Omert
 
  Oggi il 11/10/2007
Opinioni
Omert
di Mario La Ferla
Quando il 20 ottobre 2004 andato in libreria il mio libro-inchiesta Te la do io Brasilia-La ricostruzione incompiuta di Gibellina nel racconto di un giornalista detective, pensavo in perfetta buona fede che in Sicilia avrebbe ottenuto un grosso successo. Perch? Ma semplice. Il libro rievoca il terremoto del 15 gennaio 1968 che sconvolse lintera valle del Belice. Fu unautentica tragedia: centinaia di morti, migliaia di feriti, lintera popolazione senza casa accampata in tende e baracche per pi di ventanni. Il sisma segn una data fondamentale non soltanto per la Sicilia, ma per tutto il Paese. Perch dopo la tragedia del cataclisma ce ne fu unaltra, senza vittime, ma non meno grave della prima. La tragedia della ricostruzione delle citt e dei villaggi del Belice. Part con assurdi ritardi e si svolse allinsegna di errori clamorosi, di ruberie e di ingerenze mafiose. Nel clima drammatico delle promesse non mantenute nacque lidea di ricostruire Gibellina. La citt doveva essere speciale, assolutamente nuova, una capitale dellarte moderna. Lidea del sindaco, il senatore e avvocato Ludovico Corrao, divenne realt. A Gibellina arrivarono artisti di grande e solido prestigio da tutta lItalia: architetti e urbanisti, scultori e pittori. Tra lo stupore della gente del Belice (che aspettava lacqua e la luce, le strade e le scuole) e lammirazione di critici darte, intellettuali, storici, filosofi, politici, studiosi (che aspettavano lavvento della nuova era sullonda travolgente del 68), Gibellina prendeva forma con i suoi palazzi scandinavi, i suoi boulevards parigini, i suoi innumerevoli monumenti disseminati tra strade e piazze, la sua chiesa di stile islamico, gli edifici che dovevano ricordare il Beaubourg. E subito divenne un caso nazionale, tra i pi discussi e clamorosi del dopoguerra. I suoi creatori, architetti e urbanisti davanguardia, lannunciarono come la citt ideale, appunto una nuova Brasilia, Atene del tempo di Pericle, la citt dove finisce il passato e comincia il futuro, centro della fantasia al potere e del riscatto di secoli bui della Sicilia. Dopo oltre ventanni dallinizio della costruzione, quando la sua fama si era diffusa nel mondo dove musei e gallerie, teatri e auditorium facevano gi a gara per rappresentarla, Gibellina era diventata il simbolo dellintera valle, nel bene e nel male, perch rappresentava pi di ogni altro paese del Belice lidea che lopinione pubblica si era fatta della tragedia prima e della ricostruzione dopo. Oggi la nuova Gibellina ancora al centro delle dispute dotte fra architetti e critici darte, in Italia, in Europa e oltre Oceano. C larchitettura prima di Gibellina e larchitettura dopo Gibellina, questo si insegna oggi negli atenei, nelle facolt di Architettura e Ingegneria. Da una parte si afferma che Gibellina un luogo straordinario dove desideri e deliri hanno potuto prendere corpo. Dallaltra si risponde: Vergogniamoci tutti!.
Ecco perch pensavo in buona fede che la mia inchiesta potesse suscitare interesse in Sicilia. Rievoca un periodo doloroso per una parte della popolazione, ma nello stesso tempo ricorda fermenti, entusiasmi, gare di solidariet, progetti, utopie. E una data storica che nessuno, pensavo, in Sicilia avesse voglia di infischiarsene. Invece, tranne una frangia di persone architetti, studiosi, alcuni volenterosi studenti di belle idee- i siciliani hanno deciso di mettere una pietra tombale sul Belice e sulla sua tragedia.
