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              | Sono passati pochi mesi dalla scomparsa di Bruno 
        Zevi ed una serie di incontri, interviste ed articoli apparsi su varie 
        riviste impongono una riflessione su alcuni punti emersi nel recente dibattito 
        riguardo all'idea zeviana di produrre spazio rapportandolo alla cultura 
        nazionale ed internazionale.
 La sua idea, esplicitata fin dagli anni cinquanta con alcune pubblicazioni 
        di portata storiografica eccezionale, non ha mai subito alcuna inflessione 
        ed il suo percorso  rimasto estremamente lineare e sintetizzato 
        nella necessit di affermare i valori di una modernit che 
        travalicasse i semplici termini temporali presenti nella sua stessa definizione.
 Entra giovanissimo nella cultura italiana con una forza ed una vivacit 
        incredibile, innescando un processo esplosivo ed irreversibile verso gli 
        ambienti italiani che apparivano immobili ed arroccati intorno ad assurde 
        ipotesi derivanti dalle impostazioni accademiche delle scuole di belle 
        arti degli inizi del secolo.
 La sua nuova prospettiva era lo studio della storia nei termini essenziali 
        della operativit: questa non veniva pi indagata sotto 
        i soli aspetti filologici, non veniva esaminata come un corpo morto senza 
        legami interdisciplinari, ma come un tessuto vivo dove arte, architettura, 
        storia, societ ed iniziative per una societ diversa diventavano 
        un tutt'uno. Questo nuovo modo di guardare la storia diventa essenziale 
        perch la stessa diventa strumento, pu essere letta in 
        termini trasversali, si possono trovare le analogie linguistiche e capire 
        infine i termini di una modernit sovrastorica.
 L'idea zeviana era quella di avere un rapporto aperto con la storia, annullare 
        le vischiosit filologiche ed una impostazione unidirezionata, 
        rivolta a se stessa oppure ad i soli aspetti tipologici, per sfociare 
        in una sorta di Bauhaus storicizzato, laboratorio unico all'interno del 
        quale dovevano confluire non solo la storia dell'architettura ma anche 
        la progettazione, la scienza delle costruzioni, l'urbanistica e tutto 
        quanto altro occorre alla produzione dello spazio fisico. In tale ottica 
        si comprende immediatamente come la storia diventa strumento,pu 
        essere letta in termini trasversali e si possono trovare quelle analogie 
        linguistiche che riescono a sintetizzare in una esperienza unica architetture 
        che se da una parte sembrerebbero lontanissime nel tempo viceversa si 
        collocano all'interno di un unico ambito linguistico.
 La sua eredit deve essere vista come lascito aperto, disponibile 
        per tutti coloro che riusciranno a scrollarsi di dosso tutte quelle impostazioni 
        accademiche ed accademizzanti per attingere alla storia attraverso visioni 
        emancipate da qualsiasi valore sovrastrutturale.
 Le recenti iniziative che si sono svolte in Italia sull'opera di Zevi 
        impongono per una riflessione ed in molte di queste si riscontra 
        la necessit di sistematizzare un pensiero ed una azione che viceversa 
         sempre sfuggita agli storicismi ed agli impianti accademici in 
        cui si trova oggi impelagata la cultura italiana.
 Si ha l'impressione di assistere ad un tentativo di incorporare, al fine 
        di accademizzarlo, un lascito culturale che viceversa attraverso gli azzeramenti 
        continui tendeva alla emancipazione di una cultura, quella italiana, che 
        risulta fortemente sottomessa alle rigide regole del classicismo.
 Da molte parti si avverte il messaggio: Bruno Zevi  stato un critico 
        eccezionale, di statura gigantesca, si pu senza alcun dubbio affermare 
        che ha spostato gli studi sulla storia dell'architettura verso una operativit 
        vicina agli architetti, ma dopotutto neanche lui sfuggiva alle regole 
        di una cultura intrisa di valori storici ed accademici. I suoi scritti 
        sono eccezionali ed incisivi per, dopotutto, con le sette invarianti 
        anche lui, se da una parte non amava le regole, attraverso questa elencazione 
        cadeva in una volont sistematizzatrice e regolatrice.
 Tutto questo non  nuovo e possiamo senza dubbio affermare che 
         storicamente accertato il tentativo da parte delle "accademie" 
        di incamerare tutto quello che sfugge al controllo, e con il termine "accademia" 
        si intendono tutti quei comportamenti rivolti a frenare le libert 
        di linguaggio.
 Al riguardo possiamo affermare che il Italia tutti coloro che dal rinascimento 
        in poi hanno optato per la modernit hanno pagato a caro prezzo 
        la loro scelta e molte volte con la loro stessa vita.
 La Lezione brunelleschiana fu immediatamente annullata dai suoi stessi 
        discepoli, Ser Filippo fu celebrato come "padre del rinascimento" 
        per non sopportando il fatto di essere eccessivamente liberi, 
        da lui, suo malgrado, nasceva la cultura della proporzione, dello spazio 
        progettato, composto, regolamentato, nasceva la "cultura del disegno". 
        Cos mentre lui tracci il profilo della sua cupola sulle 
        rive dell'Arno in scala reale, i suoi allievi, che non capirono nulla 
        di quella esperienza, indugiarono sul disegno, sulla carta, sul segno, 
        sulle proporzione e non sulla materia, sullo spazio, sul metodo, 
        i suoi discepoli ci lasciarono ci che del maestro a noi non  
        mai arrivato (lui inventore della prospettiva), ci che non ha 
        mai considerato come mera speculazione correttiva della realt, 
        che non ha mai usato in termini di controllo, bens di metodo e 
        di ricerca spaziale.
