il risultato pratico di tanto attivismo saranno ben miseri: una pletora di inutili pubblicazioni, un'accozzaglia di "esemplari" interventi e la fornitura di alibi a quel filone politico-culturale oltranzista che si riconosceva in associazioni quali Italia Nostra e l'Associazione nazionale per i centri storico-artistici.
Quali erano le opzioni che si presentavano nel momento in cui le esigenze di conservazione e tutela ampliavano l'interesse dal singolo monumento al suo intorno?
Essenzialmente due: la prima incarnata rigorosamente da Renato Bonelli, che oltre a sostenere l'estensione, sic et semplicer, della metodologia, elaborata dalla cultura del restauro, dal singolo monumento, al suo intorno, si limitava a suggerire un inquadramento a livello di piano regolatore generale; e la seconda, impersonata appassionatamente da Bruno Zevi che propugnava un radicale cambio di strategia, chiamando ad un confronto aperto e franco la moderna cultura architettonica, per superare gli atteggiamenti passivi, nostalgici, consolatori.
Gli studiosi riuniti intorno alla prima opzione, rifiutando di fare i conti con i limiti critico-operativi della metodologia da loro elaborata, prestano ingenuamente il fianco all'attacco del pi bieco oltranzismo, quelli schierati con la seconda scontano l'arretratezza culturale in cui il settarismo di destra e di sinistra ha trascinato, fin dall'ultimo dopoguerra, il paese.
Naturalmente, come sempre accade nell'Italia dei compromessi, quando si presentano due alternative contrapposte ma che hanno il pregio della chiarezza, vince sempre una terza ipotesi, in genere la pi squalificata perch ritenuta la pi ragionevole. Nel nostro caso vince il pi vieto tradizionalismo conservatore di chi pretende di "restituire a un centro antico condizioni ambientali per quanto possibile vicine a quelle originarie." (A. Cederna e M. Manieri Elia)
Antonio Cederna sicuramente il personaggio che incarna meglio di chiunque altro questa posizione. Nel suo atteggiamento sempre pi paranoico, arriver ad invocare addirittura l'adozione di provvedimenti legislativi atti ad impedire qualsiasi ricostruzione nei centri storici.
Nell'agosto del 1965 esce sulla rivista "L'architettura" un editoriale di Bruno Zevi intitolato "Contro ogni teoria dell'ambientamento". Un vero e proprio "j'accuse" contro i responsabili di tanti orrori perpetrati ai danni dei monumenti e degli aggregati storici: i fautori dell'ambientamento.
"1) Tutte le teorie miranti ad un ambientamento del nuovo nell'antico - tutte: dalle pi retrive a quelle in apparenza progressiste - conducono a reprimere o, peggio, a corrompere il nuovo senza perci rispettare l'antico;
2) l'incontro fra antico e nuovo non pu concretarsi senza alti costi, strappi e squilibri. Gli interventi architettonici, se necessari, devono essere francamente moderni, puntando sulla creazione di un panorama alternativo, in larga misura antitetico a quello preesistente;
3) non ci sono facili metri di giudizio per stabilire ci che si pu o non pu fare inserendo opere moderne nei centri storici. Il problema rimanda alla qualit e non soggetto a generiche normative
".
Questo, per grandi linee, il clima culturale in cui viene partorito il piano di recupero del centro storico di Bologna che rappresenta il vero spartiacque nella problematica del rinnovamento urbano, della ristrutturazione dei centri storici delle citt, perch con quel piano ha inizio la lunga stagione dell'intontimento architettonico generalizzato.
L'attuazione del piano coincide, temporalmente, con il grosso successo del partito comunista alle elezioni amministrative del 1975 e questo facilita la trasmissione sino all'angolo pi sperduto del paese del metodo in salsa bolognese, che ormai al pari, del materialismo dialettico, del compromesso storico e della politica di austerit fa parte del patrimonio di lotta e di governo degli amministratori comunisti.
Ma come si trasmette il metodo? Con l'immancabile piano di recupero.
