La voce di Zevi
di Marco Maria Sambo
- 28/9/2006

Bruno Zevi aveva una voce forte, eclatante, decisa, dura, brutale, combattiva.
Eppure, tra una piega e l’altra delle sue sfuriate, si percepiva sempre
una fragilità, uno spazio aperto per la riflessione attenta, una voglia
di confronto leale, un “saper ascoltare” rispettando, in
ogni caso, l’avversario.
Ho avuto la fortuna, nella vita, di collaborare al libro dal titolo “Bruno
Zevi e la città del duemila” (Rai-Eri, collana Centominuti-Saggi,
a cura di Maria Cristina Tarantelli). Questo scritto è una raccolta di
trasmissioni radiofoniche della Rai (con libro e audiocassetta) che Zevi fece
prima di morire. In ogni puntata Bruno Zevi commentava una città d’arte
italiana descrivendo i successi e gli insuccessi politico-architettonici, invitando
di volta in volta un ospite a dialogare con lui.
Il mio lavoro consisteva nell’ascoltare la sua voce, adattandola per la
stesura di un libro, mettendo virgole e punti esclamativi, riversando cioè
in forma scritta un dialogo radiofonico.
Un’esperienza fantastica. Perché, ascoltando decine e decine di volte
una voce, riesci a capire le sfumature dell’umore, la forza, la fragilità
di chi parla. Ascoltare quella voce mi dava allegria, mi metteva in crisi, mi
tirava su, mi buttava giù, nel profondo abisso di ciò che non capivo.
E mi faceva riflettere, sempre. Mi faceva porre moltissime domande sulla cultura,
sull’arte, sull’architettura. Senza trovare, nella maggior parte dei
casi, risposte certe. Quella voce mi dava lo slancio per aprire un libro, per
sfogliare l’architettura divorando le immagini, leggendo e rileggendo. Quella
voce mi faceva sognare perché era autentica.
Credo che, oggi, quello spirito debba essere ripreso nella nostra contemporaneità.
Altrimenti rischiamo, un po’ tutti, di addormentarci mentre parliamo. Figuriamoci
poi se parlano gli altri. Abbiamo bisogno di slancio e di coinvolgimento per creare
dibattito autentico e dialogo vivo, frizzante, aperto al futuro. E per far questo
possiamo guardare, come sempre, al nostro passato, in questo caso un passato prossimo
molto vicino.
Ascoltiamo la voce di Zevi, ogni tanto, per ricaricare le nostre batterie. Ne
vale la pena.
(Marco Maria Sambo
- 28/9/2006)
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