Sognate città & città sognate
di Brunetto De Batté
- 8/11/2005

Antonio Tabucchi (2) raccogliendo le citazioni & frammenti di Fernando Pessoa
ci regala questa farfalla “chi volesse riassumere in una parola la principale
caratteristica dell’arte moderna, la troverebbe perfettamente nella parola
sogno. L’arte moderna è arte di sogno” bene ed allora inseguiamo
questo volo come traccia del dipanarsi del discorso.
Se ogni storia dell’architettura segna l’avvio del moderno tra illuministi
(Etienne Louis Boullée, in Architettura,saggio sull’arte) e William
Morris
( Art, Wealth and Riches) ritroviamo il grande sogno che si protrae per tutto
il contemporaneo .
E’ proprio con “Notizie da nessun luogo” (3) sino ai “non
lughi” (4) o “altri spazi” che si estende il visionario mondo
dell’immaginario, città sognate, città disegnate, città
ideate, aspirate, attese, cercate, descritte, modellate, sperimentate, proposte,
progettate, teorizzate, fumettate, filmate, scolpite, cantate…
Il modernismo (che verrà preceduto poi dal termine movimento) è
pervaso da modelli diversi tra utopie & distopie, comunità & società,
movimenti & manifesti, trattati & dottrine, tutto mosso in una ricerca
continua tra ritrovare la New Polis ed il vivere insieme in un prossimo futuroventuro.
E’ per questo, un po’ per tracciare una costellazione di frammenti
ed un riassunto visivo, che ho organizzato una doppia proiezione musicante ad
introduzione del convegno.
Da una parte scorrono le copertine dei testi, trattati, saggi, romanzi, fumetti,
teorizzazioni … attorno al tema senza ordine una sorta di caleidoscopio
(tutto schiacciato sul presente) che si compone parallelamente a figure, immagini
di “città sognate” tutto accompagnato da brani musicali che
nell’ordine a sequenza scandivano lo spazio sonoro nel crescendo del tempo
o meglio del tempo alle molteplici cronometrie e/o cronospaziologie.
Questo è il luogo del sogno dei sogni, ed appartiene a tutti, il luogo
delle idee, lo spazio dove ogni immaginario rifiorisce e libra come in un farfallario
ogni volta che lo si attraversa, senza voler niente ma avere in se tutti i sogni
del mondo.
Non vi sono nostalgie ne rimorsi nel visitare questo luogo, è il mondo
delle teorie, il mondo delle idee, dei modelli e tra questi vi si trovano anche
macchine infernali ed infernanti. frammenti e rottami contrapposti a giardini
dell’eden.
Esiste una ricca bibliografia a riguardo che segnamo qui a note (5), ed è
da suggerire (per studi approfonditi) la biblioteca specializzata di Pierre Versins
in Svizzera , che raccoglie ogni documentazione sulle declinazioni del tema.
Visioni, sogni di città dai fumetti con Little Nemo & Valentina /Crepax,
e futurologie spaziali con Gordon & Barbarella tanto per accennare un argomento
(territori di Ferruccio Giromini) e subito per scivolare dal cartoon al cinema
con il Pieneta Proibito & Blude Runner e/o Matrix oppure mettiamoci da Dog
Ville a The Truman Show (orizzonti di Aldo Viganò). Fumetti e cinema sono
una ricca sorgente immaginifica, che in realtà traspone dalla letteratura,
fatti, circostanze e dimensioni del definire sogni e città, sono gli strumenti
del comunicare che fissano in modo diretto le immagini nell’immaginario,
sono la vera vsoglia del sogno ad occhi aperti.
Ma Il disegno/progetto e la letteratura hanno il peso maggiore come i trattati
teorici e sociofilosofici…
della letteratura sono interessanti i contenitori enciclopedici come:
l’ Almanacco Bompiani di “Utopia rivisitata” (5) & “il
Manuale dei luoghi fantastici “(7); e successivi saggi per l’architettura
e la città che si correlano in “Il futuro dell’utopia”
di PLGiordani (8) con un suo seguito in “l’utopia nell’architettura
del ‘900” di S. Santuccio (9).In questa prospettiva non vanno trascurate
le ricognizioni dalla storia dell’urbanistica di Choay & Benevolo (10)
alle visioni di new city con Rowe (collage city(che raccoglie un po’ tutte
le posizioni anche storicistiche da Leon Krier a Marco Romano) (11)& Koolhaas
(smlxl) (12)… affincate dalle ricognizioni storiche attraverso la sociologia
elaborate da Elia (13) sino alle ricerche contestuali di Gazzola & Ilardi
(14).
