ADI
di Gianni Marcarino
- 13/7/2006

Lunedì 10 luglio sono stato invitato presso la sede ADI, in Milano, ad
un incontro per definire la nascita della Delegazione Distribuzione omonima.
ADI, ovvero Associazione per il Disegno Industriale che riunisce dal 1956 progettisti,
imprese, ricercatori, insegnanti, critici e giornalisti intorno ai temi del design.
Per l'ADI il design è la progettazione culturalmente consapevole, l'interfaccia
tra la domanda individuale e collettiva della società e l'offerta dei produttori.
Interviene nella progettazione di prodotti, servizi, comunicazione visiva, imballaggio,
architettura d'interni, e nella progettazione ambientale. Il design è un
sistema che mette in rapporto la produzione con gli utenti occupandosi di ricerca,
di innovazione e di ingegnerizzazione, per dare funzionalità,
valore sociale, significato culturale ai beni e ai servizi distribuiti sul mercato.
Così recita una pagina del sito.
Potrà sembrare paradossale ma in tanti anni la categoria della vendita
non era formalmente rappresentata all’interno dell’associazione. La
componente finale sulla frontiera del mercato è rimasta a lungo fuori dalla
stanza dei bottoni. Lacuna che il presidente Forcolini intende ora colmare con
la costituzione di un gruppo di lavoro composto in modo specifico dai rivenditori
di oggetti di design. Questa intenzione raccoglie in forma pragmatica una visione
espressa da De Fusco in “Storia del Design” in cui viene
individuato un processo che passa attraverso la progettazione, la produzione e
la distribuzione per giungere al consumo. Questo processo si può definire
Design e, coerentemente in ogni passaggio, deve esprimere le modalità di
pensiero e di qualità che sovrintendono la realizzazione di un percorso
ricco di significati.
Questo è un modo di vedere la distribuzione fattivamente coinvolta in un
progetto complessivo che dia senso etico al commercio, inteso come terminale attivo
di scelte condivise alla radice del processo di progettazione e produzione.
Altre scuole di pensiero hanno limitato la definizione di Design alla progettazione
come momento in cui convergono, nella soluzione, istanze funzionali ed estetiche;
ambito in cui ci si confronta con il mondo dell’arte da un lato e il mondo
della produzione dall’altro.
Oggi la storia si complica per l’inflazione che ha subito la parola Design.
Parola magica che apre le porte di nuovi mercati e possibili fortune e legata
al made in Italy, altra parola chiave, che promette bellezza e qualità
di vita. In realtà, nei decenni scorsi, una nicchia selezionata di prodotti
ed acquirenti era il mondo del design. Oggi la produzione industriale sopravanza
quella artigianale ed il grande sviluppo di prodotti tecnologici ha creato un
nuovo panorama estetico, cambiando in profondità la vita delle persone.
In questa condizione, dobbiamo affrontare due problemi.
L’inflazione della parola Design, utilizzata per tutto ciò che non
è tradizione e che, in effetti, impiegata nel senso di produzione di pezzi
industriali, copre oggi un campo vastissimo, inglobando merci innovative e di
qualità, ma anche prodotti di basso livello e di riproducibilità
estremamente semplice. Tutto diventa design, come molto può diventare facilmente
made in Italy.
L’altro tema è il paradosso che ci appare evidente quando ci accorgiamo
di persone che vivono per gran parte del loro tempo in compagnia di oggetti assolutamente
contemporanei, dall’auto all’abbigliamento, agli accessori e poi,
a casa, diventano improvvisamente i nonni della regina Vittoria, facendo scelte
architettoniche e d’arredo decisamente anacronistiche, rivolte completamente
al passato, peraltro mitizzato equivocamente come periodo dorato di pace e moralità.
È questo un difetto di autenticità, visto che spesso non si tratta
di manufatti autentici ma di riproduzioni.
Il guaio è che questo pensiero, il quale in architettura ha prodotto
una sicura retromarcia, è espressione dei livelli più alti della
nostra classe dirigente e della nostra cultura, non certo di quello più
popolare. La matrice ne è un atteggiamento puramente contemplativo dell’esistenza,
lontano dal fare esperienza e dal confrontarsi con essa sul terreno della realtà
e della contemporaneità.
I danni sono ingenti, perché la possibilità di sviluppare risorse
e progresso è legata all’innovazione, alla sperimentazione , alla
ricerca e dunque alla qualità. Modalità coraggiose che hanno contraddistinto
il nostro dopoguerra e lo sviluppo economico del nostro paese. Posizioni gregarie
non ci sono oggi consentite dalla aggressività commerciale dei paesi in
via di sviluppo.
Come agire, quindi?
Sul piano locale si può accogliere l’invito dell’ADI di operare
per diffondere questi concetti mediante il lavoro quotidiano, con selezioni e
proposte coerenti. La tutela del diritto d’autore è un altro punto
positivo perché la difesa della proprietà intellettuale degli oggetti
di design produce effetti virtuosi sul suo status qualitativo e comunicativo,
in quanto difeso nel suo aspetto giuridico. Altre forme efficaci di promozione
sembrano inattuabili perché mancano risorse per investimenti che possano
incidere sull’opinione di massa.
Non resta, quindi, che provare a convincere il livello più alto della cultura
e della politica affinché l’innovazione e la ricerca siano elementi
fondamentali della crescita economica e sociale del nostro paese e si investa in risorse e formazione in tal senso. Questo non contraddice la tutela
di quanto di meglio ha prodotto la nostra storia intellettuale e materiale. Anzi,
è il modo più utile di mettere in luce i valori ancora contenuti
nel nostro ricco passato.
(Gianni Marcarino
- 13/7/2006)
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