Divorzio all'italiana
di Paolo G.L. Ferrara
- 18/11/2000

Gehry abbandona Modena. Tanti motivi, nessuno ben chiaro.
Dal quotidiano La Stampa del 29.dicembre 2000 arriva la motivazione del
divorzio: adulterio dell'Italia nei confronti della "tradizione".
Avvocati della parte lesa ("tradizione") Gae Aulenti e Vittorio
Gregotti.
Adesso è tutto chiaro. Abbiamo capito i motivi che impediscono
all'Italia di potersi inserire nel dibattito internazionale contemporaneo
con architetture che abbiano contenuti essenzialmente diversi dalla "tradizione".
Gae Aulenti e Vittorio Gregotti devono essere ringraziati per averci illuminato
con la loro intervista. In effetti, si tratta dei due più importanti
architetti della "tradizione", dunque la loro voce non può
che essere autorevole.
Entrambi concordano nell'affermare che l'Italia ha un tale patrimonio
architettonico che è quasi impossibile pensare a nuove architetture.
Si riferiscono all'abbandono di Gehry per il progetto di Modena, progetto
che, secondo la Aulenti "spaventa" e che, secondo Gregotti "era
essenzialmente di scultura, non era del tutto necessario e si trovava
in un'area dove il nuovo è difficile da unire all'antico".
Dimenticavo: la Aulenti afferma che Gehry sia stato chiamato a Modena
perché architetto "di moda".
Scusi Signora Aulenti, che cosa è un progetto che "spaventa"?
Forse qualcosa che non ricalca pedantemente canoni prestabiliti? Forse
qualcosa che disturba la continuità dell'antico? O forse qualcosa
che metterebbe in risalto il fatto che i tempi cambiano, che le società
cambiano, che la città cambia?
Analizzo la Sua Piazza Cadorna, a Milano, e mi accorgo che la domanda
avrei potuto evitarla.
Si trasforma Piazza Cadorna, si fissa un punto di vista prospettico che,
per sua natura, essa non aveva, non voleva. I rapporti spaziali tra gli
edifici escludevano ogni tipo di riferimento di un punto preciso d'individuazione
del luogo: non vi arrivavano vie ma vi passavano, convergendovi. La continuità
di flusso si rispecchiava in bidimensione (piano stradale), tridimensione
(altezze e tipologie degli edifici) ed in quadridimensione (rapporto spaziale
instaurato dalle volumetrie del costruito, intriso di continue soluzioni
di continuità).
Forse non si è considerato tutto ciò, identificando un tale
luogo alla stregua di una qualsiasi piazza ottocentesca, focalizzando
privilegiati punti di vista.
Oggetto estraneo alla natura di Piazza Cadorna, il Suo costruito parla
in lingua accademica, componendo le parole, e con esse le frasi, seguendo
una perfetta sintassi da codice prestabilito. La sequenza di pensiline
a timpano triangolare ha ampliato il corpo edificato del precedente edificio
delle Ferrovie Nord, arrivando ad occupare gran parte dello spazio bidimensionale
preesistente. Il legame lo si rintraccia anche attraverso la continuità
che le pensiline hanno con la nuova facciata dell' edificio FN.
Intervento accademico, inconfutabilmente dimostrabile proprio attraverso
il carattere che esso ha assunto in rapporto all'esistente: non vi è
stato incontro sinergico con le tridimensionalità esistenti, è
bastato rivestirle, ma solo in facciata; dunque, considerazione dell'architettura
quale prospetto, in altre parole superficie bidimensionale. E' risaputo
lo scherno che da sempre aveva accompagnato l'edificio delle Ferrovie
Nord Milano, considerato deturpante il contesto esistente con riferimento
alla sua mancanza di riferimenti stilistici affini ad esso.
Si sono sprecate decine e decine di tesi di laurea, centinaia di proposte
progettuali per esami universitari: quell'edificio andava eliminato, ritoccato,
nascosto, a scelta.
Si è scelto di nasconderlo, o meglio, si è scelto di nasconderne
i materiali di finitura perché la scenografia che lo copre ricalca
perfettamente quanto vi è dietro, taglio delle finestre compreso.
Dunque, dove sta il problema? Se è vero che ne sono state ricalcate
le scansioni volumetriche e le finestrature, sembrerebbe che il problema
siae esclusivamente nei materiali usati e non nell'essere figlio di un'impostazione
tematica prettamente funzionalista, ove la simmetria e la regolarità
erano comunque - e nonostante gli sforzi di Le Corbusier di fare capire
il vero senso del linguaggio funzionalista - presenti quasi a dare continuità
alla visione prospettica rinascimentale.
Rivisitazione storica: dura da trenta e più anni ma si riduce nel
dare forme archetipe alle forme pure, in un processo di trasformazione
che mira eclusivamente a ridare il phatos della tradizione italica fatta
di timpani, colonne, frontoni, capitelli. Dimenticando che i suddetti
elementi non sono importanti di per sé ma è fondamentale
il modo spaziale in cui li si lavora (Borromini docet), è proprio
la continuità della ricerca spaziale dell'architettura ad averne
la peggio.
