Sulla 53^ Biennale Internazionale d'Arte di Venezia
di Gian Paolo Manfredini
- 27/10/2009

LA 53° EDIZIONE DELLA BIENNALE INTERNAZIONALE D’ARTE
oltrepassa se stessa e riapre agli architetti (che ad onor del vero avrebbero
una biennale propria)
“ Facades are not dresses or lipstick. They are organs.“
EDI RAMA
” Le mie non sono creazioni ma terremoti, i miei non sono quadri ma
respiri … “ EMILIO VEDOVA
“ Un’opera d’arte è uno specchio. Se una scimmia
la guarda, non vi vedrà riflesso un santo. “ DANIEL BIRNBAUM
“Fare Mondi” nella sua enunciazione heideggeriana, leggermene
megalomane, ha in certi momenti mostrato fluidità tra le diverse discipline
artistiche; quasi fossero collegate tra loro in una logica trasformativa che
potrebbe far presupporre un’attività costruttiva che, con interventi
di tipo architettonico-ambientale, positivamente, abbracci l’intero campo
dell’esperienza, delle scienze e delle arti. E ciò a costo di sposare
idee di nuovi rapporti con la città, di edificazione sovversive o mirabolanti,
utopiche rielaborazioni di spazi collettivi nella ricerca di innovati inizi.
E, soprattutto, senza ricorrere alle archistar, invero inflazionate
e non più credibili, specie nei loro formalismi mossi dal consumismo
globale.
All’inaugurazione è stato impossibile non notare nell’evento
una forte frenesia mondana di vip, pressoché rispondente alla
frenesia della “novità”, capricciosa, sterminata ed invasiva,
dei mostri scacri e dei mid career lanciatissimi dell’arte contemporanea,
professionisti del successo e del mercato. Mode e novità, e quasi mai
nuovi linguaggi, con un sospetto di compilation senza né capo
né coda, cresciute senza inventività e senza un barlume di linee
critiche di guida, purtroppo.
Ma veniamo a quegli aspetti che, entro quei complessi di spazi e architetture
di straordinaria bellezza che sono gli spazi dei Giardini e
dell’Arsenale, ci hanno colpito favorevolmente; ed anche
a quegli eventi collaterali un po’ sparsi per tutta la città.
Yona Friedman. Il concettualismo urbano del visionario architetto
autore di “Utopie realizzabili” (1975), con la sua installazione
site specific “Ville Spatiale – visualisation of an idea”,
realizzata in collaborazione con gli studenti di architettura, mostra la sua
concezione di arte come pratica condivisa e accessibile anche a chi non possieda
un sapere specialistico, riconducendo una concezione radicale della società
al quotidiano.
Gordon Matta-Clark, fa da contraltare a Friedman con la sua
opera interamente alle prese con il significato stesso di architettura. Gli
alberi e le forme vegetali alludono ad aspetti molto trascurati per la natura
e per le sue connotazioni spirituali ed “energetiche”.
Sotto l’egida di Gordon e Yona si collocano con le loro strutture antimonumentali,
costruttiviste e percettive in fluttuazioni libere, Massimo Bartolini,
Tobias Rehberger e Tomas Saraceno. Quest’ultimo,
in una installazione apparentemente complessa, costituita da corde elastiche
che partono da una forma sferica e si ancorano a pavimento, soffitto e pareti,
aspira a creare un ambiente magico, in cui la proposta concettual-architettonica
possiede la delicatezza della tela di ragno; peraltro, paragona la costruzione
della ragnatela alla struttura astronomica dell’universo, quando le galassie
erano formazioni spugnose lungo filamenti.
La “Quadra Medicinale” di Jef Geys (B) non declama
improbabili futuri, ma mette in scena momenti di vita delle città quasi
fossero rassicuranti eden botanici; una ricerca interdisciplinare sulle
aree metropolitane di New York, Mosca, Brussel, Villeurbanne, impostata su installazioni,
fotografie, interviste, incartamenti, mappe, disegni, giornali, …
John Baldessari, si fa carico dell’ennesimo rifacimento
della facciata del Palazzo delle Esposizioni, con l’esuberanza acritica
di un panorama straniante, banale e fuori luogo, da cartolina, pure con oceano
e palme, imposto sorprendentemente proprio in una città di panorami straordinari
e unici per carattere e significatività, ”Leone d’oro
alla carriera”, come anche la ribelle vedova 76enne di John Lennon,
Yoko Ono.
Padiglione ITALIA - a cura del PARC, la prestigiosa, ma purtroppo
vacillante (malgrado i meriti acquisiti), super Direzione del MI.B.A.C.. Nonostante
le ottime intenzioni dell’arch. Prosperetti, con “Collaudi”
si è avuto uno stanco e un po’ fortuitamente caricaturale omaggio-rivisitazione
nel centenario del Futurismo.
L’ “Omaggio a Pietro Cascella”, allestito
nel Giardino delle Vergini, è invece molto riuscito a far comprendere
la lezione di questo scultore non solo di potente dimensione monumentale e di
riscontro ambientale, ma di autentica e consapevole dimensione pubblica, specie
in spazi urbani di frequentazione quotidiana dove ha aperto dialoghi motivati
di grandi intenzioni emotive e immaginative.