Ma nella miriade di racconti e innumerevoli romanzi tra i più noti val
la pena di citare “la città sognata di Calvino e la città
vissuta di Pennac o di Benni.come afferma Luigi Ciorciolini (15) “Uno scarto
che è, in buona sostanza, l’esserci col corpo. Le città invisibili
assumono i colori delle tele impressioniste, sfumano la loro fisicità nei
particolari che solo l’occhio di un viaggiatore esperto può notare,
particolari che diventano l’essenza stessa della città, tra il deserto
e la metropoli. Città leggere perché sono racconto, quindi cariche
di un patos “al passato”, rappresentano l’esperienza che può,
perché conclusa nel momento in cui le si lascia, essere detta nella sua
compiutezza. Rappresentano una prova generale di come sarebbe vivere in quel luogo,
come se nelle sue parole, l’immaginario Marco Polo di Calvino, offrisse
quello che nella vita di un uomo non si offre mai, ma la renderebbe leggera: il
distacco. Il sapere già quali azioni sono equivalenti, il sapere già
che il peso dell’eterno ritorno è un fardello che fa parte del gioco,
non ne è lo spauracchio. Felice Kundera! E accanto a quelle che sono le
città oniriche di Calvino, tutte segni, sensazioni, immagini, c’è
la Belleville chiassosa di Pennac, che pullula di vite parallele, divergenti o
convergenti, indifferenti, vite che si toccano ed emanano odori e puzze, che respirano
affannosamente, che urlano e si muovono incrociando ritmi e desideri. Così,
la città si colora di mercati e scantinati, di crimini e notti d’amore,
i suoi luoghi diventano, prima di tutto, architettura di personaggi che li popolano.
Non c’è più una città progettata, ma solo una città
costruita, giorno per giorno, con le ossa dei suoi abitanti, con i mattoni che
ognuno ha impilato per allargare il suo angolo di mondo, con le tende colorate
che sventolano le une sulle altre. Belleville confonde le razze e le culture,
trascina via con le scope dei netturbini i rimasugli di notte, i rimasugli di
sogni - quei sogni in cui le città diventano miraggi di simboli e colori
- e offre il disordine organizzato della società. In certe strade non entrare,
in certi locali non fermarti, da dove vuoi che venga quello che cerchi? scegli
il continente e annusa per le vie di Belleville dov’è. L’importante
è la mappa, i percorsi che hai in testa, quelli che ogni abitante esperto
conosce nel suo spazio abitativo. E soprattutto, cerca di capire presto chi sei,
da dove vieni e dove puoi andare. Non è Parigi, a Parigi si “scende”
dalla collinetta di Belleville, è una città nella città,
come sempre più spesso accade nelle grandi metropoli, che, persa quella
patina di provincialità, si espandono fagocitando ghetti. Gli occhi di
Marco Polo cosa avrebbero visto di Belleville? Forse il sovrapporsi di alfabeti
sulle vetrine dei negozi o le merci di forme e odori sconosciuti, o le case cadenti
affastellate le une sulle altre? O il mercato? Che cosa avrebbe scelto di sognare,
Calvino, pensando a Belleville? L’unica verità è che la città
con la sua ingombrante presenza, non esiste se non nella mente degli uomini perché
è lì che viene immaginata, sentita, significata ed è lì
che si connota come centro di scambio, assumendo le tinte che il sole, la pietra
e le percezioni gli attribuiscono. Dalla città condannata dai rappers alla
città progettata dagli urbanisti, lo spazio si propone come manipolabile
ma si rivela poi come già deciso. Dalla storia, dal clima, dalla terra,
dagli altri uomini che lo abitano. Il paesaggio, oggetto di desideri e frustrazioni
decide degli umori, dei caratteri, dei grandi eventi storici e dei piccoli drammi
quotidiani. Decide anche che il Lupetto di Benni deve cercarsi un “quisipuò”
per giocare a pallone in mezzo a un mondo di “proprioquà” urlati
dalle finestre al primo rimbalzo della palla, nella periferia vuota, ingombra
di palazzi tutti uguali. Squallidi nel presagio del loro crollo, del disintegrarsi
della civiltà che difende lo spazio privato con la violenza contro l’irruzione
della vita reale. E contro i ragazzi che rubano arance per le loro fidanzate.
Una città di piccoli personaggi che si stagliano come eroi di una tragedia
greca, davanti alle manifestazioni in cemento armato del potere e dell’indifferenza,
che costruiscono sotto terra, nelle stradine ai margini dello spazio urbano e
dello spazio sociale, le loro personalissime città, mappate con nomi di
abitanti che sono il distillato di un’idea e arrabattano la loro vita tra
gli eroismi e le miserie della metropoli.”