Unica consolazione: se, come affermato su Abitare dal Suo collega Vittorio
Gregotti, Gehry fa opere di sartoria, molti di voi accademici riuscite
a malapena a rammendare.
Forse è in questa accezione che lo stesso Gregotti, a proposito
di Modena, parla di " area dove il nuovo è difficile da unire
all'antico" . Il problema non esiste: il nuovo inteso quale modernità
contemporanea non può porsi il problema dell'unione con l'antico.
I progetti di Gehry post-Santa Monica hanno in essi l'azzeramento del
linguaggio architettonico, oltre ogni pretesa di superare crisi presunte
o tali del M.M. a mezzo del ritorno al passato.
Cara Aulenti, il "grado zero" non è una moda, perché
solo chi è consapevole della storia lo può applicare nelle
proprie architettura. E' una scelta, è una ricerca spoglia da tutte
le frustrazioni insite nella volontà di affermare delle verità
assolute. Gehry non è insensibile alla storia - Borromini e Wright
su tutti - ma il suo grado zero è - citando L.Prestinenza Puglisi
<< garantito da una lingua che, rispetto a quelle colte e paludate,
è sicuramente più flessibile e più aderente alla
realtà dei fatti, perché meno compromessa da canoni stilistici
e da apparati teorici consolidati>> . Mi chiedo che tipo di rapporto
Lei abbia avuto con Oldenburg, soprattutto se si tiene conto che lo conosceva
quale artista della Pop Art, quell' Oldenburg così importante nel
percorso di Gehry. Come può avere accettato una scultura di Oldenburg
a colloquio con la Sua architettura? O forse si tratta di due cose diverse
essendo l'una un'architettura e l'altra una scultura? Siamo ancora impantanati
nella suddivisione in ambiti disciplinari? Bene a sapersi
Considerando il progetto di Gehry un lavoro "essenzialmente di scultura",
Gregotti lo conferma. Mi sorge però il dubbio che Gregotti non
conosca a fondo la poetica architettonica di Gehry e l'essenziale contributo
della scultura che in essa si può rintracciare. Ma la scultura
non aveva un ruolo fondamentale anche nella città classica così
come Gregotti la immagina? Non instaura forse con l'architettura rapporti
spaziali? Probabilmente c'è una bella differenza tra l'Arco di
Trionfo e la Porta di Gehry, ma entrambe le opere hanno significato spaziale
con l'intorno architettonico, l'una di assoluta staticità, l'altra
di accentuato dinamismo.
Caro Gregotti, condivido in pieno la Sua affermazione sul Guggenheim di
Bilbao " è un'opera di ottima architettura, ma come Gaudì
all'inizio del '900 è fuori dalla tradizione" , perché
rimarca le differenze che dividono tutti noi anticlassici contemporanei
da tutti voi.
Non ho mai avuto dubbi sulla Sua preparazione e quanto da Lei affermato
ne è la prova: Gehry è fuori da qualsivoglia tradizione
- evviva!- e ha lo stesso genio spaziale di Gaudì. Lei è
stato molto chiaro affermando quanto sopra, poiché ci incita a
considerare la tradizione unico modo con cui l'architetto debba cimentarsi,
perché oltre ci sarebbe esclusivamente un atto creativo fine a
se stesso. Le riconosco la coerenza che da quaranta anni professa, ma
mi permetta di obiettare sul fatto che la tradizione è morta e
sepolta proprio da quaranta anni e che l'Italia non può ancora
vivere sui suoi ruderi concettuali. Abbiamo un patrimonio fantastico,
ma ciò non implica che, come dice la Aulenti, non serva costruire
ex novo.
L'Italia non è fatta solo di simmetrie rinascimentali o città
ideali ma è piena di architetture che spazialmente parlano lingue
diverse e possono farci intendere meglio di qualsiasi altro esempio quanto
sia importante andare oltre i riferimenti archetipi; tutto ciò
a dimostrazione della loro possibilità di dialogare per la creazione
di uno spazio urbano anch'esso dinamicamente vissuto. Roma è lì,
pronta a dimostrarlo.
Caro Arch. Gregotti, gentile Arch. Aulenti, dalle Vostre parole pubblicate
sulla Stampa del 29 dicembre 2000 traspare quasi un senso di soddisfazione
per la rinuncia di Gehry, quasi a volere dire che l'ha capito da solo
che in Italia non si può costruire oltre la "tradizione"
come da Voi intesa.
Vero: Gehry è fuori dalla "tradizione" così come
lo era Gaudì, ma oggi Gaudì non sarebbe un genio isolato
perché la forza dirompente della sua spazialità architettonica
avrebbe la stessa risonanza di quella di Gehry.
Gaudì fu genio "isolato" per diversi motivi, ma le sue
opere hanno avuto notevole peso in architettura e tanto più ne
avrebbero avuto quelle del "visionario" (?!) Finsterlin se solo
ne avesse edificata una. "Isolati" o
"visionari" che siano stati, oggi sono ampiamente riscattati
dalle opere di Gehry. Forse è un caso che il Guggenheim sia stato
costruito proprio nella terra di Gaudì
? Corsi e ricorsi storici
(Paolo G.L. Ferrara
- 18/11/2000)
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