Per la formazione di un piano di recupero si procede, in breve, in questo modo: si incarica delle ricerche pi strampalate qualche istituto delle nostre decrepite universit, si costituisce un ufficio del piano lottizzato e malleabile, con urbanisti acculturati dell'ultima ora, ingegneri ambientalisti di gusti semplici ma essenziali, architetti demotivati e di poche letture, annoiati studiosi di folclore, si pone la classica ciliegina sulla torta coinvolgendo la locale soprintendenza, si da inizio alla lunga, martellante campagna propagandistica sulla bont del piano mobilitando gli intellettuali-squillo e nel frattempo, fingendo la partecipazione popolare, si attrezzano alcune cooperative di amici e compagni per attuare, a tappe forzate, il piano stesso. Questo quanto accaduto e accade tuttora A.D. 2003.
La parola d'ordine "riappropriamoci del centro storico" per anni fagocita tutto, il dibattito culturale viene avviato sui binari del "tutto politico" per cui non ci si limita pi a proclamare la conservazione di tutto, che poi la via pi facile per non conservare nulla, ma si proclama la natura essenzialmente economico-sociale dell'intervento nel centro storico che "...cessa di essere 'bene culturale' e, attraverso una lettura politica, diventa 'bene economico'... Il superamento della riduttiva ottica 'culturale' spinge cosi ad approfondire le implicazioni economiche, sociologiche, giuridiche, amministrative, oltre che culturali, collegandole soprattutto ai grandi temi-problemi della nazione, alle grandi migrazioni delle masse meridionali, alla crescita ipertrofica delle aree metropolitane al nord, ai processi di accentramento industriale..." (L. Seassaro) una inarrestabile corsa alla ricerca delle radici ultime dell'universo.
Si pretende la codificazione di modelli d'intervento, si invoca la formazione di schemi tipologici di progetto, si sollecita la messa a punto di manuali-guida che pretendono di inquadrare l'espressione architettonica entro ridicole griglie interpretative. Si discetta di giusta dimensione dell'isolato, di normazione delle morfologie d'intervento e cosi via in crescendo di rivoltante, intellettualistica evasione. Quando ci si rivolge al popolo, si sa, bisogna usare altri toni ed allora un po' di moralismo ipocrita non guasta " indispensabile per che nell'interpretare la vocazione residenziale dei Centri storici si usino gli strumenti della ristrutturazione con l'onest della buona coscienza, evitando nel modo pi assoluto i paurosi intensivi che in certi tessuti speculativamente 'interessanti', come per esempio Parigi, hanno alienato, insieme al modo di usare e organizzare lo spazio, anche il tempo e l'oggettivit della vita. Il tasso di concentrazione non dovr, in altre parole, essere elevato, perch una troppo alta densit umana impedisce che si crei, nel crogiolo urbano, la compenetrazione delle varie culture: la scala umana non comprende n gli intensivi n i grattacieli...", (M. Dezani e G. Cavalera) Un cumulo di banalit e luoghi comuni che si commentano da soli.
E quando non si hanno a disposizione neanche banalit e luoghi comuni c' sempre un classico: il linciaggio del nemico di turno "N si pu sperare che il perenne vizio della progettazione 'colta' e cosiddetta d'avanguardia non venga coltivato anche in questa occasione da quegli architetti che attendono da pi o meno anni il loro momento per l'affermazione di principi pi o meno fumosi, in omaggio a qualche credo estetico pi o meno approfondito, sperimentato (o superato)". (B. Gabrielli)
Da Ancona a Cortona, da Taranto a Brescia ed in altre decine, centinaia di centri urbani grandi e piccoli uno stillicidio di piani di recupero che istigano al suicidio creativo ed alla capitolazione senza dignit. Pessimi architetti, cattivi ingegneri, sfiatati urbanisti, modesti geometri, poco disposti "a rischiare l'impopolarit per un'idea" come diceva Pagano, impegnano tutte le loro forze intellettuali per tentare di ricostruire, per quanto possibile, le tipologie originarie e le volumetrie preesistenti. Come se tutto ci non bastasse si pretendono, con istinto autocastrante, piani urbanistici che formulino "indicazioni molto dettagliate anche negli aspetti formali e figurativi dell'ambiente (materiali, colori, arredo stradale)..." (A. Vincenti)
Per far ingoiare anche ai pi riottosi questa metodologia aberrante si fa ricorso al diluvio di strumenti urbanistici: una cascata di piani comprensoriali, piani regolatori generali, piani particolareggiati, piani di coordinamento, progetti di comparto, programmi di intervento. Basti ricordare che, nel 1974, a Venezia a fronte di 13 piani particolareggiati attuativi adottati erano necessari ben 404 piani di coordinamento, previsti dalla normativa dei piani particolareggiati stessi, e di essi solo 7 furono adottati tra il 1978 e il 1980. Si tenta di ingabbiare la libert creativa entro le rigide maglie di una miriade di inutili e ridicole norme. La conservazione da dramma sociologico-politico si trasforma in farsa burocratica.
