L'inciucio decostruttivista
di Paolo G.L. Ferrara
- 10/7/2000

Mi piacerebbe sentire dire :"Abbiamo scherzato".
Mi aspetterei che i critici, gli architetti/ scrittori e molti professori
facessero un po' di ordine nel groviglio di citazioni, catalogazioni,
suddivisioni rispetto il Decostruttivismo. Incombe il pericolo che tutto
venga impastato senza dosare gli ingredienti. Il sottile errore è già
stato fatto in merito al Movimento Moderno e, oltre qualsiasi ipotesi
di dolo, il cammino per compierne un ulteriore rispetto il decostruttivismo
è cosa in atto. Inutile girare intorno al problema: il Decostruttivismo
è comunemente indicato quale linguaggio al cui uso si affiliano una serie
di architetti, Eisenman, Gehry, Libeskind, Hadid, Tschumi e chi più ne
ha più ne metta.
Non vi è progetto che non presenti angoli retti che non venga ascritto
al decostruttivismo. Sospetto: che anche Haring e Scharoun fossero decostruttivisti...(?).
Le possibiltà non sono molte e la giusta coniugazione del loro pensiero
nelle opere progettate è la cartina di tornasole della veridicità della
differenza tra tutti. Eisenman è uguale a Gehry quanto Bernini lo era
a Borromini.
Chi conosce l'architettura capisce ciò che si vuole dire. L'appropriazione
indebita dell'architettura non conosce tribunali. Confondere la democratizzazione
dell'architettura ed il suo affrancamento dall'accademismo razional/classicista
esclusivamente etichettandola con il termine "decostruttivista" significa
ricatalogare, sistematizzare ciò che, per sua natura, non può esserlo.
Intanto, gli studenti d'architettura s'adeguano: negli anni '80 imperavano
Botta e Rossi e giù a copiarli; oggi impera il Decostruttivismo, e la
storia si ripete, non capendo quanto fianco scoperto si espone ai critici
accademici, pronti a catalogare qualsivoglia progetto che, non avendo
radici nel loro pensiero, viene definito opera di sartoria, quindi opera
formalista. Abbiamo una grande occasione nel progettare finalmente un'architettura
che sia realmente svincolata dall'apparato di regole enfatiche ed anacronistiche
della rigidezza funzional/razionalista. Non sprechiamola facendoci trovare
impreparati nei concetti e tacciati di formalismo. L'arma è a portata
di mano: indagare la storia e comprendere che la grandezza di Eisenman,
Gehry, etc, potrebbe essere nell'avere riaperto tematiche lasciate in
sospeso od occultate dalla riduzione dell'intero M.M. nel solo funzionalismo
e nel fallimento di quest'ultimo. Finchè si continuerà ad etichettare
l'architettura e catalogarla in diversi momenti, perdendo il senso logico
della concatenazione e sovrapposizione degli stessi, non si farà cultura
progettuale ma si daranno esclusivamente le coordinate sul come copiare.
Capiterà che qualcuno di questi scopiazzatori abbia l'occasione di costruire,
ergendosi a rappresentante della "nuova tendenza" , e tutti a pensare
che sia un " grande"…. Peccato non potergli parlare, chiedergli della
Sua preparazione, di quanto ha capito in quello che ha fatto. C'è già
chi, accademico sino a due/tre anni orsono, presenta oggi progetti simil
anticlassici; sarebbe interessante capire il percorso che lo ha condotto
al cambiamento, un cambiamento che non può esentarsi dalla profondità
di contenuti che sono in esso insiti. L'ignoranza sull'architettura non
fa arrossire nessuno, soprattutto gli architetti, più propensi a vendersi
nel mercato effimero delle mode e delle tendenze che non a sforzarsi di
capire i significati della storia dell'architettura e della sua.
(Paolo G.L. Ferrara
- 10/7/2000)
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