Architettura: lo spazio dell’incoerenza.
di Andrea Tartaglia
- 7/5/2001

Tutte le società e tutte le epoche storiche sono da sempre
state caratterizzate da peculiari ideali, culture, organizzazioni sociali,
forme darte e tecniche. Le diverse forme di cultura, le tecniche,
le modalità di governo sono figlie delle realtà sociali allinterno
delle quali si sono formate, ma le realtà sociali a loro volta sono fortemente
influenzate dallevoluzione o involuzione nei diversi campi del sapere,
del fare, dellorganizzarsi.
E' infatti impossibile immaginare le piramidi egizie senza una struttura sociale e politica che ruoti intorno alla figura di una divinità, quale era il faraone.
Potrebbe esistere il Partenone, se non ci fosse lAcropoli?
LAcropoli avrebbe senso allinterno di unorganizzazione sociale e politica diversa da quella allora esistente nella città di Atene? E' larchitettura plastica greca che giustifica il demiurgo platonico o è questa idea filosofica che supporta il plasticismo greco?
Quando fra la fine del 800 e linizio del 900 gli architetti del nord Italia si sono trovati davanti al problema di dare unimmagine ai luoghi di lavoro simbolo di una nuova forma di nobiltà, hanno istintivamente scelto di reintrodurre gli elementi tipici dellarchitettura romanica. Non a caso infatti proprio durante i secoli dello sviluppo dellarchitettura romanica, vi fu il parallelo sviluppo e consolidamento del sistema feudale, che diventò la struttura generatrice e governante della realtà sociale del Medioevo. Tutte le società in cui i singoli si dovevano passivamente rimettere ad un governo centrale unico, dominatore, se non tirannico, sono sempre state caratterizzate da architetture imponenti, simmetriche, che ricercavano la monumentalità e si disinteressavano dei loro fruitori.
Ma perché tutto ciò avviene ed è avvenuto?
Perché larchitettura come tutte le forme di tecnica e di arte è figlia dalla sua epoca. Larchitettura è una lingua scritta non con lettere o segni, ma con forme, spazi, suggestioni, e ci comunica messaggi, idee, sensazioni, valori. Certamente larchitettura non può essere sempre così diretta ed esplicita come le parole scritte o dette, come i gesti del corpo o come le immagini che non hanno ragioni funzionali, ma in ogni caso tutte le costruzioni o gli spazi ci comunicano qualcosa. Larchitettura inoltre, a causa delle sue modalità di realizzazione, ha dei tempi di reazione riferiti ai cambiamenti sociali, culturali o tecnici che sono più lenti rispetto ad altre forme di comunicazione, ma ciò non nega il suo valore espressivo. Negli ultimi 30 anni tuttavia in Italia è successo qualcosa di curiosamente anomalo.
La maggior parte dei più conosciuti architetti, a fronte di scritti in
cui esaltano valori come la libertà, lintegrazione, luguaglianza,
il rispetto della persona, lesigenza dellinnalzamento della
qualità di vita, lecosostenibilità, e pur avendo avuto nel dopoguerra
apprezzabili esempi di come sia possibili rinnovare un linguaggio e i
suoi contenuti, ad esempio nelle architetture di Michelucci, Albini, BBPR,
Ridolfi, hanno poi progettato e realizzato architetture che si basano
su elementi linguistici discordanti e incoerenti con le loro intenzioni.
Certamente non bastano alcune invarianti formali o tipologiche per giudicare
negativamente le architetture, ma spesso queste invarianti sono state
organizzate così da esaltare e non per negare il loro significato originario.
Come è possibile criticare i palazzi di giustizia italiani per la loro
immagine fascista e poi esaltare i modelli tipologici del
fallimentare socialismo reale, oppure aspirare alla monumentalità, purezza
e perfezione di architetture nate sotto tirannie e come esaltazione delle
ingiustizie sociali?
Come è possibile prendersi gioco dei limiti di alcune culture o del cinismo umano statunitense e poi importare acriticamente i loro modelli di pianificazione e di organizzazione degli spazi di vita?
Gli architetti-intellettuali italiani, sempre pronti ad impegnarsi per
una idea di bellezza e di giustizia teorica e ideale, sono poi i primi
a rifiutare aprioristicamente ogni tentativo dellarchitettura di
liberarsi di vecchi vocaboli ormai anacronistici per ricercare dei linguaggi
più consoni alla contemporaneità. Si potrebbe obbiettare che è possibile
usare forme, segni, simboli o parole che rimandano alla privazione della libertà, a ingiustizie sociali, a tirannie, alla omologazione, alla
cancellazione di ogni individualità per criticare questi medesimi valori e per esprimere concetti opposti e positivi; ma è credibile che la quasi totalità degli architetti, dei geometri e degli ingegneri italiani abbiano le stesse capacità e doti che possono essere paragonate a quelle mostrate da Aristofane nelle sue commedie?
Non è probabilmente un caso che la maggior parte degli architetti che per primi hanno avuto il coraggio e la forza di decostruire e distaccarsi da unarchitettura ormai obsoleta e sterile, siano accomunati da periodi di grosse crisi personali o da un passato di persecuzioni e ingiustizie. Infatti, spesso, solo una profonda crisi o una grande sofferenza permettono di osservare la realtà attraverso la sua evidente ma spesso falsante immagine per cogliere il reale significato di ciò che ci circonda. E' certamente più facile affrontare un progetto di architettura utilizzando pedissequamente strumenti che sono già stati usati, molte volte con risultati sublimi; ma il sublime è qualcosa di legato alla cultura che lha prodotto. Il rudere di una colonna di un tempio greco è un oggetto dotato di un valore estetico unico perché, osservandolo e toccandolo, siamo in grado di metterci in contatto con la società che lo ha prodotto; una copia in gesso di una colonna di un tempio greco, magari posizionata nel centro di un soggiorno di una casa a Milano, difficilmente può essere qualcosa in più di un pezzo di gesso modellato. Unarchitettura di valore non può nascere da stilemi copiati dal passato, ma deve essere
scritta con vocaboli contemporanei, deve esprimere i valori dellepoca
che lha prodotta.
Esempi emblematici dellincoerenza di molti architetti italiani sono le discussioni che si accendono quando si tratta di intervenire nei centri storici. Tutti sono sempre daccordo nel ritenere che i centri storici debbano continuare ad essere dei centri di vita, che debbano essere rivitalizzati per poter essere conservati. Poi però quando si tratta di intervenire ci si comporta come un archeologo davanti ad unanfora sbeccata; niente va alterato, le parti mancanti vanno colmate con interventi di mimesi. Ma in un museo gli oggetti esposti sono estrapolati da quello che era il loro contesto di utilizzo, hanno in sé il proprio valore e il visitatore li osserva attraverso il vetro di una bacheca.
Una città invece è un sistema di relazioni, è un luogo di vita dinamico,
che se non si evolve muore. Colmare i vuoti urbani, che eventi di diversa
natura hanno prodotto nei centri storici, con architetture contemporanee
non significa deturpare limmagine originaria di una città, anzi,
è un modo per dare un valore aggiunto ai luoghi, per aggiungere storia
alla storia.
Se veramente la nostra società e la nostra cultura è diversa e forse migliore di quelle che lhanno preceduta, si deve avere il coraggio di dare anche allarchitettura la possibilità di dimostrarlo.
(Andrea Tartaglia
- 7/5/2001)
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