Un'altro rivoltante aspetto di queste operazioni ideologico-immobiliari la pretesa di affidare non sola la gestione degli edifici ristrutturati, ma l'appalto stesso dei lavori a societ cooperative a propriet indivisa. Chiaro? Il potere politico si costruisce, senza tanti scrupoli, con l'alibi della partecipazione popolare, un braccio operativo per gestire l'enorme patrimonio immobiliare del centro storico.
Il dibattito e le critiche che scatenano simili operazioni aprono paurose crepe nella strampalata baracca della conservazione integrale? Niente paura arrivano a puntellarla i pensatori architettonico-marxisti. Armati di incrollabile fede nella (presunta) stabilit storica in opposizione alla mutevolezza del valore estetico tappezzano il tutto con uno scadente filologismo per cui tutto significa, tutto artistico. via con i soliti luoghi comuni sull'incompatibilit tra arte moderna ed arte antica con commovente, quanto inutile, ricerca di una pace dialettica. Grazie a questi pensatori arriva a compimento quell'operazione di santificazione della conservazione, nell'accezione bolognese del recupero tipologico, che lo specchio fedele di quella che fu la santificazione dell'archeologia durante il fascismo. Allora un'orgia di picconi demolitori, oggi un'orgia di ottusi e grossolani recuperi.

Tra oggi e domani
Per decenni la battaglia sull'incontro-scontro tra antico e moderno la moderna cultura architettonica ha dovuto combatterla quasi sempre sulla difensiva. Di fronte all'atteggiamento aggressivo del variegato fronte dei conservatori che invocavano improbabili "intoccabilit" ci si limitava a difendere, caso per caso, gli interventi (pochi per la verit) pi significativi che si riusciva a strappare dalle ferree mandibole dei guardiani della tradizione.
Oggi, per evitare ulteriori disastri folcloristici o sciagurate inerzie possibile ipotizzare un'inversione di tendenza, passare cio ad una strategia d'attacco che miri a creare un contesto territoriale nuovo con un'intelligente operazione di riciclaggio che coinvolga, al massimo livello, la creativit contemporanea e la pi avanzata tecnologia. Si stanno prefigurando una casistica di interventi ed una metodologia imperniati sul rapporto antico-moderno che dobbiamo sostenere, incoraggiare, divulgare.
Due fenomeni hanno contribuito a questa svolta: l'inversione di tendenza dello sviluppo urbano che dagli insediamenti abitativi periferici ha ripiegato sul recupero residenziale del centro citt, e la svolta impressa alla ricerca architettonica dai Gehry, Libeskind, Eisenman, Hadid.
Il primo fenomeno in molti paesi si trasformato in programmi di rinnovo urbano consentendo originali operazioni di riciclaggio. Il secondo stato pronto ad innestarsi in questi programmi dando un apporto qualitativo di straordinario valore che sarebbe criminale sperperare.
