Biennale 2008
di Tino Vittorio e Maurizio Zappalà
- 19/9/2008

Il passato è un ingombro seduttivo, un seduttore presuntuoso di assolute
pretese, il Casanova che non lascia immacolata alcuna vergine al suo passaggio
e che non ammette concorrente. E subdolamente si candida contro tutti i tempi,
contro il suo stesso passato e contro il futuro. Per questa ragione, per evitare
che il passato, non riconosciuto dai minchioni o baldanzosamente riverito dagli
ingenui, occluda delle sue avvenenze il luogo al futuro, per questa ragione
la storiografia lo studia, per scrutarne tutte le sue proteiformi apparizioni
in maschera, sempre in maschera, e per liberare il presente che abbia voglia
o lena di futuro.
"La venerazione del passato… impedisce di capire che l'avvenire non
è già più quello che era...", scriveva Paul Valéry.
Citazione che cade in taglio come apertura delle nostre rapide considerazioni
dell’Undicesima Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di
Venezia. Tutto questo è valido per tutti i paesi e i suoi architetti
tranne che per l’Italia e i suoi architetti. A corto d’idee, negli
spazi delle “Corderie”, siamo presenti italicamente con “Roma
Interrotta” senza soluzione di continuità. Quasi a dire: non abbiamo
proposte per quell'esplosione della città nel territorio, in una miriade
di insediamenti separati, chiamata sprawl. Ciò è solidale,
figuratevi, con l’inaugurazione del ponte di Calatrava a Venezia che è
stata “sorda e muta” con la sua l’intelligentia indigena e
per giunta luogocomunista e sparagnina e devota all’arcaicità,
pigra e ragionieristicamente occhiuta acché i “soldi” andassero
spesi diversamente e meglio! Certo, Cacciari non si è preoccupato dei
suoi elettori e neanche dei fantomatici “ovofans” (quelli che hanno
scoperto l’ovovia solo per i gradini del ponte di Calatrava e non per
i millanta della storia pontesca veneziana. Dov’è, perbacco, l’ovovia
del ponte di Rialto? Abbattiamolo- disse un corpulento architetto con il regolo
nel taschino e il farfallino!). Il filosofo architetto veneziano per soprammercato
ha dato un nuovo incarico a Frank Gehry per accorciare tempi e spazi dall’aeroporto
alla stazione ferroviaria con "Venice Gateway"!
Che goduria! Sì, ci sembra che invece di programmare la città
contemporanea, la Kultura italiana, castrata, goda dell’immaginifico e
delle casa degli avi! E se abbiamo avversato il fenomeno “VEMA”,
nella passata edizione, certo non possiamo salvare “l’ITALIA CERCA
CASA” curata, si fa per dire, da Francesco Garofalo, che con il suo codino
veterosessantottino che fa tanto ancien regime, fa tanto aristocrazia pre-rivoluzione
francese, sembra rafforzare lo slogan, tutto italiano: “noi, sì,
che ce ne intendiamo. Stiamo dalla parte della tradizione. Siamo tutti Palladio,
Vitruvio, Michelangelo e Bernini”. E non, perché, vi siano capitelli
o riferimenti all’architettura greco-latina, ma perché manca coraggio
e azzardo! I pur bravi, Servino, Cucinella e Branzi (certo non giovanissimo!),
sembrano non andar oltre la “carcassa”, la fonte. Allora, ci sembra
che la nostra architettura concettuale, con tutta la buona volontà, non
abbia nulla da dire oltre il trend “ecocostocompatibile”. A ciò
fa eco l’ulteriore passatismo con “Le Visioni dell’architetto”
allo Spazio Thetis, Arsenale Novissimo. Davvero, una testimonianza “tenera”
nella sua inutilità. Ma passiamo alle belle cose!
Al Teatro Piccolo Arsenale la giuria dell'11ª. Mostra Internazionale di
Architettura, presieduta da Jeffrey Kipnis e composta, tra gli altri, da qualcuno
che è stato promosso da giurato per “Piazza Magione” a giurato
sul “serio” (tanto che non ti saluta!), ha deciso di attribuire
nel modo seguente i premi ufficiali: Leone d'Oro per la carriera a Frank O.
Gehry, Leone d'Oro per la storia dell’architettura a J. Ackerman, il Leone
d'Oro per la migliore Partecipazione nazionale alla Polonia (Padiglione ai Giardini),
il Leone d'Oro per il miglior progetto di installazione della Mostra Internazionale
a Greg Lynn Form e il Leone d'Argento per promettenti giovani architetti della
Mostra Internazionale al gruppo cileno Elemental. E per l’Italia o gli
italiani?
Meglio parlare di Scarpa di casa al Padiglione Venezia dei Giardini della Biennale.
Lui, il maestro, disegnava tanto, fino all’ossessione ma da grande architetto.
Memore di Aby Warburg, sperimentava che “Dio sta nel particolare”.
La sua opera dialoga in precoce modernità, in anticipo sui tempi dell’oggi,
con i newyorkesi Diller e Scofidio, con il madrileno Baldeweg e il milanese
Umberto Riva. Il suo orizzonte è alto e coniuga i quattro elementi cosmici
come il fuoco delle vetrerie, l'acqua della laguna, il metallo che si fonde
nel crogiolo e la pietra delle cave, quasi fosse un allievo di Mileto, alla
ricerca dell’archè. E questa è classe immortale! Il resto
ci è sembrata una vera e propria performance dovuta a uno come Aaron
Betsky che ha tanta esperienza e che ha sostenuto il ruolo di un americano a
Parigi.
Ma, ahinoi, siamo a Venezia, in Italia!
(Tino Vittorio e Maurizio Zappalà
- 19/9/2008)
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