La parte maggiore del “Giardino delle Vergini”,
rimasta per parecchio tempo preda di erbacce e rovi si presenta con un ottimo
recupero dell’area pantanosa e incolta, per opera di Lara Favaretto, e,
con una intrusione paesaggistica inaspettata, esplora connubi di speranza, memoria,
ludicità e fatalità progettuali.
Padiglione AUSTRIA, interessante l’analisi filmica, condotta con diversi
mezzi e strategie osservative, che ne fa D. Margreiter come spazio espositivo
e rappresentativo, utopico, scultoreo, documentario, …
EGITTO, con le fascinose sculture in ferro e foglie di palma di A. Ascalany,
fatte di nuovi modi di parlare, comunicare, coabitare.
GERMANIA, L. Gillick, basandosi su risposte non definitive e su interrogativi
rinnovati, indaga sugli scenari dei processi e modelli sociali post-industriali
funzionanti o fallimentari.
GIAPPONE. Se all’esterno una lugubre tenda nera copre il padiglione, all’interno
vengono radunati pregiudizi, convenzioni, autoritarismi, … trasmettendo
un coraggio di sopravvivere stravagante e allegorico.
GRAN BRETAGNA, Steve McQueen, cineasta acclamato e ospite tra i più attesi
di questa Biennale, con i suoi innati acutezza psicologica, senso di provocazione
e minimalismo formale, affronta in Hunger una riflessione sul concetto che gli
inglesi hanno di nazione e su che cosa hanno scelto e fatto.
“Topological Gardens” di Bruce Naumann (Padiglione
USA), antiestetico e ambiguo artista, che non smette di ricercare tra natura
e spazi pubblici-privati, esaminando la continuità spaziale entro la
variabilità delle condizioni contestuali.
Alexandra Mir, in Progetto “Venezia – all places
contain all others”, 1 milione di cartoline distribuite con l’immagine
di Venezia sostituita con quelle dei luoghi con la presenza di acque, alimenta
la partecipazione del pubblico e l’imprevedibilità degli incontri.
Lygia Pape, passando nel corso della sua carriera da opere
dalla dimensione piccola e intima a quelle grandi e pubbliche, realizza una
tridimensionalità molto inventiva con fili di rame e oro tesi tra pareti,
pavimento e soffitto, dando l’impressione di dissolversi in una immaterialità
cosmica e di essere fatti di pura luce.
Hector Zamora, realizza interventi sociali sott forma di architettura
o scultura, di azione collettiva o di installazioni in luoghi pubblici ; per
la Biennale crea un racconto che immagina una festa di dirigibili sopra Venezia.
“Venezia, Catalunya”, ai Magazzini del Sale, ha
rappresentato un progetto che analizza le strategie di trasversalità
e antagonismi in territori difficilmente definibili, situati tra le crepe sia
delle istituzioni delle arti, sia dei modelli di produttività culturale.
“Vedova”, ai Magazzini del Sale - Non sarà
lo spettatore ad andare verso l’opera, ma l’opera ad andare verso
lo spettatore. Dipinti movimentati da particolari servomeccanismi, predisposti
da Celant e Piano, oltre che realizzare un’azione espositiva del tutto
nuova, sottolineano l’idea di Continuum che è stata alla
base del linguaggio vedoviano.
“La Città Ideale” (AIAP-UNESCO) all’isola della Certosa,
presuppone che oggi Venezia come teatro aperto alla commedia umana abbia raggiunto
il concetto lecorbusiano di “museo a crescita illimitata”.
Presso l’Archivio di Stato di Treviso, sono esposti i progetti per il
Teatro non realizzati di Carlo Scarpa, eseguiti prevalentemente
in grafite, matite colorate e carboncino su carta da spolvero : Teatro Sociale
(1927) e sistemazione del T. Rossini (’37) a Venezia, Carlo Felice (’63)
a Genova, Comunale (’68) a Vicenza ; da essi emerge l’attualità
del Maestro e la sua capacità di instaurare un dialogo positivo con l’antica
arte.
“Venezia salva” - omaggio a Simone Weil, ai Magazzini
del Sale ; un allestimento che raccoglie libri di artiste , opera-cahier originali
per celebrare il tema della bellezza nel centenario della nascita della filosofa
e mistica francese : di colei che sosteneva il bello essere l’unico criterio
di valore universale della vita umana.
L’antico crocevia delle merci provenienti dal mare, i magazzini di Punta
della Dogana, sono trasformati da Tadao Ando, con la consueta sicumera, in Centro
d’Arte Contemporanea per incarico della F. Pinault Foundation
: “Naoshima” + collez. Pinault , a cura di Bonami e Gingeras. È
comunque da rimarcare il rapporto dinamico che si instaura tra l’atto
del creare e quello dell’esporre opere che in particolare sono indice
dei minimi cambiamenti di un mondo in evoluzione.
MEtrePOLIS, ovvero Atlanta nel 2018, dove secondo i progettisti
più visionari la metropoli del futuro crescerà grazie alle biotecnologie
: piante dal DNA manipolato si integrano ai vecchi edifici e producono strade,
abitazioni, ma anche energia, grazie alla fotosintesi molecolare e all’elettronica
avanzata.
(Gian Paolo Manfredini - 27/10/2009)
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