Me ne sono accorto dopo due mesi dalluscita del mio libro. Una delusione cocente, un insuccesso personale di valutazione, un risentimento diffuso. Perch sulla Sicilia, stavolta, ho sbagliato di grosso. Ho commesso un errore madornale e imperdonabile, con tutte le aggravanti del caso. Perch io di Sicilia me ne intendo, o meglio, dovrei dire: me ne intendevo. Anchio, come per molti siciliani per bene e anche ottimisti, mi sentivo autorizzato a pensare che la situazione generale dellisola fosse un po cambiata. Da molto tempo a Palermo e nelle altre citt calde non cerano stati omicidi eccellenti e si era anche persa la traccia di quelle mattanze mafiose che fino a una decina danni fa erano ancora allordine del giorno. Questa constatazione insieme ad altre considerazioni di carattere sociale e culturale, e grazie soprattutto alloffensiva della magistratura, poteva far pensare a un lento ma graduale cambiamento di una nota e diffusa mentalit. La malavita organizzata esiste ancora e di questo ne siamo consapevoli. Soltanto che adesso ha cambiato pelle e prospera con il traffico della droga e con il commercio delle armi. E pi potente di prima, ma agisce nellombra avendo rinunciato ai gesti eclatanti che allarmavano lopinione pubblica, la stampa e la legge. Ci sono ancora i vecchi padrini? No, sembra proprio di no. Ci sono ancora gli antichi cerimoniali di sudditanza nei confronti degli uomini di panza? No, sembra proprio di no. E allora ci si illudeva che con il cambiamento delle forme della malavita organizzata potesse cambiare anche la diffusa mentalit mafiosa radicata nelle grandi citt e nei villaggi siciliani. Era proprio una illusione. Mi sono sbagliato, perch la mentalit rimasta. Anzi, mi sono accorto anche in occasione del recente viaggio fatto a Catania per presentare il libro nellaula magna della facolt di Architettura (a proposito: ancora grazie a tutti quelli che hanno contribuito a organizzare quella serata, soprattutto a Franco Porto, degno presidente dell'In/Arch Sicilia), che la famosa mentalit oggi attecchisce l dove una volta nessuno si immaginava che potesse mettere le radici.
Le aggravanti del mio errore di valutazioni sono rappresentate da quasi trentanni di attivit di inviato del settimanale LEspresso. Mi sono occupato di mafia e di politica, di intrighi economici e di scandali finanziari, di morti eccellenti e complotti internazionali. Ho scritto inchieste sullascesa e sulla fine di Michele Sindona, sugli omicidi mafiosi in Italia e negli Stati Uniti, sulle connessioni tra Cosa nostra e importanti istituzioni, sulle guerre tra cosche che hanno insanguinato lisola. Era inevitabile che mi imbattessi in situazioni e soprattutto in personaggi ingombranti: assassini di professione, ladri e malfattori di ogni specie, spie e banchieri spregiudicati, politici corrotti e giudici compiacenti, amministratori pubblici al soldo della malavita organizzata.
Rievoco tutto questo non certo per autocompiacermi, piuttosto per constatare che dopo quasi trentanni vissuti pericolosamente, ma con grande soddisfazione professionale e personale, non pensavo di dovermi imbattere, alle soglie del 2005, in una situazione cos spiacevole e tanto sgradevole, antipatica e deplorevole, come questa che devo affrontare per colpa del libro su Gibellina.
In particolare avevo seguito per LEspresso, passo dopo passo, le fasi della ricostruzione del Belice. Avevo dato conto dei progetti, dei finanziamenti, le ruberie, e i sogni e le aspettative dei terremotati che per pi di ventanni hanno vissuto nelle baracche. Lidea di costruire una nuova Gibellina, allinizio, mi aveva entusiasmato: perch non costruire in una regione tanto dimenticata dallo Stato una citt ricca anche di opere darte? Poteva essere un segno di riscossa, un simbolo di rinascita e di voglia di ricominciare e di reagire alle ingiustizie. Poi, quando ho scoperto che la chiamata alle armi di architetti e urbanisti, scultori e pittori, implicava ritardi e imbrogli, ingerenze mafiose e sprechi per colpa di quelli che dovevano sovraintendere allintera ricostruzione della Valle, ho scritto articoli che ancora oggi non mi vengono perdonati.