Quindi, in qualche misura, anche qui una città sognata perché costruita
con particolari che diventano significanti solo nel dispiegarsi di una storia
personale, particolari, che, come nelle visioni di Calvino, connotano uno spazio,
confondendo il confine tra il sognato e il reale.” Innumerevoli straordinarie
immagini scorrono come figure nella memoria dei tempi dalle sette meraviglie entrate
nel sogno della leggenda all’ architettura radicale (16) tra monumenti continui
ed istant city, questo immaginario disegnato è sempre lo latente al progetto
e ogni qial volta stuzzica la città fisica nella sua trasformazione. Ma
in punto è importante da definire l’immagine e l’immaginario
di una città reale… Credo che “Le città invisibili”(17)
di Italo Calvino sia un libro da consigliare agli studenti di architettura, come
libro di testo in parallelo a “Come si fa una tesi di laurea” (18)
di Umberto Eco. Due libri strumentali, ma il primo più che mai un vero
manuale di lettura della città, il secondo un vero breviario per comporre
con metodo capitoli, bibliografie etc. Calvino ha sempre provato a parlare di
spazio, come nelle Cosmicomiche dove argomenta la forma dello spazio o il racconto
"senza colori" che introduce alla visione monocroma (un po' tipica quasi
di tutte le scuole d'architettura), e dalle collezioni di sabbia o il parallelo
Palomar sino ad arrivare alle Lezioni americane, il percorso si fa sottile e raffinato,
astrae sempre temi di architettura, offrendo un prezioso settaccio dove far passare
Eisenman, Holl, Ito, Piano, Foster... diventa una rilettura spoglia dai giochi
di posizione stilistica o di categoria. Qui sta il punto: rileggere anche il Novecento
non più per categorie di movimento ma per grandi temi riconducibili a letture
possibili di chi usa e consuma lo spazio, fuori dagli specialismi. Infatti le
dinamiche del "consumo e/o d'uso" sono insiemi che movimentano in modi
esponenziali fruizioni e spostamenti mettendo a dura prova il senso dell'architettura
e della città. Sotto questo profilo ritorna un senso complesso dei tempi
come cronologie o meglio cronometrie, le dinamiche in un punto dello spazio possono
essere correlate a più dimensioni temporali in interscambi di tempo, qui
sta la modernità. La dimensione e lo spazio hanno sempre avuto una relazione
a parametri come la fatica, un tempo misurabile in forza lavoro, al concetto di
spostamento unico per tutti (giornate a cavallo) e questo cadenzava spazio tempo,
o meglio ancora, come rincorreva ancora (in tempi "moderni") il Giedion
nel volume Spazio tempo architettura (19). Dimensioni del tempo oggi che si dilatano
in bolle di sapone e s'infrangono dopo l'uso, questo spazio veramente contemporaneo
e relativo produce dinamiche dove è quasi impossibile fermarne lo stato,
o sospenderlo, questo fluido errante di flussi, di scambi, di comunicazioni, di
immagini... come un torrente, segue naturali scoscesi piani drenanti in turbinii
metamorfici. Forse qui sta l'interesse osservativo di chi ha organizzato la Biennale
[l'ultima Mostra di Architettura della Biennale di Venezia, "Metamorph",
ndr] in chiara lettura metamorfica, o quelli sono i primi segnali di eventi (già
conosciuti) prossimi in divenire?! Comunque si pongono cronologie come ed oltre
ne Il castello dei destini incrociati. A questo, e dopo il panagirico, volevo
introdurre due libri nuovi chiave da leggere contemporaneamente e così
poter rileggere Le città invisibili che introducevo prima. I libri in questione
“Percorsi anomali” (20) di Giuseppe Zuccarino e Taala (21) di Marco
Ercolani. Il primo è in riferimento alle peculiarità del lavoro
degli autori esaminati: Bataille, Caillois, Klossowski e Michaux. Ognuno di essi
infatti è caratterizzato da una visione fortemente personale della scrittura
e dell'esistenza in genere, visione che lo conduce spesso a formulare teorie e
a realizzare opere insolite e contrastanti rispetto a quelle consuete. Se qualcosa
li accomuna davvero in profondità, è proprio l'irregolarità
del loro modo di pensare. Sia che affrontino temi di per sé scottanti o
sgradevoli, come quelli dell'erotismo perverso, della follia o della morte, sia
che propongano idee inusuali in ambiti che parrebbero rassicuranti o definiti
da tempo (come quelli relativi al rapporto tra natura e cultura, arte antica e
arte moderna, linguaggio verbale e linguaggio non verbale), essi riescono ogni
volta a spingersi in una direzione personalissima, magari opinabile ma di sicuro
esente dal vizio della gregarietà. A ciò si aggiunge una diversa
provocazione, quella che investe la forma stessa delle opere, nelle quali si ritrovano
i più insospettati incroci fra prosa e poesia, racconto e saggio, letteratura
e filosofia, finzione ironica e discorso serio. Questo lavoro raffinato di Zuccarino
mi ha riportato a quei registri del lavorare nel già costruito, patrimonio
ormai di scuole italiane con sfumature lievi da Genova a Palermo, ma non solo
mi ha riportato a un gioco sapiente già tracciato da Queneau in “Esercizi
di stile” (22), un saper lavorare con diversi registri di linguaggio sullo
stesso oggetto. Il secondo libro tratta di una città, forse aggiuntiva
a quelle invisibili di Calvino, e come dice l'autore "sono tentato dal descrivere
Taala come si descriverebbe una città mirabile, enigmatica o terrorizzante.
