Qualità dell’architettura contemporanea nelle città e nei territori europei
di Massimo Pica Ciamarra
- 24/11/2003

Committenza, Progettazione, Realizzazione. L'interazione dialettica fra queste
figure è sostanziale. In ogni trasformazione fisica, chi domanda, chi
progetta, chi realizza sono complici indispensabili, ognuno dei quali coinvolge
un insieme sempre più ampio di soggetti diversi: La Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea incoraggia gli Stati membri
a "promuovere la qualità architettonica attraverso politiche
esemplari nel settore della costruzione pubblica". Esprime quindi la
necessità che specie l'edilizia pubblica abbia livelli di qualità
elevati, livelli esemplari cioè capaci di indurre effetti imitativi.
Obiettivo: la qualità diffusa, innescare emulazioni e concorrenzialità.
Presupposto basilare della qualità delle trasformazioni dello spazio
è infatti una domanda ben strutturata, fiduciosa, desideri di trasformazione
espressi da un contesto sociale esigente e da committenti formali che ne siano
acuti interpreti, nello stesso tempo forti di una visione d'insieme. Questo
primo presupposto della qualità urbana e rurale è il prodotto
della cultura di una comunità: va assicurato da politiche che favoriscano
la conoscenza e l'incontro, pluralismi e contaminazioni, che sostengano ad esempio
sia strumenti come gli "urban center" sia ogni altra forma
o struttura di comunicazione tesa a rendere sempre più consapevoli ed
esigenti i "committenti reali". La qualità delle trasformazioni
fisiche è innanzitutto espressione culturale. In molti centri del passato
riconosciamo proprio questo: un sistema, un "cervello collettivo"
che ha stratificato attenzioni, equilibri e disquilibri. La traduzione delle
esigenze e dei desideri dei "committenti reali" in termini
di domanda - definita nei caratteri, nelle quantità e nelle prestazioni
- impone al "committente formale" di avvalersi di programmatori,
che nelle best practices, quando occorre, coinvolgono anche esperti apparentemente
non tecnici come economisti, sociologi, psicologi, filosofi. Nelle singole azioni
la "qualità della domanda" - aspetto primario della
qualità delle trasformazioni fisiche - per quanto compete al committente
non impone particolari costi. Occorrono modesti investimenti perché il
progetto si fondi su un attento studio di fattibilità ed un intelligente
ed articolato "programma". A differenza di "qualità della domanda" e "qualità
di concezione" - che costano poco in termini diretti anche se molto
in azioni strutturali e politiche mirate - sia la "qualità dello
sviluppo tecnico del progetto" sia la "qualità della
realizzazione" implicano risorse adeguate. Specie sotto quest'ultimo
profilo il raffronto è sconcertante. A parità di intervento la
spesa italiana è una frazione di quella di altri paesi europei. Se i
budget a disposizione registrassero la differenza di reddito pro-capite delle
varie regioni non vi sarebbe problema. Ma allora un km di autostrada, metropolitana
o fognatura non dovrebbe costare sostanzialmente lo stesso in Francia, Germania,
Spagna e così via; né dovrebbe essere analogo il costo di automobili,
telefonini, arredi o prodotti alla moda. La differenza dei budget - dei costi
unitari a mq. nei vari paesi dell'Unione Europea - registra quindi la differenza
di attenzione al costruito, ai paesaggi, all'ambiente, alla qualità della
vita. Con conseguenze sia sui rapporti sociali, la vita d'ogni giorno, il vero
benessere di un popolo; sia sui paesaggi e le città dove le persone sono
felici, dove le forme esprimono valori, attraggono, richiamano. La qualità
delle trasformazioni spaziali si eleva rintracciando nuovi equilibri fra vari
aspetti e vari fattori. Ma chi giudica della qualità? Come la si riconosce?
Il giudizio è sociale, corrisponde sì alla cultura di una collettività,
ma soprattutto a fiducia nel futuro e visione prospettica, libera dal rifugio
nella conservazione ed ambiziosa di trasformazione. L'Unione Europea - della
quale sono simboli unificanti senso della città e valori dell'architettura
- ha assunto i principi di Maastricht, la logica del confronto e della concorrenza.
La Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea incoraggia gli Stati membri
perché promuovano "politiche esemplari nel settore della costruzione
pubblica". Nel nostro contesto, ancora molto da riformare, segnali
positivi non mancano: l'istituzione della DARC con la ben articolata definizione
dei suoi compiti in termini di formazione, conoscenza e promozione; l'evolversi
dei rapporti internazionali e l'azione del CNA; realizzazioni importanti cominciano
a delinearsi in molte città italiane. La velocità di questi processi
è però modesta, non è paragonabile a quanto si evolve altrove:
per l'architettura il sistema-Italia non rappresenta oggi un reale e diffuso
riferimento sul piano internazionale. La "legge quadro sulla qualità
architettonica" approvata dal Consiglio dei Ministri è una tappa
importante, ma richiede altre azioni finalizzate. In questo contesto, l'INARCH
va sostenuto nel suo impegno apparentemente marginale, ma nella realtà
profondo: l'incentivazione del dialogo fra esponenti di ogni forma di espressione
culturale, committenti, progettisti, realizzatori. 23 novembre 2003, Bologna - Teatro Manzoni - Seminario internazionale "Qualità
dell'architettura contemporanea nelle città e nei territori europei"
- Semestre di Presidenza italiana dell'Unione Europea - Ministero BB.AA.CC.
/ Direzione Generale per l'architettura e l'arte contemporanee.
- la realizzazione non riguarda i soli costruttori. Cresce l'incisività
dei produttori di componenti impegnati ad investire in ricerca per raggiungere
livelli di eccellenza nel duro confronto internazionale;
- la progettazione è oggi compito di partnership sempre più articolate
e complesse. Le diverse competenze non interagiscono in azioni a cascata. Sono
necessariamente compresenti sin dalla fase di concezione, quella in cui si fissa
il DNA del progetto;
- infine, come sono distinti i ruoli di chi è chiamato a fornire risposte
- il progettista dal realizzatore - anche la committenza si diversifica: il
"committente formale" ha il compito di interpretare e strutturare
in articolata domanda le aspirazioni e le esigenze del "committente
reale".
Leadership verso partnership: senza confusione di ruoli, ciascuna delle tre
figure corresponsabili della qualità dell'architettura - in senso lato
di ogni trasformazione fisica dell'ambiente di vita - è coinvolta in
un processo che conduce verso assetti evoluti e promettenti.
Anche la "qualità di concezione" del progetto - altro
aspetto primario della qualità degli interventi, ma di competenza del
progettista che interpreta, arricchisce e collabora anche nella rimessa a punto
della domanda - sostanzialmente non costa. E' proprio in questa fase della progettazione
che il progetto è azione critica prima ancora che articolazione tecnica
della risposta. Richiede analisi, studi, conoscenza; soprattutto si avvale di
confronti, giudizi critici; è il prodotto di partnership progettuali
motivate, esperte, con dimensioni e complessità disciplinari opportune.
Tutto ciò ancora una volta è una quota irrilevante del costo dell'opera
nei singoli progetti, specie se ne si valuta anche il costo di gestione. La
qualità di concezione presuppone però significativi investimenti
strutturali - sia nella formazione dei progettisti (tema complesso, richiede
ragionamenti specifici), sia in politiche di promozione e continuo sostegno
di gruppi integrati, competitivi in ogni contesto. L'assenza di investimenti
in tal senso si avverte: diversamente dai progettisti di molte altre regioni
d'Europa, gli italiani non hanno mai goduto di un reale sostegno del loro governo
sulla scena internazionale, perché qui l'architettura non è ancora
colta come risorsa, elemento trainante dell'economia, né è considerata
motore del commercio estero, dell'esportazione di tecnologia e innovazione.
