I monelli dell'architettura italiana
di Paolo G.L. Ferrara
- 2/3/2001

La sensazione è in chiunque s'interessi seriamente
di architettura.
Sensazione - finalmente!- di libertà d'espressione, senza dovere
necessariamente prestare il fianco agli attacchi sui "come"
ed i "perché" della legittimità delle nuove poetiche
architettoniche.
Nuove poetiche che non sono nate dal nulla -da una ipotetica tabula rasa-
ma sono figlie dirette della crisi della modernità, del suo valore.
Questo è un dato di fatto, solo apparentemente scontato.
A differenza della tendenza degli "architetti della solidità"
- così come, nel Dizionario Sirkia appena uscito, Vittorio Magnago
Lampugnani ha definito Ungers, Krier e gran parte dei razionalisti accademici-
proiettati nel decretare il superamento della crisi della modernità
effettuando un salto ante modernità ( e asserendo che i fatti dimostrano
quanto labile sia tutta l'architettura oltre i loro rigorosi modi), c'è
chi si spinge a scandagliare quanto la modernità sia viva nelle
ricerche contemporanee e quanto dalla sua crisi si possa trarre giovamento.
Atteggiamento da apprezzare perché, a prescindere dagli indirizzi
che connotano le ricerche, tende ad evitare che si parli delle nuove poetiche
esclusivamente in termini di mode effimere.
Siamo stati - soprattutto le generazioni nate tra il 1960 ed il 1970-
didatticamente educati a periodizzare la storia dell'architettura: è
stato un danno enorme per tutti e solo pochi critici e storici -della
nuova generazione- stanno lavorando per andare oltre qualsiasi certezza
dettata dai testi e dalla didattica universitaria, per la maggior parte
ammuffita su posizioni accademiche.
Lo spirito nuovo che sta alla base della ricerca critica sull'architettura
è connotato dalla mancanza di qualsiasi enfasi, di qualsiasi proclama
di verità e certezze. Lo spirito nuovo è lo spirito della
critica giovane, con un passato da scandagliare ed un presente da verificare.
Una critica giovane che trova in alcuni "vecchi" assoluto appoggio
ed esperienza a cui fare riferimento. Il sito del Prof. Francesco Tentori
(IUAV) ne è dimostrazione.
Il critico deve prendere posizione e non dare certezze, stimolare e non
azzerare.
Dopo "This is tomorrow", Luigi Prestinenza Puglisi ci propone
"Silenziose avanguardie" - testo più "diretto"
rispetto a This is tomorrow - , continuando il suo cammino nell'architettura
della seconda metà del XX secolo, per rintracciarvi i geni della
contemporaneità.
Prestinenza Puglisi traccia un percorso che, se analizzato attentamente,
ci conduce alla negazione di se stesso: non c'è un unico percorso,
ma molteplici. Ciò che viviamo oggi non è figlio di un unico
filone, stabilito rigorosamente da qualcuno; finalmente liberi da ogni
obbligo di dover distinguere - a priori- ciò che è giusto
da ciò che è sbagliato, possiamo analizzare e comprendere
i diversi atteggiamenti della contemporaneità senza essere succubi
di precisi dettami.
La cautela con cui si deve leggere Puglisi - e chiunque altro- è
fondamentale per la giusta comprensione di quanto espresso dal critico.
Ognuno di noi deve trarne le conclusioni - o le continuità- che
crede opportune.
Cautela che non significa accettazione in toto di ciò che leggiamo,
ma che deve indirizzarci ad un'analisi attenta ed a contraddittorio propositivo
Essendo in corso - questo deve essere tenuto presente- la ricerca è
soggetta ad improvvise variazioni, collegate ad avvenimenti in divenire
che, una volta conclusi, potrebbero farci vedere le cose in modo diverso.
Dalle pagine di Antitesi avevamo incitato al coraggio (vedi articolo "Il
coraggio") di esporsi da parte di chi desidera imbattersi nel campo
della critica e della didattica.
Stiamo avendo conferme puntuali.
Luigi Prestinenza Puglisi scopre le sue carte e ci parla di un mondo assolutamente
in fermento, rilevando
tra le righe che certezze non possono più essercene, e che la critica
non può più darsi dei precisi confini, riducendosi a registrare
ed incasellare i diversi avvenimenti.
Come detto, gli scritti di Prestinenza Puglisi non devono essere accettati
quali verità assoluta, bensì nella loro veste di stimolo.
Del resto, leggendo i passaggi pubblicati su Arch'it, posso dire con certezza
che è questo il vero obiettivo dell'autore.
Da Torino, da Milano, da Venezia, da Roma, ci scrivono studenti d'architettura.
Sono pochi e si autodefiniscono "cattivi studenti".
Vediamo, seguendo la loro spiegazione, cosa significhi essere un "cattivo
studente".