Insomma, costruirti il romanzo della città, perché tu possa leggerlo.
Ma Taala non era così. Chi si aspetta un'oasi romantica vide dei palazzi
d'acciaio: chi avrebbe voluto una città d'acciaio affondò in una
palude. Insomma Taala deluse tutti. Per un certo periodo di tempo, ci sentimmo
quasi irrisi da lei: il suo opporsi ai nostri desideri ci sembrò il pensiero
diabolico che ci opponeva per non essere posseduta. Poi cominciammo a capirla.
E allora divenne il bello amarla, provare un senso di stupore e di rispetto, di
felice meraviglia... ecco cos'era Taala: una città sventrata, una trincea
con nubi di polvere e di fumo, i sacchi di sabbia nelle strade, gli schermi che
si gonfiano nell'aria, secondo il vento... Taala è proprio così:
una città incerta di sé che tutti possono plasmare, come un vaso
di cera...". Un racconto che rimanda si a Calvino ma apre immaginari delle
periferie, delle mutazioni figurative secondo Kroll, o la Beirut secondo De Carlo
dove la partecipazione gioca il ruolo del vaso di cera e non solo architettura
per architetti.
Non confondiamo i sogni formali con i sogni sociali che nascondono i veri bisogni,
molta architettura d’oggi è uno spettacolo di stars di effimero d’immagine
sviluppata con sperpero di denaro comune, l’architettettura ha perso ironicamente
la funzione, come se ogni senso di vita si sia dissolto nell’affermazione
della rappresentazione, così come avviene nella “casa del grande
fratello” dove il sogno è il divenire celebre nella metropoli della
comunicazione non facendo nulla di nulla. Ben diversi sono i sogni e le aspirazioni
di chi ci provava a recuperare una condizione contadina o artigianale in epoca
industriale attraverso le comunità, sia qui in Europa che nel Nuovo Mondo.
Ogni sogno comunque, rispetto all’epoca pre-moderna, aveva ed ha bisogno
di un “proprio tempo” un tempo relativo, una sospensione di tempo.
Già prima introducevo al ragionamento tempo e spazio che prende struttura
ed articolazione secondo Antonino Saggio in un suo ultimo contributo in Arch’it/webzine
declina:
[1] IL TEMPO È LA PRIMA DIMENSIONE DELLO SPAZIO
[2] LO SPAZIO È UN INTERVALLO PERCORRIBILE
[3] PUNTO È CIÒ CHE NON HA SPAZIO, NÉ TEMPO
[4] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO INFERIORE È CONTENUTO DA UNO SUPERIORE
[5] DA UN SISTEMA INFERIORE SI HA PROIEZIONE DI UNO DI LIVELLO SUPERIORE
[6] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO È VALIDO AL SUO INTERNO E HA UNO SPAZIO
E UN TEMPO AUTONOMO
Ma per cercare di capire veramente che cosa è uno spazio a quattro dimensioni
dobbiamo aggiungere ora una settima formulazione:
[7] IN OGNI SISTEMA DI LIVELLO SUPERIORE COESISTONO INFINTI SISTEMI DI RIFERIMENTO
DI LIVELLO INFERIORE.
”Ora, domandiamoci, questo spazio a quattro dimensioni come è fatto?