Una diversa consapevolezza porterebbe a politiche mirate. Ne è prova
evidente l'invasione di progettisti di altri paesi, sempre più vistosa
in questi ultimi anni, alla quale non corrisponde analoga presenza dei progettisti
italiani al di fuori della penisola. Non è lo stesso per costruttori
e produttori di componenti.
Committenza, progettazione, realizzazione: è sempre utile sottolineare
come questi ruoli siano fortemente condizionati dal sistema normativo che ne
regola interazioni e distinti processi; un sistema che può rendere probabili
o meno probabili, eccezioni o miracoli, architetture di qualità. Le ancora
recenti regole sui lavori pubblici invece di favorire l'essenziale collaborazione
fra le tre diverse figure, esaltano conflittualità e fratture. La frattura
committente/progettista è insita nelle regole di concorrenza che impongono
la pratica dei concorsi, confronti sostanziali per la qualità di concezione
del progetto: conclusa la fase di concorso, questa frattura può essere
però sanata eliminando l'impropria e burocratica sequenza di conformità
fra le successive fasi di sviluppo pretesa dalla legge vigente. Vanno anche
individuate evolute forme di superamento della frattura progettista/realizzatore:
quella che frena l'innovazione tecnologica e riduce la competitività
internazionale del sistema-Italia. Inoltre il magma normativo specifico (che
perdura malgrado il cosiddetto Testo Unico), il paralizzante intreccio delle
competenze, sovrapposizioni dei ruoli, pongono ostacoli significativi alla ricerca
di qualità. Peraltro l'invito dell'Unione Europea a "politiche
esemplari nel settore della costruzione pubblica" dovrebbe portare
a mutare in radice la stessa legge italiana che privilegia i progetti redatti
dagli uffici interni alle amministrazioni pubbliche, o tollera incarichi mascherati
da consulenze, in quanto consente progetti e architetture sottratti al confronto
fra alternative. In Italia gran parte della spesa nell'edilizia è dovuta
ad interventi privati. Perseguire la qualità degli interventi impone
di rivedere e snellire l'apparato normativo contraddittorio, sovrapposto ed
intrecciato, che avvolge piani e regolamenti. L'incertezza normativa spinge
infatti la committenza privata verso progettisti non sempre selezionati su basi
qualitative, ma in forza della capacità di sostenere favorevoli interpretazioni
della norma. La richiesta del permesso di costruzione si trasforma così
in tentativo interpretativo, per cui in questa fase il progetto è necessariamente
rapido e banalizzato, non è diretto ad obiettivi di qualità; poi,
quando c'è, la fase successiva è "conforme",
non pensa ne osa riscatti. In altre realtà la chiarezza normativa invece
fa sì che le costruzioni vengano autorizzate solo sulla base di progetti
ben documentati, attentamente visualizzati nelle logiche di contesto, opportunamente
dettagliati.
Alla qualità del costruito poi si oppongono sia criteri obsoleti (ad
esempio, l'ancora diffuso riferimento ad indici di edificabilità espressi
in mc/mq, con quanto ne deriva in termini di espulsione di funzioni e complessità
urbana, bassa inerzia termica del costruito e via dicendo), sia anacronistiche
tariffe professionali che fissano corrispettivi rapportati al costo di costruzione
e non all'efficacia delle soluzioni di progetto (ad esempio, in termini di risparmio
energetico o di adozione di tecnologie non abituali). Contro la qualità
sono inoltre i condoni edilizi quando rendono "regolari" trasformazioni
prive di appropriate valutazioni; lo sono le recenti estensioni della "dichiarazione
di inizio attività" che legittimano nuove edificazioni o trasformazioni
dell'esistente basate su banali equivalenze quantitative o su semplici corrispondenze
volumetriche. Ad altri livelli - quando consentono trasformazioni ambientali
e paesaggistiche in assenza di analisi qualitative tese ad obiettivi veri, ampi
e condivisi - sono contro la qualità anche "accordi di programma"
e "leggi-obiettivo", innovazioni comunque preziose malgrado