Per l'Italia il discorso diverso. Da noi ci si sclerotizzati sull'aspetto recupero, caricato di connotazioni politiche e socio-economiche tale da trasformare la stragrande maggioranza dei piani di recupero in parate scenografiche indegne persino di Hollywood. "Se non si costruiscono cose nuove il vecchio semplicemente vecchio. Invece, siccome bisogna costruire, che cosa si fa in Italia? Si fa il falso antico, ma, cos facendo, non si onora ma si offende l'antico." (B. Zevi)
La casistica a cui abbiamo accennato non nasce cos per caso o per il capriccio di architetti in cerca di successo ma la matura evoluzione di un approccio che, per decenni, spiriti liberi ed originali hanno sperimentato nel generale dileggio. Ma non invano.
Nell'immediato dopoguerra gli architetti moderni, con una serie di esemplari sistemazioni museografiche, dimostravano la loro sensibilit ed il loro impegno per la salvaguardia del nostro patrimonio di storia e d'arte: dal Palazzo Bianco a Genova di Franco Albini (1950-1951), alla Galleria d'arte moderna a Milano di Ignazio Gardella (1953), alla sistemazione di alcune sale degli Uffizi a Firenze di Giovanni Michelucci, Ignazio Gardella e Carlo Scarpa (1956). Naturalmente questi interventi suscitarono discussioni e polemiche che serviranno solo a dissipare quelle sperimentazioni e consegnare, di fatto, il nostro patrimonio urbano alla speculazione edilizia che ne opera la distruzione non solo con gli sventramenti o il depauperamento ma anche con ingannevoli inserimenti "ambientati" o con "ristrutturazioni tipologiche" sempre ben tollerati dai protezionisti e dalla cultura accademica. I nostri centri storici subiscono i peggiori affronti per mano dei mimetisti e degli pseudo-storicisti: dai palazzi e palazzetti in "stile locale" sul Canal Grande a Venezia alle casette pseudo-medioevali di Bologna, dalla grottesca via della Conciliazione a Roma alla sciagurata ricostruzione del Teatro Carlo Felice a Genova e via dicendo fino alla sterminata serie di ripristini tipologici eseguiti impunemente in tutti gli angoli del paese.
A fronte di tali e tanti altri fallimentari interventi, gli architetti moderni, le pochissime volte che sono riusciti ad intervenire, hanno dimostrato non solo che i valori della modernit possono convivere benissimo con le preesistenze ma che grazie a quei valori possibile salvaguardare con successo l'architettura antica: dalla stazione di Firenze, alla Borsa Merci di Pistoia (demolita con atto banditesco nel 1959) entrambe di Michelucci, dalla palazzina in via Romagna a Roma dei fratelli Passarelli, all'edificio per abitazioni e ristorante a Bari di Marcello Petrignani, dalla ricostruzione del Municipio di Morcone (Bn) di Mariella Dell'Aquila, Vincenzo Forino e Carlo.
"Approfondisci il moderno, individuane i valori per poterli ritrovare nell'architettura antica e cosi amarla". (B. Zevi ) Questo e nulla pi guida gli interventi che abbiamo segnalato.
L'edificio dei Passarelli (Fig.1)merita una parola in pi. Realizzato in pieno centro storico di fronte alle mura aureliane e a due passi da via Veneto, recupera in chiave moderna la tipologia medievale: laboratorio o negozio al piano terra e abitazione al piano superiore. Nella palazzina di via Romagna al piano terra c'e' il negozio, al livello intermedio gli uffici, ai livelli superiori abitazioni. Una delle migliori architetture moderne italiane. Si possono recuperare, come si vede elementi del passato senza ripeterne le forme e con risultati straordinari.
Esempio da Zevi ripetutamente indicato all'attenzione generale ma ignorato allegramente da critici, storici, professori, professionisti, amministratori.
Oggi quel silenzioso, sommerso lavorio di un pugno di isolati trova piena espressione a livello internazionale grazie all'azione di architetti noti e meno noti, impegnati a dare uno sbocco positivo alla dialettica antico/moderno.