Che cosa succede al suo interno? Naturalmente funzionano tutti i punti descritti
anche se ampliati di una caratteristica fondamentale che è condensata
proprio nella settima formulazione: dentro uno spazio a quattro dimensioni coesistono
più sistemi di riferimento a tre! Così se in uno spazio a tre
dimensioni coesistono infintiti piani, nello spazio a quattro coesistono infiniti
cubi! Ciascuno può avere orientamento diverso di assi, e naturalmente
non è detto che siano cubici, ma possono essere ovali spiraliformi, sferici
(dato che la conformazione cubica o meglio ipercubica è solo scelta per
semplicità). Ciascuno di questi sistemi di riferimento (tra l'altro non
necessariamente con assi tra loro perpendicolari) può descrivere mondi
diversi dal punto di vista di spazio e di tempo come abbiamo visto anche nei
casi precedenti. Inoltre i diversi mondi possono muoversi velocissimamente l'uno
sull'altro generando i fenomeni, solo apparentemente paradossali, della relatività
einsteniana”.
Nisargadatta Maha propone un’altra ancora dimensione che si sovrappone
alla precedente “… Immagini di trovarti in un certo punto del tempo
e di occupare un dato spazio; la tua personalità si regge sulla tua identificazione
con il corpo. I pensieri e i sentimenti si susseguono in te, ... e ti fanno
credere, grazie alla memoria, che sei durevole. In realtà sono il tempo
e lo spazio a esistere in te, e non tu in essi... Sono come parole scritte sul
foglio: il foglio è reale; le parole, una pura convenzione. “
Ed ancora Massimo Pica Ciamarra (23) definisce un’altro filtro da aggiungere
allo sguardo “Nella condizione contemporanea aleggiano inedite: la velocità
con cui emergono nuove esigenze (cioè l’accelerazione della domanda
di cambiamento); la coscienza della diversità come valore; tecnologie
che consentono esperienze simultanee in più luoghi. Forse sono anche
questi fattori a far si che una società apparentemente matura (che rifiuta
guerre e scontri fisici come strumenti per risolvere le sue contraddizioni)
presenti crescenti conflittualità nella forma dei suoi spazi con evidenti
carenze di coordinamento. L’assenza di velocità nelle trasformazioni
- lo sconcertante iato temporale fra la nascita di un’esigenza e l’effettiva
disponibilità degli spazi fisici che consentono di soddisfarla - in uno
con l’incapacità di controllare i processi di trasformazione nei
paesaggi naturali ed artificiali, ha prodotto i suoi anticorpi: una diffusa
aspirazione alla quiete, un sopore, soprattutto l’insofferenza verso trasformazioni
ritenute improbabili che, quando avvenivano, facevano rimpiangere quanto c’era
prima “…
Se avvenimenti di rilevanza storica nei secoli precedenti avevano un tempo
di mesi o di anni, come afferma Vittorio Sanna (nel presentare il buovo libro
di Augè (24) su Arch’it/webzine)
“ oggi siamo sottoposti ad un tempestivo e non selezionato stillicidio
di informazioni che hanno la pretesa di sembrare fondamentali, e che accelerano
il concetto stesso di storia e del corso del tempo. Se il tempo accelera il
passo, lo spazio si restringe. Lo sviluppo dei mezzi di trasporto permette spostamenti
sempre più brevi, ma non solo: la circolazione delle immagini di ogni
posto sulla terra, ci fa sentire vicini a luoghi distanti, accorciando virtualmente
lo spazio che ci separa da essi. Il sistema economico globale e le nuove forme
di consumo contribuiscono all'individuazione dei destini costretti dei popoli.
Dove il futuro diviene presente
A questa prima ambivalenza se ne aggiungono altre: il patrimonio dei luoghi
si presenta sempre più come un oggetto di consumo, al quale segue che
il viaggio si costituisce come verifica di ciò che già si conosce
come immagine. Un turista verifica che Venezia sia esattamente come le immagini
dei dépliant o delle cartoline! Così il simulacro penetra sempre
più nella realtà. L'uomo contemporaneo si fa cullare nell'illusione
perché il suo mondo si dirige verso la propria spettacolarizzazione.
È a questo punto che Marc Augé pone l'attenzione sulle rovine.
Le rovine, secondo la sua tesi, riescono ad uscire dal gioco folle del mondo
contemporaneo. Sfuggono al "tempo reale", alla "diretta",
poiché risvegliano nell'osservatore la "coscienza della mancanza":
l'occhio si posa su di esse come se fossero un oggetto contemporaneo, e, al
contempo, una data incerta a loro attribuita rende quasi impossibile un riferimento
ad una epoca fissata nella memoria storica come immagine.