accentuino il distacco fra istituzioni e cittadini, fra "committente
formale" e "committente reale". Occorre un patto sociale
teso alla qualità dell'ambiente, dei paesaggi e delle stratificazioni
che la storia produce di continuo: una collettività matura esprime analogo
interesse per la tutela del patrimonio del passato e per la formazione del patrimonio
del futuro. Lo splendido intreccio fra natura ed artificio insito in molti dei
nostri paesaggi mostra che è possibile: occorre determinare condizioni
che consentano ad ogni intervento, alle infrastrutture come agli edifici, di
arricchire il territorio di nuova qualità e bellezza. Il sistema normativo
(è interessante lo spunto introdotto per gli interventi privati, proprio
in Emilia, dalla città di Faenza) deve incentivare la sensibilità
verso la qualità. L'obiettivo della qualità degli interventi si
persegue anche elevando la velocità delle realizzazioni - cioè
minimizzando la distanza temporale fra nascita dell'esigenza e disponibilità
dell'opera che la soddisfa - rendendola almeno paragonabile a quanto si riscontra
in altri paesi europei. I nostri tempi sono perlomeno il doppio di quelli spagnoli,
olandesi, francesi e così via. Peraltro la velocità di realizzazione
può riflettersi positivamente su come si giudicano i concorsi di architettura,
strumento essenziale della collettività per perseguire la qualità
attraverso il confronto fra le possibili risposte alle sue domande, pur se molto
da migliorare perché ne sia favorita la reale efficacia.
Ma l'obiettivo della qualità delle trasformazioni spaziali si persegue
soprattutto dotandosi di una classe professionale al tempo stesso giovane ed
esperta, sensibile ai valori della contemporaneità. Questo impone anche
l'intelligente superamento delle separazioni disciplinari, l'affermazione piena
e concreta della cultura dell'integrazione, l'ampia condivisione di alcune gerarchie
di valori; quindi vera saldatura - logica e temporale - fra urbanistica ed architettura,
o meglio fra piano e progetto. Questo chiede anche di riflettere sul distacco
fra teoria/ricerca/formazione e "pratiche", causa di degenerazione
per ricercatori (privi del rapporto con la realtà della pratica edilizia
ed urbanistica) e professionisti (appiattiti su pratiche ripetitive o avulse
dai processi di trasformazione).
Comunità Europea - risoluzione del 12 febbraio 2001
(Massimo Pica Ciamarra
- 24/11/2003)
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Commento 518 di Mara Dolce del 25/11/2003
(...)Ne è prova evidente l'invasione di progettisti di altri paesi, sempre più vistosa in questi ultimi anni, alla quale non corrisponde analoga presenza dei progettisti italiani al di fuori della penisola(...)
Gentile Pica Ciamarra, l”invasione”? se la presenza dei progettisti italiani al di fuori della penisola è zero, è perchè, diciamocelo una volte per tutte, sono delle schiappe strepitose rispetto ai colleghi che ci “invadono”. E’ perchè non sanno gestire un progetto, e nessuno rischia i propri soldi per architetti che non sanno fare gli architetti.
Sì lo so, è brutto scrivere queste cose sopratutto perche’ da almeno quattro anni alcuni suoi colleghi dell’In/Arch battono una lagnosa grancassa sulla mancata visibilita`della Giovane architettura italiana, brava ma sfortunata, poverina . E’ la scorciatoia ai problemi reali, converrà con me che in tre anni di promozione di giovane architettura italiana tutti ricordano i nomi dei critici promotori ma non quelli dei promossi. Quanto all’In/Arch, se uno legge I suoi comunicati , quest’ultimo stesso, quello sul condono, quello di Guzzini, trova che siano delle cose condivisibili nel complesso, niente di che per carità, ma apparentemente equilibrate. Poi cercando un riscrontro ai condizionali delle vostre dichiarazioni: “si dovrebbe fare, si dovrebbe dire, noi faremo noi diremo” entrando nel sito www.inarch.it, ci si sloga la mandibola dallo sgomento . Che fa l’Inarch per i giovani architetti?