In primo luogo, significa essere "ineducati" architettonicamente;
interessarsi alle nuove poetiche -e a chi le esprime attraverso le opere-
può essere pericoloso poiché - da alcune di esse- si profitta
un atteggiamento "diseducativo". L'affermazione è di
Vittorio Gregotti ed è riferita a F.O.Gehry.
Se scorressimo le bibliografie di numerosi docenti sparsi un po' in tutte
le facoltà d'architettura, troveremmo i libri di Gregotti: va da
sé che il potere diseducativo esercitato da Gehry è evidenziato
anche all'interno delle facoltà.
Scrive Gabriele da Torino : " Gregotti dice che Gehry è geniale,
ma di alto potere diseducativo [ un genio del male (n.d.r.)] per gli studenti
ed ha ragione in pieno, perché si rischia di capire e amare quanto
veramente gioiosa e creativa possa essere l'architettura, e questo, in
Italia e nelle università italiane, è peccato ".
Vero, Gabriele, ma non solo nelle università.
Il potere altamente diseducativo lo troverai anche al di fuori delle università,
ma si tratterà del potere della corruzione e del clientelismo.
Ma questo è un altro discorso.
Il problema dell'andropausa degli architetti italiani ( è definizione
di Bruno Zevi) è lungo cent'anni.
Boccioni affermava nel 1914: "I giovani della nostra generazione,
guardando lo sviluppo dell'arte italiana nel secolo decimonono, debbono
arrossire di vergogna e piangere di disperazione. E'quasi incolmabile
l'abisso di ignoranza, di vigliacca apatia, che separa l'Italia, chiamata
con ironia archeologica il paese dell'arte, dalla sensibilità estetica
degli altri paesi civili. Chi oggi considera l'Italia come il "paese
dell'arte" è un necrofilo che considera un cimitero come una
deliziosa alcova" […] In Italia non manca il denaro, non manca
la forza: mancano i cervelli moderni".
Drastico e sferzante, Boccioni potrebbe essere attuale anche oggi, ma
con l'eccezione fondamentale che i cervelli moderni ci sono, e sono tanti.
Si trovano anche dentro le Università e ne sono i futuri propulsori.
A loro non manca ciò che Zevi sottolineava a proposito della situazione
italiana degli anni '70 -'80 : " lo scatto dell'avventura,del rischio,
della flagranza inventiva" è palpabile, riconoscibile.
Su Antithesi ne registriamo il tentativo di riportare - e farla restare-
la nostra presenza attiva in campo internazionale.
L'impalcatura che maschera le fragilità della didattica universitaria
è fatta di parolone enfatiche e di atteggiamenti intellettuali
retorici: ma sta per crollare, minata com'è da giovani docenti
che hanno intuito i significati profondi della libera cultura.
Gabriele ci racconta dell'incitamento di Zevi a lasciare le università,
di uscire per propria scelta dalle acque stagnanti.
Lo diceva a tutti, ma - sottolinea Gabriele- senza dare suggerimenti su
come avremmo potuto esercitare una professione e l'impegno che ci permettesse
parlare di architettura. Vero, non lo diceva in forma di vademecum, ma
tra le righe delle sue sadiche lettere ( che tanto "piccoli"
ci facevano sentire…)
Il suo modo di farci amare l'architettura era indirizzarci a capire l'architettura,
oltre qualsiasi istituzione preposta a farlo.
Le acque stagnanti si muovono e, con un paziente lavoro, riprenderanno
ad essere ossigenate.
Per lo scopo è necessario ogni sforzo, da chiunque provenga.
Nomi ? Eccoli : New Italian blood, sito che riunisce giovani architetti
senza "peli sui progetti", senza paure ataviche di doversi,
per forza, creare consenso a tutti i costi. Inutile ripetere che ogni
cosa debba essere pesata e che qualsiasi slancio passionale comporta il
rischio di non fare comprendere limiti ed errori ( vale, ovviamente, anche
per Antithesi). Chi fa ricerca è passibile di errore.
Comprensibile atteggiamento quello dei "cattivi studenti", ma
è fondamentale che comprendano quanto sia inutile e dannoso piangersi
addosso.
A Gabriele, ed a tutti i "cattivi studenti", consigliamo di
leggere di tutti coloro i quali hanno qualcosa da dire, accademici compresi.
Sapranno, da soli, fare le giuste deduzioni.
Scopriranno la vivacità e gli spunti che scritti quali quelli di
Antonino Saggio (vedi Arch'it , coffee break) possono darci per ragionare
sulla contemporaneità. Di Puglisi abbiamo già detto.
Antithesi ? Chi la legge, lo fa per scelta dei contenuti e, se non concorda,
ha la possibilità di replicare.
Antithesi è di chiunque voglia gridare, ma facendosi capire.
Studenti, critici e architetti, della nuova generazione, "cattivi"?
No, piuttosto "monelli", molto.
(Paolo G.L. Ferrara
- 2/3/2001)
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