Le rovine sono l'alternativa al tempo storico e allo spazio spettacolarizzato
poiché in esse si avverte il "senso puro" e la "massiccia
attualità". Le rovine sono il culmine dell'arte nella misura in
cui accolgono in sé molteplici passati e, quindi, molteplici scritture
di viaggio. La loro bellezza dipende dalla loro inafferrabilità. Ma Augé,
finito il trattato, afferma che la bellezza è propria anche dei non-luoghi.
Questi, con il loro cambiamento di scala e il loro porsi come oggetti dell'attualità
che contengono infinite differenze, accedono al tempio della bellezza. Hanno
la bellezza di ciò che non esiste ancora. La speranza di Marc Augè
è "quella di reimparare a sentire il tempo per riprendere coscienza
della storia" .
Su questo si può innestare il lavoro di Elena Rosa sulle “pratiche
informali del tempo libero da un tempo per sé ad uno spazio condiviso”
(25) che alimenta la dinamica delle forme dello spazio nel tempo d’uso…
Tutto questo per sottolineare il bisogno e la necessità di grandi sogni,
non piccoli , ampi e di di respiro, sogni condivisibili dentro la polis, sogni
che sollecitino immagini ed immaginari …
E’ in questi sensi che ho cercato d’impostare la proiezione, come
conoscenza, memoria, resti archeologici di un passato dei sogni, come possibile
terreno per strumenti di progetto
In parallelo al tempo presente, un modo di avere riferimenti comuni in un immaginario
di sogno, insomma “una speranza progettuale” con più etica
e meno idea di formalismo compreso il gratuito de-costruttivismo.Mi piacerebbe
chiudere con una battuta sul registro delle visioni ironiche postdadaiste dei
“fichi d’india” ma basta l’idea del salutarci con un
sorriso.
Seguendo lo sguardo del Signor Palomar
Ritorno a Carrara dopo anni, appunto per il convegno, la ricordavo una città
più grigia e spenta, ora , sarà la giornata solare cristallina
di un novembre mai visto, la riscopro ridente diamantina.
Mi ricordavo bene del teatro Animosi e di tutti gli scorci suggestivi che offre
la città antica che rivedo sfilando velocemente in auto per trovare un
parcheggio.
Mi ricordavo, come in un’immagine fissa da polaroid, di una mostra sparsa
per la città, era gli anni inizio sessanta, e lì potevi trovare
sculture di Moore, Raschemberg ,Pomodoro, Melotti, Greco…mi affiorano
alcune affermazioni dei compagni di liceo sull’orgoglio diffuso nei confronti
delle cave e la coscienza dell’arte del lavorare il marmo… un ritorno
tra memorie e ricordi.
Di solito non mi preparo mai , per nessun convegno, ed anche questa volta è
così.
Ho ascoltato i diversi interessanti interventi, l’articolato e preciso
discorso dell’Assessore, la stesura del programma della curatrice della
mostra, “l’amica di trincea”, Marisa Vescovo e l’intervento
strategico dell’economista.
Sono queste tracce importanti e considerevoli,degli oratori precedenti, che
mi hanno portato alla similitudine dei racconti di Italo Calvino soprattutto
alla raccolta Palomar , le osservazioni del Signor Palomar. In questo libro
, come in Collezioni di Sabbia, si raccolgono sguardi dall’osservazione
di un’onda all’aiula di sabbia, dalla ricerca del modello dei modelli
all’ universo come specchio.
Uno sguardo attivo narrante, uno sguardo dinamico analitico lontano dal contemplativo,
in sostanza suggerisce Calvino, attraverso le peripezie dell’occhio curioso
del Signor Palomar.
Dico questo per introdurre alcuni concetti di riconoscibilità e di unicità
della città, in un mondo dove l’immagine ha sostituito integrando
la parola e la comunicazione modella il linguaggio l’immagine della città
diviene dinamica & sfaccettata certe volte dissolta.
Lavorare sull’immagine & l’immaginario è un tema contemporaneo
per tutti, è un ritrovare il senso comune dello stare insieme nella Polis
che si modifica e si dilata in spazi /tempo che sono sempre più articolati.
Cronologie &cronometrie s’intrecciano ed il tempo diventa misuratore
sostitutivo dello spazio condizionando la stessa architettura.
Così la città e le città si dilatano e si restringono a
territori che diventano arcipelaghi dei luoghi o non luoghi, dove l’immaginario
si ritrova nella città pensata, con la misura degli spazi. Il viandante
nella mappa, può segnare collezioni di sabbia, come musei di pietre,
sapendo che dentro ogni opera c’è un racconto, come scrittori che
disegnano.