A Vienna, citt "monocentrica" e "statica" dice Woll Prix di Coop Himmelb(l)au che ci vive e ci lavora, citt architettonicamente conservatrice, si sono ricreduti sulla proibizione del moderno. Nel dismesso distretto industriale di Simming, a sud-est della citt, stato deciso di recuperare per abitazioni 4 giganteschi cilindri precedentemente adibiti a gasometri. Coop Himmelb(l)au intervenuta in uno di questi (per gli altri tre sono stati incaricati altri progettisti, tra cui Jean Nouvel) e sono gli unici che propongono un nuovo corpo di fabbrica.
L'edificio per appartamenti-Gasometer B (Fig.2) un corpo sottile che si piega a circa met altezza per assumere l'aspetto di uno scudo ed a questo avevano pensato, dice Prix, che aggiunge anche di essersi ispirato alla vicenda del Teatro Marcello a Roma. Il teatro romano, ricordiamolo, fin sotto il piccone mussoliano in omaggio all'orgia di romanit, le sue arcate furono liberate da un'umanit pullulante che aveva creativamente riciclato un'edificio oramai inutilizzato. Per fortuna non fu demolita la parte superiore, il cinquecentesco palazzo degli Orsini. Oggi e' li immobile, triste, a funzionare da scenario ad una strada ed esposto allo sguardo distratto del turista della domenica. Prix si riferisce, evidente, all'inserto dei Corsini che fatto con lo stesso spirito che ha animato Coop Himmelb(l)au a Vienna. Chi avrebbe oggi il coraggio di ripristinare la tipologia originaria del teatro di Marcello, demolendo il palazzo cinquecentesco?
Il progetto di Rem Koolhaas per il negozio Prada a San Francisco (che stato accantonato)(Fig.3) ha sollevato non poche polemiche. Un edificio di 10 piani con parte bassa vetrata e parte superiore rivestita con una cortina di acciaio bucherellata a tutt'altezza a due passi da Union Square ed in zona di vincolo. Nonostante il parere contrario del direttore del dipartimento la commissione urbanistica della citt ha dato parere favorevole e questo nonostante il progetto non prevedesse i materiali consigliati e lo schema classico degli edifici (basamento, corpo, cornice).

Questo accade in un Paese che non conosce quella borbonica istituzione chiamata soprintendenti ai monumenti ed affida i pareri controversi ad un organismo collettivo che ha l'autorevolezza di soprassedere, in casi particolari, a norme inutilmente restrittive (e, spesso, grottesche).

Di Koolhaas abbiamo segnalato in un altro intervento il progetto per il centro di Oslo, quell'"ameba" che occupa gli interstizi tra i vari edifici catturandoli e reinserendoli in un nuovo circuito estetico.
Nel progetto di Roberto Valle Gonzales per il Museo del vino nel castello di Peafiel a Valladolid (Fig.5) c' tutta la lezione delle sistemazioni museali italiane del secondo dopoguerra.
Un delicato intervento minimalistico tutto giocato sul contrasto materico.
A Karlsruhe l'intervento di Schweger & Partner per il Center for Art and Media Technology (Fig.6) non avrebbe potuto essere pi netto. Nel corpo, lungo oltre 300 metri, dell'ex-fabbrica di armi, viene sovrapposto il cosiddetto "cubo blu" uno spazio flessibile per performances dotato di doppia pelle. Questo indica che la vecchia fabbrica, pur quasi integralmente conservata, ha cambiato funzione.
Il semplicissimo intervento di Marco Dezzi Bardeschi nel Castello di Vigoleno Vernasca (Fig.7): due passerelle metalliche che reintegrano la continuit (interrotta negli anni settanta con la solita scusa della valorizzazione) tra la parte residenziale del Castello e la Torre.
Quello dello studio Bolles-Wilson un consistente intervento edilizio nel vecchio centro della citt di Hengelo, in Olanda (Fig. 8). Percorsi ed invasi animati da una serie di edifici in chiare linee moderne che dialogano con i vecchi in un rinnovato contesto. Una torre longilinea che riecheggia quella del comune, qualche isolato pi in l, funziona da perno tra vecchia e nuova piazza.