Chiede soldi. Vediamo come:
“L’in/arch, nel suo costante impegno rivolto alla promozione dell’architettura, si fa fautore di un’iniziativa che intende sfruttare i vantaggi offerti dalle nuove tecnologie informatiche a favore di una visibilità che solo con difficoltà si riesce a conseguire. Ha per esempio realizzato un sito web, con lo scopo di trasferire in rete tutte le proposte, le idee, le battaglie che da oltre trent’anni porta avanti, scontrandosi con una realtà italiana sempre ostile alle novita” www.inarch.it/../progetti_in_rete l’in/arch per “il suo costante impegno rivolto alla promozione dell’architettura chiede ad ogni partecipante un contributo di Euro 75 + IVA ogni due mesi di permanenza in rete” .
per le iniziative in corso invece abbiamo il discusso e discutibilissimo Master digitale, costo: 3.950 Euro più IVA, non ha un marchio di qualità ISO e ancora non si capisce da chi è riconosciuto. Borse di studio: una (grazie ad antithesi e a me che lo scorso anno abbiamo fatto il putiferio) quest’anno il master e’ partito mettendo la sordina sperando che non ce ne accorgessimo.
I corsi di informatica invece, sono a pagamento, i docenti e i costi delle lezioni ad ora, sono più o meno gli stessi di quelli del master, solo che si chiamano in modo diverso, (basta vedere i risultati del master dello scorso anno per capire di cosa parlo)
A parte Tavole rotonde, qualche mostra, un’incomprensibile Campagna di pubblicità sociale dell’Inarch “paesaggio: il nuovo creato”, (???)
gentile Pica Ciamarra, non c’e’ altro, NON c’e’ altro.
Davvero uno non capisce perchè .” In questo contesto, l'INARCH andrebbe sostenuto nel suo impegno apparentemente marginale, (diciamo assolutamente marginale ndr) ma nella realtà profondo: l'incentivazione del dialogo fra esponenti di ogni forma di espressione culturale, committenti, progettisti, realizzatori.”
Si ha la sensazione che all’inarch si “dialoghi” troppo, e che a parte fare i riassunti di cose che girano per confezionare manifesti, non si faccia altro. Perchè invece non cerca di capire le ragioni del perchè i progettisti italiani contano zero nel panorama europeo? Perchè bisognerebbe cominciare dall’università a fare un po`di pulizia, ecco perchè , troppo scomoda la faccenda.
Commento 517 di Beniamino Rocca del 25/11/2003
Trovo preoccupante, e un pò sconsolante, che su temi così importanti e vitali per l'architettura il vice-presidente INARCH si dimostri più preoccupato di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, piuttosto che affondare con coraggio il dito nella piaga. La piaga di un sistema che ogni giorno perde competitività internazionale, un apparato pubblico sempre più potente e burocratizzato che tenta di sopravvivere a se stesso promuovendo contemporaneamente conferenze e congressi vari: Condoni edilizi e leggi sulla Qualità architettonica.
Come si fa a lamentare la troppa burocrazia e poi parlare bene del DARC e del CNA.
Uno scatto d'orgoglio lo si può chiedere ancora ad una associazione un tempo benemerita?
insomma, andrebbe denunciato con forza, nei congressi dove INARCH è invitato, che è inutile promuovere leggi e direttive sulla qualità ambientale se poi, di fatto, si lascia la legge Merloni così com'è: a ferrea difesa della "Quantità'" e, vigorosamente, contro la " Qualità". Questo è il punto fondamentale, questo il bubbone da estirpare.
Ma guardiamoci attorno, cosa ha fatto l'INARCH dal '94 ad oggi per modificarla questa legge? Questa legge è contro l'architettura, diversifica e frammenta l'unitarietà del progetto e della sua realizzazione, tutela l'edilizia e le imprese di nome ma non di fatto, consente persino lo "scippo legalizzato" delle idee da parte del responsabile di procedimento nei concorsi.
Cosa ha fatto l'INARCH per impedire che i giovani architetti fossero così spudoratamente esclusi dal mercato del lavoro attraverso la richiesta di presentazione di curricula che non possono avere?