Si è parlato d’arte e sappiamo che l’arte è necessaria
per vivere, per crescere, per rinnovarsi, per comprendere… immaginiamo
una città diffusa con presenze d’arte, con paesaggi che modellano
forme rissolvendo banali funzioni, o ancora non luoghi, spazi allotropi, dismissioni.
Pensare ad un museo come rovescio del sublime in una diffusa dispersione nel
territorio.
Il paesaggio emerge a questo punto come luogo degli scambi, delle mutazioni,
ma soprattutto la riscoperta del valore dei luoghi.
Certe volte s’insegue ciecamente la modernità, nella sua espansione
tecnologica nelle sue accelerazioni temporali che accomunano appiattendo i valori…facendoci
godere paesaggi telematici o scrivanie virtuali con fondi onirici di paesaggi
lontani…
Immaginiamo fortemente chiudendo gli occhi di pensare al deserto… ad un
deserto bianco… come le cave…alla sua luce intensa…al suo
profondo silenzio fatto di ridondanze di suoni silenti… sospendiamo il
sospiro e dimentichiamo il metropolitano, il concettuale, il pragmatico efficientismo…
Lasciamoci andare sempre ad occhi chiusi in un perdersi nel puro silenzio…
Le cave, il primo naturale materiale, il suono unico dell’ambiente, fa
riscoprire silenzi naturali, tempi sospesi, il valore della materia.
Siamo nell’epoca dove virtuale&reale convivono… un virtuale
,che si è evoluto da rito a mito in sito sempre non a caso il Calvino
propone la trilogia de “il visconte dimezzato”, “il Barone
rampante” e “il cavaliere inesistente”…,questa con divisione
di due mondi & modi paralleli coesistenti hanno a che fare con gli sviluppi
il nuovo intendere gli orizzonti e gli obiettivi.
Ritornando all’arte come la città d’arte, sono strumenti
di sollecitazioni dei sensi e delle emozioni, strumenti che ci riportano ad
una condizione di con-fronto & dialogo… come in un colloquio ripercorribile
attraverso “le città invisibili”.
Ho parlato di “tempo mangia Tempo”, tracciando possibili traiettorie
nel paesaggio & territorio,e accennando ad arcipelaghi immaginari, ho segnalato
dei temi possibili di lavoro tra immagine&immaginari, riscoprendo la città
nella sua complessità attuale, con contraddizioni e collisioni…
Ho raccontato delle microstorie adoperandomi sui testi di Italo Calvino, per
farmi comprendere, almeno spero, sono un architetto urbanista e il mio dire
certe volte disciplinare so ch’è incomprensibile…
Vorrei raccontare ancora una breve storia…
(PREMETTENDO , PER NON ESSERE FRAINTESO, CHE I MIEI STUDI ULTIMI E PROGETTI SONO RIVOLTI ALL’EFFIMERO SIA NEL CAMPO DELLO SPETTACOLO CHE DELL’ URBANO CON DIVERSI LAVORI SULLA COMUNICAZIONE COME NUOVA DIMENSIONE PER LA DEFINIZIONE DELLO SPAZIO…)
VORREI RACCONTARE UNA STORIA DI IMMAGINI & PAESAGGI
DAL SAPORE DI SALE
Alle città di pietra si sono sovrapposte città di latta, poi di
vetro, poi ancora di luce e insegne...
ora dopo i vuoti urbani e spazi allotropi più i non ... il virtuale arranca
trovando uno spazio parallelo come doppio al reale.
Modificazioni rapide del territorio; mobilità ma anche incorporazioni
e sostituzioni
in dinamiche legate ai flussi di popolazioni emigranti che stratificano favorendo
la complessità dei rapporti e delle tensioni dello spazio, dilatando
le identità e le tradizioni.
Informazione: continua, costante, plurima, invadente, l'informazione svela segreti
piccoli e grandi, personali e universali, parziali verità provenienti
da ogni angolo della terra, che sono sfornate senza tregua e che ci vengono
date in pasto. Il mondo, e ogni sua trasformazione, ci viene continuamente offerto
su un piatto d'argento
Movimento: di persone, di merci, di dati, di sogni reali e virtuali. Tutto si
muove, nulla si distrugge, tutto si modifica, cambia forma, nome, colore, in
un mondo che fa della metamorfosi una tecnica di ipnosi, un camaleontico travestimento,
nonché il suo principio informatore…
Immagine: nel caos metamorfico che informazione e movimento impongono al mondo
è lasciato alle immagini il compito di creare un ordine apparente….
Ubiquità e stanzialità convivono in un alternarsi di due mondi
a fusi orari diversi...
