Luigi Turra feat. Tadao Ando
Texture.Vitra
di Sara Bracco e Emanuela Giudice
- 17/10/2008

Architettura come spazio compositivo e formato tanto originale quanto essenziale
per il progetto del giovane sound-artist Luigi Turra, quasi a voler contenere
o trattenere, nella leggerezza delle raffinate linee dell’imballaggio, la
materia composta al suo interno. Texture.Vitra(1)
si costruisce su di un'unica traccia e poco meno di una ventina di minuti di rarefazioni
sottili e pulviscoli sonori, registrati lo scorso anno a Weil-am-Rheim, dove la
“condizione del luogo” crea la strumentazione necessaria e adatta
per comporre.
Così, nuovamente, l’architettura diventa oggetto di applicazioni
trovando nella composizione o nella sua azione ciò che la rende affine
alla musica e alla sua astrazione. E tuttavia, nell’opera di Luigi Turra
non è tanto il processo logico che viene restituito attraverso i veli elettroacustici
quanto l’esperito, risultato di un luogo e di uno spazio, quello del Padiglione
Vitra, progettato da Tadao Ando, ricercato e ascoltato.
Il progetto a Weil-am-Rheim si compone di tre figure poste nella loro semplicità.
Poco più in là un’opera di Claes Oldenburg diventa il diaframma
tra l’edificio di Ando e quello progettato da Frank O. Gehry. Nel Padiglione,
un primo blocco rettangolare è accostato ad un secondo, ruotato rispetto
all’ortogonale. Entrambi terminano nel giardino “murato” da
pareti che ricostruiscono un quadrato, seminterrato in cui i volumi si ritrovano
ad essere collegati da un muro semicircolare. Sembrerebbe quasi asettica questa
architettura che invece è percorribile, utilizza scale per far sì
che le persone possano esperire lo spazio, acquisendo la consapevolezza dell’edificio.
Così come è visibile, attraverso la luce che si ritrova all’interno
passando per pareti di vetro o interstizi. Nel camminare, la luce sovverte l’ordine
collaudato dall’architetto. Quasi d’improvviso, come le rapide interferenze
utilizzate da Turra a suggestionare i silenzi. Flebili. È architettura
tattile questa di Tadao Ando. Fatta di calcestruzzo armato a vista e di listelli
di legno per la pavimentazione. È tattile nel momento in cui una pietra
grezza viene fatta scorrere dal compositore vicentino sulla superficie progettata.
Per un attimo sembrerebbe che all’architettura sia stata tolta la stampella
del Funzionalismo.
È probabile che gli elementi di questo progetto, posti in una determinata
coerenza tra loro generino, a chi guarda, un’idea di ordine. Un ordine tuttavia
non asettico, non lontano, ma fatto di esperienza. Sostiene Ando che affinché
la geometria possa risvegliare le nostre emozioni “necessita di quel tipo
di dinamismo che può distruggere la coerenza logica”(2).
Così tutto diventa molto chiaro nel momento in cui si tratta di cose sensibili,
ricreate da un assetto strettamente geometrico servendosi di tre elementi che
passano attraverso l’ordine, la gente e il potere emotivo.
Ragionare sullo spazio. Tadao Ando rimase particolarmente colpito nell’esperire
lo spazio del Pantheon così come dell’alienazione che aveva dovuto
provare Gian Battista Piranesi nell’incidere le sue Carceri d’Invenzione.
A sua volta, riflettendo sullo spazio progettato dall’architetto giapponese,
Luigi Turra persegue una privazione sonora ai limiti dello stato fisico, dove
la muratura diventa il confine di un territorio a cui negare il caotico mondo
esterno, dove le sorgenti sonore si scontrano, si sdoppiano, rimbombano, si fondono
e scompaiono delineando chiaramente i limiti spaziali di un silenzio simbolicamente
lacerato dal breve trascinarsi di una pietra. Quasi come se questa architettura
racchiudesse se stessa, diventando – spazio archetipico – cella.
Sarebbe riduttivo dire che il territorio comune del lavoro di Luigi Turra e Tadao
Ando sia marcato dalla sola linea del minimalismo. Ché di minimalismi ce
ne sono tanti, condotti in laboratorio o en plain air. Forse è invece il
desiderio di “restituire significato al gesto originario e elementare del
posare, disporre, rilevare, sporgere, accumulare, dividere” (3).
Texture.Vitra è una centellinata scelta di assenza come ricerca
del suono del silenzio, dove l’ambiente ed il contesto diventano un amplificatore
naturale in cui ronzii, impurità sonore e rumori sussurrati ne compongono
l’assetto strumentale d’eccellenza.
Rigorosa astrazione nella continua
ricerca di un universo sonoro.
Da questo link è possibile ascoltare una traccia del brano: http://www.navenight.com/mp3/vitra_excerpt.mp3
(per gentile concessione dell'autore)
(1) L. TURRA, Texture.Vitra, Koyuki 2008
(2) M. FURUYAMA, Tadao Ando, Zanichelli, Bologna 1997
(3) V. GREGOTTI, Minimalismo e architettura, in F. DAL CO, Tadao Ando, Electa, Milano 1994
(Sara Bracco e Emanuela Giudice - 17/10/2008)
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Commento 6476 di Renzo marrucci del 20/10/2008
Tadao Ando' a farsi monaco? Mi sembra di capire tra le righe dell'articolo Bracco-Giudici... Io credo che questo tipo di architettura richiami un desiderio tombale inconscio molto vicino al fascino dello spazio ancestrale della piramide egizia... Avete presente quei corridoi con porte scure e improvvisi gettiti di luce che sembano centellinare o giocare con la presenza dello spazio...dove inserisce neon come a definire un calore che proviene dallo squarcio della parete sia che provenga dal basso sia che provenga dall'alto con il profondo a smaterializzare il piano orizzontale da quello verticale come separazione o invenzione imprevista che ti sbalza l'idea di camminare nel reale...
Ebbene se trovo interessante il riferimento all'astrazione dello spazio di Ando come una proiezione emozionale fondata sul coraggio e sulla paura lo interpreto come una emozione del vivere mentalmente lo spazio in un rappresentazione intellettuale che percepisco come una essenza sacrale e con una idea della cavità che non è solo minimalista ma anche rigorosamente non prevista per la vita. Io non mi ci sento bene in quegli spazi di costrinzione ludica dove l'emozione mi tiene lontano dalla vita...e pare evocare un sentimento di paura che l'architettura dovrebbe contrastare... vincere e risolvere sul piano della gioia di vivere.
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