Altro che dire "La frattura committente/progettista è insita nelle regole di concorrenza che impongono la pratica dei concorsi" (e così fare il gioco di chi i concorsi non li vuole proprio). Nelle regole della libera concorrenza non c'è niente di " insito". Basterebbero concorsi palesi, onesti e con pubblico dibattito delle giurie, cosa semplice, non costosa, che gli ordini professionali però hanno sempre rifiutato. Che ne pensa invece l'INARC di concorsi fatti così? e delle modifiche alla Merloni proposte dal Co.Di.Arch e apparse proprio su Antithesi nei giorni scorsi?
Altro ancora ci sarebbe da dire (ad esempio, lamentare i tempi burocratici troppo lunghi e dire che gli "accordi di programma" sono contro la qualità è una palese ignoranza. Gli "accordi di programma" sono una potente conquista democratica, uno strumento della gestione urbanistica formidabile che mette intorno al tavolo, contemporaneamente, istituzioni diverse -anche politicamente- e le obbliga ad un accordo!), ma per ora mi fermo qui.
25/11/2003 - Massimo Pica Ciamarra risponde a Beniamino Rocca
Le sintesi non sono sempre felici: Beniamino Rocca vede condiscendenza verso la DARC ed il CNA, non legge chiare prese di posizione verso la Merloni, non ne coglie il senso e quindi accusa di palese ignoranza l’inciso sugli “accordi di programma” (definiti “innovazioni comunque preziose malgrado accentuino il distacco fra istituzioni e cittadini, fra “committente formale” e “committente reale”). Sono certo che un vero faccia a faccia ci farebbe trovare su posizioni analoghe, senza equivoci.
Colgo invece gli stimoli del suo commento perché l’INARCH rafforzi il suo impegno contro le attuali norme che in Italia regolano i processi di trasformazione dello spazio.
Rocca chiede anche cosa su questi temi ha fatto l’INARCH dal 1994 in poi. Queste le tappe principali della nostra azione: 1994, preparazione e coordinamento del Seminario sulla Qualità Architettonica nell’ambito della Conferenza Nazionale sull’edilizia; quindi serie di manifestazioni nel Chiostro della Pace a Roma ed in molte città italiane con il lancio di un “Appello per l’Architettura”; giugno 1995 (2 giorni dopo la riedizione della Legge), l’INARCH trasforma l’”Appello” in “proposta di legge d’iniziativa popolare per l’Architettura”; è la base assunta nel 1997 dall’Observatoire Internationale d’Architecture che diffonde un “progetto di Direttiva Europea per la qualità dell’architettura e degli ambienti di vita” dal quale viene tratto il “Codice di Autoregolamentazione” per le Amministrazioni pubbliche. Qui è la radice prima del Disegno di Legge per l’Architettura 1999 del quale, nelle audizioni parlamentari, l’INARCH denuncia l’insufficienza; nel 2000 l’INARCH istituisce un “Tavolo di concertazione” con CNA, CNI, INU, ANCE, OICE ai fini di una pressione congiunta; …
Oggi non sono utili processi, accuse e difese, ma reali, concrete e strutturate, sinergie che determinino la massa critica indispensabile per raggiungere obiettivi sui quali ormai in molti sostanzialmente si concorda.
Commento 520 di Remo Gherardi del 26/11/2003
Non sono certo qui per difendere l'in/arch, che proprio non me ne potrebbe importare di meno; ma di sicuro non capisco l'acrimonia di certi commenti quando si fanno bella bocca di dare addosso ai professionisti nostri connazionali. Non sanno gestire un progetto, si dice, rispetto ai colleghi esteri che fanno razzia di incarichi nella penisola: e sarebbe un bell'esempio di gestione del progetto quello, già oggetto di dibattito nella rivista, di Genova?? E che forse Richard Meier -e mi rifaccio ancora a un caso qui dibattuto- ha "gestito" il progetto di Tor Tre Teste? Se l'avesse fatto come per l'Ara Pacis si potrebbe ancora solo dire messa in un garage laggiù...E tutto il resto è ancora nei sogni delle Hadid, Decq e compagnia. Mentre fuori d'Italia mi pare che qualcuno che ha nome Piano, o Fuksas, o Gregotti o Aulenti e via discorrendo, qualche mattoncino l'ha impilato.