In ultimo, partendo dal prezioso valore, conservato nelle viscere delle Appuane
il futuro credo per aver ulteriori argomenti di conversazione stà nella
traduzione delle cinque “lezioni americane” = leggerezza, rapidità,
esattezza, visibilità, molteplicità…
Sperando in una rinascita, come accade per quasi tutte le città europee di reinventarsi un futuro di sviluppo ed identità, questo accade da Milano a Genova, da Roma a Catania …città che cambiano rotta si ridisegnano si ripropongono al territorio, sono sicuro che con l’energia schietta la città solida fatta di marmo e di animi forti ha già trovato nella sospensione di tempo il suo ritmo ed il suo immaginario collettivo.
Riferimenti
- A.Terranova, città sognate. La Nuova Italia, Firenze
- F. Pessoa, Il poeta è un fingitore, (duecento citazioni scelte da A. Tabucchi), Feltrinelli, Milano 1988
- W. Morris, notizie da nessun luogo , Silva, Teramo 1970
M. Augé non luoghi: introduzione ad una antropologia della surmodernità - Elèutera, Milano 1993 (a cura di M. Baldini) il pensiero utopico, città nuova, Roma 1974; B. De Batté e G. Santinolli, tra il dire e il fare: utopia e comunità, (con schedature) Sileno, Genova 1975
- AAVV, utopia rivisitata (a cura di R.Cirio e P. Favari) Almanacco Bompiani 1974
- G. Guadalupi A. Manguel, manuale dei luoghi fantastici, Rizzoli, Milano 1982 ; assieme al precedente rappresentano una quasi completa schedatura sulle utopie , fantautopie e distopie letterarie.
- PLGiordani Il futuro dell’utopia, Calderini, Bologna 1969
- S. Santuccio l’utopia nell’architettura del ‘900, Alinea. Firenze 2003
- F. Choay la città utopie e realtà, Seuil, Parigi 1965; L. Benevolo le origini dell’urbanistica moderna, Laterza, Bari 1968
- C. Rowe F. Koetter collage city, Saggiatore, Firenze 1981
- R. Koolhaas smlxl , Monacelli, New York 1996
- G.F.Elia sociologia urbana, Hoepli, Milano 1971
- A. Gazzola Gli abitanti dei nonluoghi. Un’indagine sui senza fissa dimora
a Genova, Bulzoni, Roma, 1997; La riqualificazione delle periferie urbane
(a cura di, con L. Lagomarsino), Erga Edizioni, Genova, 1997; La ricerca urbana,
in F. Carrer, L’anziano e il suo habitat. Sicurezza e qualità della vita,
EDS, Roma, 1998; Metaferìa. Dialogo sulla città, (con C. Puccetti), L’Harmattan
Italia, Torino, 1999 ; M. Ilardi negli nuovi spazi della metropoli, Bollati
Boringhieri, Milano 1999 e vedi rivista Gomorra;
da Chiara Certomà Città reali, città sognate - Un pensiero sulle Città invisibili di Italo Calvino, La fata carabina di Daniel Pennac e Comici spaventati guerrieri di Stefano Benni
- Il progetto si chiama "Città invisibili", dal titolo di un libro di Italo Calvino, e vuol far emergere la memoria sepolta della città dimenticata invisibile sotto la quotidianità. I grandi teli bianchi, che si prestano alle mille invenzioni dei giovani architetti in erba, fanno nascere città sognate, e i gruppi di artisti di musica danza teatro e di arti visive animano e danno una fisionomia particolare ai luoghi che essi abitano per la durata del progetto.
- B. Orlandoni P. Navone architettura radicale, Segrate, Milano 1974; B. Orlandoni G. Vallino dalla città al cucchiaio, Studio Forma, Torino 1977; catalogo Radicals. Architettura e design 1960/70, a cura di Gianni Pettena, Il Ventilabro, Firenze, 1996
- I. Calvino le città invisibili, Einaudi, Torino 1972
- U. Eco come si fa una tesi di laurea, Bompiani, Milano 1995
- S.Giedion spazio tempo architettura, Hoepli, Milano 1984
- G. Zuccarino Percorsi anomali , Campanotto, Udine 2002
- M. Ercolani Taala, Greco&Greco, Milano 2004
- R.Queneau Esercizi di stile, Einaudi, Torino 1983
- M. Pica Ciamarra, in Archimagazine/webzine
- M. Augè rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, Milano 2004
- E. Rosa sulle “pratiche informali del tempo libero da un tempo per sé ad
uno spazio condiviso, tesi di dottorato IUAV xvi ciclo 2004
(Brunetto De Batté - 8/11/2005)
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