Questi alcuni limitati esempi di una metodologia che unisce alla consapevolezza del passato la responsabilit del presente. A questi possiamo anche aggiungere gli insegnamenti della collaudata metodologia gehriana, ad iniziare dalla sua casa. Cosa fa l'architetto americano? Compra una casetta anonima nell'anonimo suburbio di Los Angeles e la stravolge spazialmente con una semplice aggiunta. "Circonda la piccola casetta a padiglione con pannelli di latta, fogli di compensato, reti metalliche, mattoni intonacati di un elettrico veronese... Giustifica la casa facendo notare ai vicini le loro roulotte di lamiera, le barche in stampati di plastica, le reti a rombi delle recinzioni, il legno non trattato dei garage, i colori sgargianti dei metallici accessori che stazionano nel loro back yard... "
Nell'Edgemar Development a Santa Monica, va oltre, suggerisce un approccio valido anche a scala urbanistica: "L'idea che risolve uno stimolante programma (negozi, uffici, un ristorante, un piccolo museo) e' lo scavo del blocco edilizio, come fa una forra in una massa tufacea. Dalla strada si dipartono due rigagnoli che si congiungono in una piazzetta interna dove arriva la rampa dal parcheggio e si aprono altri invasi, piazzette e vicoli formati dalla riabilitazione di alcuni fabbricati esistenti. All'incunearsi del percorso verso l'interno, Gehry associa una scoppiettante eruzione di eventi. I materiali (intonaco, pannelli galvanizzati in metallo o in rame), i volumi (lucernai, terrazze e scale racchiuse dalle reti) e forme libere che incorniciano il cielo fungono da richiami e creano un'avvolgente creazione tridimensionale modellata dal movimento dei fruitori". (Le citazioni sono di A. Saggio)
Ma non e' ci che invocava Mumford gi dal 1964? "Nella ristrutturazione o la creazione completa di nuovi spazi liberi urbani, c'e' posto per tutta una sperimentazione nuova e per piani audaci, che differiscano nello stesso tempo dai modelli tradizionali, e da quelli che sono divenuti cliches alla moda dello stile contemporaneo... Non abbiamo soltanto bisogno di piani globali, per i settori interamente nuovi, recuperati al posto dei vecchi quartieri insalubri. Abbiamo anche bisogno di soluzioni parziali, applicabili su piccola scala, e che nel corso degli anni a seconda delle occasioni, si integrino in una trasformazione radicale del nostro ambiente". O Zevi nel 1975? Il "riciclaggio dell'esistente, mediante una tecnologia progredita, atta a migliorarne la 'qualit della vita'; scopo attingibile, in numerose situazioni con modesti interventi. Dalla graduale ristrutturazione delle frange urbane si pu estrarre una modellistica progettuale, che non sia astratta ed utopica, per i tessuti storici e le zone di espansione".

Per concludere. Nel XIX secolo i restauratori, che pareva avessero a cuore la salvaguardia dei monumenti antichi, in realt erano in prima fila nel massacrare e nel depauperare. Oggi stessa musica, gli oltranzisti conservatori che si riempiono tanto la bocca di conservazione in realt sono coloro i quali sfigurano in modo irreversibile, giorno dopo giorno, i nostri ambiti storici. Nel XIX secolo l'ambiente letterario francese, con in testa Victor Hugo, e quello inglese, con in testa Morris e Ruskin reagirono per primi e con determinazione al catechismo stilistico, sbarrando la strada ad ulteriori vandalismi. Oggi sono gli architetti moderni che reagiscono al catechismo conservatore per porre fine alla disneylandizzazione ed alla pompeizzazione della cultura. E lo fanno convinti che non basta predicare una politica di prevenzione dello sfacelo dei centri urbani ma che necessario avere anche la capacit di gestire creativamente la dialettica tra antico e moderno, tra conservazione e cambiamento, tra integrazione e contestazione. Come diceva Mondrian "Occorre coraggio e forza per osare di vivere in un'epoca disarmonica. Per paura della disarmonia oggi non si avanza, anzi ci si adatta al passato, ci che ancora pi grave. Non bisogna adattarsi, ma creare."

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  1/12/2003
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