I problemi e gli scandali esistono, ma non risolviamoli con la meschinità.
Commento 524 di Mara Dolce del 27/11/2003
Delle cose lette e fin qui scritte da Remo Gheradi mi auguro le seguenti cose:
a) che Remo Gherardi sia uno studente;
b) che Remo Gherardi sia uno studente del primo anno;
c) che Remo Gherardi sia uno studente del primo anno della facoltà di farmacia e non di quella di architettura;
d) che Remo Gherardi sia uno studente del primo anno della facoltà di farmacia dell'università di Praga e da solo pochissime settimane in Italia in viaggio di piacere o studio, con chiare difficoltà di lettura della lingua italiana e che pura casualità si sia imbattuto, in un momento di noia o di stanchezza, girellando su Internet, in una rivista digitale di architettura. E che volendo lasciare poi un segno del suo passaggio del (mi auguro) piacevole soggiorno italiano , abbia scritto qualcosa tanto per esistere, cosi' come fanno di solito i vandali che incidono i l proprio nome sui ruderi.
Se per Remo Gherardi non è valida alcuna delle ipotesi (a,b,c,d), vuol dire che e' pronto per iscriversi ad un master digitale (se già non lo frequenta), io potrei consigliarlo in proposito, affinchè potenzi le sue "sconosciute e neglette" possibilitá. ma preferirei consigliarlo in privato, in primo luogo perchè ci siamo allontanati molto dalla pertinenza dei commenti allo scritto di Pica Ciamarra qui proposto, e in secondo luogo per evitare ai lettori di perdere tempo e a me di trattenermi dall'insulto che avrei tanto piacere di riferirle.
Commento 523 di Remo Gherardi del 27/11/2003
Dal controcommento della signora Dolce emerge un luminoso scoop: è lei l'architettura italiana! La impersona alla perfezione: negletta e sconosciuta. Scusi, signora Dolce: ma lei che titoli ha per pontificare in quel modo? ci apra il suo book delle meraviglie... Il commentarismo parolaio al solito sorvola sui fatti e loda l'intelligenza per coprire il vuoto dello spirito.
Commento 522 di Mara Dolce del 27/11/2003
Risposta a Remo Gherardi riferimento commento n.520
Egregio Remo Gherardi,
non sia modesto, Lei non solo non capisce “l’acrimonia di certi commenti” (non so cosa voglia dire in italiano "che si fanno bella bocca di dare") ma molto, molto di più: per esempio, che cosa significhi per un architetto saper gestire un progetto. Che poi Lei sia a distanze siderali dalla pratica dell’architettura, ma vicinissimo al provincialismo architettese italiano, emerge in maniera inequivocabile dall’impostazione ridicola di argomenti del tenore "...colleghi esteri che fanno razzia di incarichi" e dal pensare che l’architettura italiana sia Piano, Aulenti e Fuksas. Sorvolando sul delirio incomprensibile del “garage laggiù” di Meier e sul tutto il resto dei “sogni delle Hadid” ecco direi che i problemi si risolvono in primo luogo con l’intelligenza. Non so se lei e’ d’accordo….
Commento 529 di Remo Gherardi del 29/11/2003
Ha perfettamente ragione Mara Dolce nell'invocare la pietà dei lettori sottoposti alla sequela delle sue contumelie. Trattenendosi dall'insultare direttamente ella ci rende noto in un sol copo di disprezzare: gli studenti in generale e le matricole in particolare, i farmacisti, i praghesi, il digitale terrestre, e, perché no, anche Piranesi che era uso lasciare la sua firma sui ruderi che poi immortalava. Avesse avuto, invece, la cortesia di rispondere, tanto tedio ci sarebbe stato risparmiato.
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