Gibellina un sogno italiano infranto, una utopia umiliata, ridotta al rango di un fallimento generale. Tutto questo raccontato nel mio libro, attraverso il racconto dei protagonisti, le testimonianze di chi ha vissuto quel lungo periodo doloroso, i documenti giudiziari che rievocano le inchieste sulla mafia e sugli amministratori, e scavando anche nei fatti per portare alla luce, dopo trentasette anni, retroscena inquietanti sepolti negli archivi dalla polvere del tempo, svelando il significato di episodi clamorosi destinati a essere avvolti per sempre dal mistero.
Ma tutto questo non si pu dire alla fine del 2004, dopo 37 anni dal terremoto. Molti cittadini autorevoli di Palermo e dintorni si sono risentiti. Perch rievocare antiche storie di dolore e di malaffare? Perch fare i nomi e i cognomi di coloro che hanno sulla coscienza tanti misfatti? Perch fare questo affronto a tante persone per bene che oggi vivono tranquillamente come se nel Belice niente fosse avvenuto? Insomma, ho commesso un grave errore, anzi come qualcuno dice in Sicilia, un errore, tra virgolette, per far capire che non di semplice sbaglio si tratt ma di una vera e propria sfida a chi ancora conta da quelle parti e che non ama farsi ricordare.
Quando tre anni fa ho deciso di scrivere un libro su Gibellina, dal sisma del gennaio 1968 ai giorni nostri, ero consapevole di incontrare molti ostacoli nella ricerca di documenti e testimonianze. E cos stato. Ma il libro alla fine venuto fuori: il parere di alcuni critici (Antonino Saggio tra i primi), di molti architetti (Franco Purini, che ha lavorato molto a Gibellina, si detto entusiasta del libro), lincondizionato consenso e appoggio di antiTHeSi nelle persone di Sandro Lazier e Paolo GL Ferrara, e il caldo e affettuoso sostegno del patron di Stampa Alternativa, Marcello Baraghini, mi hanno convinto che il lavoro svolto buono.
Ma a Palermo e in tutta la valle del Belice questo non interessa. Non importa nemmeno che dopo 37 anni il libro abbia contribuito a smascherare alcuni inquietanti retroscena che stanno dietro alla ricostruzione. Te la do io Brasilia considerato off limits. Nelle librerie non appare; i giornali di Palermo lo hanno ignorato nonostante fossero gi state scritte almeno due recensioni. E a Palermo non stato possibile fare una presentazione che era gi stata prevista: erano previsti il luogo e la data. Poi tutto stato buttato allaria. A Palermo, ci stato detto gentilmente, meglio non fare molto rumore sul libro altrimenti l autore e l editore verrebbero sommersi da una valanga di querele. Ma nel libro tutto documentato e niente si pu smentire. Ma le querele intanto si possono fare, autore ed editore si dovranno presentare in tribunale, poi si vedr. Ma avete idea che cosa vuol dire essere querelati? Io ho ricevuto nella mia carriera oltre 90 querele per diffamazione. Non sono mai stato condannato. Ma ho dovuto affrontare difficolt di ogni genere: smentite, rischio di risarcimenti, processi lunghi e sfibranti. Una vita dinferno. Questa la nuova arma di chi, sentendosi minacciato da un libro, non vuole confrontarsi prima con i fatti e poi con le idee degli altri.
Tutto questo ricorda tempi antichi, ormai quasi dimenticati, tenuti in vita soltanto dalla letteratura e dal cinema: il proibizionismo in Usa. Ecco, a Palermo c aria di proibizionismo per il mio libro su Gibellina. Mi dispiace moltissimo che gli studenti della facolt palermitana di Architettura e Ingegneria, che hanno dimostrato su un portale di battaglia la loro solidariet nei confronti del libro desasparecido, non possano procurarsi una copia di Te la do io Brasilia. Il libro su Gibellina come una bottiglia di pessimo whisky negli anni 20 in America. Il paragone assurdo e anche buffo, ma non siamo molto lontani da questa realt.
Mario La Ferla
  ...
  16/1/2005
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