Boeri a Genova
di Sandro Lazier
- 5/10/2019

Ai tempi miei
dell'università, per essere architetti bisognava spacciarsi per
sociologi: il problema da risolvere, prima d'essere quello
architettonico, aveva da essere quello umano. Il che sicuramente dava
un certo lustro intellettuale alla figura dell'architetto, ma la
scioglieva inesorabilmente nella melassa pedante della filosofia da
salotto. Iniziava così la deriva storicista che, ignorando le
conquiste più intelligenti della ricerca architettonica dei tanti
maestri italiani del dopoguerra, i quali costruivano molto e
parlavano poco, s'infilava nella retorica dei disegnini e delle
citazioni dotte, infine finendo cadavere dentro la pedanteria dei
sepolcri rossiani.
Ora che quella
triste vicenda è stata derisa e archiviata dai sussulti
architettonici di fine secolo, complice anche una crisi economica
importante che ha sicuramente tramortito i progetti più coraggiosi,
assistiamo ad una nuova genuflessione dell'architettura verso la
religione pagana. Si chiama il Verde.
Il verde inteso come
termine in senso molto ampio, che va dalla climatologia
all'ecologia, passando per l'ambientalismo, il tradizionalismo per
arrivare sino al folklore e allo strapaese. Un contenitore capace di
tenere insieme praticamente ogni teoria e ogni livello sociale e
culturale, come usa fare la migliore politica populista.
L'esempio
più evidente di questa deriva imminente è Genova, dove abbiamo
assistito dapprima alla demolizione di un capolavoro
dell'intelligenza italiana per sostituirlo con un cavalcavia
bulimico; da ora con l'approvazione d'un progetto di parco urbano
pensato per l'ecologia, il clima e la fuffa color prato, dove è del
tutto evidente che la capacità del progettista sta più nella
seduzione delle intenzioni che nella sostanza del progetto.
Qui di
seguito le intenzioni del progetto e le parole del progettista
vincitore del concorso per la riqualificazione della val Polcevera
(il corriere della sera):
“L’idea era quella di mettere assieme verde, la memoria delle 43 vittime del
crollo del 14 agosto, la considerazione della storia del posto —
area industriale accanto al porto — e un occhio, importantissimo,
rivolto al futuro, facendo di questo parco una zona completamente
autosufficiente, grazie all’eolico, dal punto di vista energetico.
Sarà «carbon neutral», spiega orgoglioso Boeri: vale a dire che
tutto è stato pensato per ridurre, se non azzerare, le emissioni di
Co2. Tutte le strutture avranno sistemi di produzione di energia
rinnovabile che sarà stoccata in due centri di raccolta, uno dei
quali sarà il gasometro in zona Colisa, che sarà recuperato. Il
parco sarà disegnato come una serie di fasce parallele ognuna con
diverse varietà di fiori e piante. Si potrà fare sport, giocare,
raccogliere fiori e frutti, usufruire di spazi per animali. «Il
Cerchio Rosso abbraccia un territorio — spiega l’architetto
milanese — di ferro, acqua, cemento e asfalto e sarà la memoria di
una potente tradizione di altoforni, gru, carroponti, corre attorno
ai luoghi più vicini alla tragedia. Li abbraccia senza separarli dal
loro contesto, ma anzi legandoli tra loro, salda tra loro le parti
separate con un percorso ciclo/pedonale e distribuisce l’energia
rinnovabile prodotta dai collettori solari - termici e fotovoltaici -
presenti sui tetti degli edifici, dalla Torre del Vento e dalle
pavimentazioni piezometriche (che contribuiscono simbolicamente al
bilancio energetico) convertendo in energia i flussi che percorrono
il nuovo Ponte e il Cerchio. Energia e movimento che confluiscono
nella Torre del Vento».
«Ci sarà molto verde, e questo mi è piaciuto tantissimo», ha affermato
il sindaco Marco Bucci alla presentazione in palazzo Tursi, sede del
Comune. Prevista anche un’installazione chiamata «Genova nel
bosco», concepita dall’artista Luca Vitone, composta da 43 alberi,
uno per ogni persona morta nel crollo del ponte, ma anche ognuno
dedicata a un personaggio ligure protagonista della storia, della
cultura e dell’arte, Montale, Villaggio, Germi, Pivano, Strozzi per
citarne solo alcuni.”
Lontani i tempi miei della sociologia!
Qui, le uniche persone di cui si
parla, a parte quelle standard in dotazione in qualsiasi parco, sono
quelle morte, il sacrificio delle quali serve per pompare retorica
nella pancia della sirena verde. Per inciso, qui c'era un intero
quartiere di persone vive ed attive, socialmente ed economicamente
integrate, la memoria delle quali non interessa ovviamente niente a
nessuno.
Ora, se si sommano le intenzioni del progetto di Piano e
di quello di Boeri - la metafora della nave amica con quella
dell'energia buona (la realizzazione delle quali sparerà nell'aria
tanto Co2 quanto il quartiere ne avrebbe prodotto in 150 anni) -
credo che poche persone potrebbero obiettare alcunché. La banalità
delle stesse sarebbero confutabili con difficoltà in un'analisi
seria. Ma pare funzionino negli alti pensieri della classe dirigente
della politica attuale. Purtroppo, però, le intenzioni non bastano
per realizzare un buon progetto, perché occorre la sostanza:
l'architettura. E qui di architettura non ne vedo un granché.
immagine 1
Dall'immagine 1 non è chiaro quale sia il rapporto tra la grande circonferenza, il
nuovo viadotto di Piano e la trama urbana esistente. Non voglio
avventurarmi nel gioco della ricerca dell'idea originale, argomento
poco interessante. Ammessa, quindi, l'originalità, se si tratta d'un
segno espressivo meglio sarebbe stato privarlo della sua funzione
pratica. Costringere i passanti in un lungo percorso circolare che
non procura alla percezione del paesaggio nessun vantaggio estetico e
pratico mi sembra un formalismo degno della reprimenda d'un qualsiasi
corso di progettazione milanese.
Ma non è tutto.
immagine 2
Dall'immagine
2 risulta evidente come la mole del viadotto di Piano invada il
paesaggio con la presenza degli enormi piloni che, ravvicinati,
ostruiscono la veduta per buona parte della scena. Qualsiasi segno
sottostante non può che subirne l'oppressione. Mentre la
sistemazione dei giardini, le alberature disegnate lungo le
traiettorie della valle e la sequenza degli impianti ornamentali ordinati lungo
linee parallele al fiume e alla ferrovia costituiscono una trama che per scala e
varietà può competere con la massa banale del cavalcavia,
l'inserimento del grande cerchio rosso non fa che ridurre l'efficacia
dell'impianto arboreo e aumentare inutilmente la confusione.
immagine 3
L'immagine 3 ripresenta gli effetti dell'errore di scala del viadotto Piano e
dell'inefficacia del progetto di Boeri.
Non parlo della torre del
vento, altro artificio mediatico che produrrà più energia nella
fantasia degli ecologisti che nelle case dei genovesi.
Rimpiangere
il ponte Morandi mi sembra a questo punto doveroso.
Così come
mi sembra doveroso, visto che la critica operativa a qualcosa
dovrebbe servire, abbandonare l'idea di circumnavigare il Polcevera e
la sua storia, sistemando giardini e infrastrutture, cercando di
ripopolare il quartiere con particolare attenzione ai valori
ambientali ma senza farli diventare manichini per luna park
occasionali.
immagine 4
Le immagini sono tratte dal Corriere della Sera dall'articolo citato
(Sandro Lazier
- 5/10/2019)
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