 La poesia Michelangiolesca fu celebrata come qualcosa di eccelso ma immediatamente 
        posta come atto irraggiungibile dai suoi contemporanei e si avvertirono 
        tutti di non continuarne il messaggio perch non erano ammesse 
        ad altri le deroghe concesse al genio. Basta analizzare i contenuti linguistici 
        delle modanature nella laurenziana oppure dei bastioni fiorentini, architetture 
        informali ed inedite tanto da apparire acroniche rispetto al rinascimento, 
        per capire come il maestro aveva messo in atto una visione spaziale cosi 
        nuova e travolgente rispetto ai canoni rinascimentali tanto da mettere 
        in ridicolo tutti coloro che volevano esercitare il controllo geometrico 
        dello spazio fisico. Le opere michelangiolesche furono reinterpretate, 
        si pens ad esse in termini puramente mitici, le sregolatezze furono 
        viste come qualcosa che apparteneva al genio cosi da essere totalmente 
        riportato all'interno del razionalismo classico rinascimentale.
 Per Andrea Palladio il copione fu molto simile: il michelangiolismo di 
        Palladio fu "tradotto" dalle accademie ottocentesche in termini 
        di purezza e di "mito", si guard al maestro veneto in 
        modo metafisico cos che da cancellarne gli "abusi", 
        "le offese al buon senso" ed i "tanti capricci ed errori" 
        registrati dallo stesso Francesco Milizia a fine settecento. Dopo di che 
        "Palladio falsificato" poteva essere architetto da celebrare 
        negli ideali classicisti.
 Francesco Borromini fu portato al suicidio da una cultura attenta alla 
        celebrazione ed alla autorappresentazione, e se in un primo momento si 
        cerc di cancellarne la memoria, in seguito si tent di 
        accademizzarlo ponendo alla base delle sue architetture la "geometria 
        come verifica", la tradizione romana come genesi linguistica e l'Opus 
        Architectonicum come elemento per far capire che dopotutto anche lui cercava 
        un "sistema generale". Un Borromini cosi tradotto e devitalizzato 
        resta pi funzionale alla tradizione accademica, l'architetto ribelle, 
        sovvertitore dei ritmi classici, creatore di inauditi scontri spaziali 
        pu essere cosi dimenticato.
 Le similitudini storiche nel dibattito sviluppatosi sulle posizioni critiche 
        di Bruno Zevi ed aperto con la sua improvvisa scomparsa confermano la 
        volont da parte di un apparato culturale, quello italiano, di 
        continuare nell' opera di normalizzazione settecentesca ed ottocentesca 
        al fine di potere gestire in termini accademici un pensiero che viceversa 
          si  sempre schierato a favore di una modernit atemporale.
 In tutti i dibattiti si pone l'attenzione sulle sette invarianti del linguaggio 
        moderno formulate da Zevi e si sentenzia: E' stato un grande critico, 
        uno storico eccezionale, ma dopotutto anche se portava avanti un approccio 
        libertario e senza regole col le sette invarianti alla fine proponeva 
        regole e quindi un codice al quale ci si deve riferire se si vuole essere 
        effettivamente moderni.
 Niente di pi falso! Le invarianti appartengono alla storia e non 
        ad un codice, sono linguaggio acquisito da tutti coloro che in venticinque 
        secoli di storia dell'architettura hanno avuto il coraggio di azzerare 
        qualsiasi impostazione sovrastrutturale per scrivere architettura attraverso 
        una lingua emancipata da ogni residuo accademizzante e quindi proporre 
        spazio nato dai contenuti. L'elenco delle funzioni, elemento che contraddistingue 
        l'intera vicenda del Movimento Moderno, appartiene alla storia perch 
        appartiene alle ipotesi spaziali, dalle societ preromane a quelle 
        altomedievali, che hanno azzerato i codici ed i linguaggi organizzati 
        per scrivere architettura attraverso spazialit nate dai contenuti 
        per essere umanamente fruite. La reintegrazione edificio-citt-territorio 
        , l'urbatettura non appartiene solo alle ultime ipotesi architettoniche 
        da leggersi a scala territoriale ma condivide l'agglomerato di Barumini 
        e la villa adrianea a Tivoli.
 Tutti questi esempi non possono essere letti in modo semplicistico e le 
        invarianti non possono cos essere interpretate come "regole". 
        Resta l'indubbio merito di Bruno Zevi di aver selezionato i passaggi principali 
        compiuti dall'uomo nel suo millenario processo di formazione di spazio 
        e di averli portati all'attenzione di tutti. Le invarianti del linguaggio 
        moderno sono antiprescrittive, vogliono essere esempi per indicare una 
        strada giusta da seguire e per dire che nel percorso della storia l'uomo 
         riuscito a sintetizzare momenti eccezionali. Queste possono essere 
        interpretate come momento essenziale di critico-operativa nei confronti 
        della storia contro ogni vischiosit filologica di studi indirizzati 
        solo verso se stessi. Nessuno direbbe mai che i dadaisti dopotutto appartenevano 
        anch'essi alle accademie per il semplice fatto che nel loro manifesto 
        affermarono che l'unica regola possibile era quella di non seguirne sistematicamente 
        nessuna.
 Lo studio della storia nel pensiero zeviano  essenziale e la stessa 
        non pu essere intesa in termini di stretta analisi filologica 
        e la posizione tafuriana su Biagio Rossetti, ripresa da Manuela Morresi 
        su un numero di Casabella in occasione di un ricordo di Zevi , che lo 
        indicava come semplice capomastro non  importante ai fini generali 
        del discorso perch anche un capomastro, che  privo dell'aggettivazione 
        accademica di maestro, pu dire e fare cose geniali. Si pu 
        anche realizzare un'opera eccezionale senza essere necessariamente maestri 
        riconosciuti dalle accademie. La posizione di Zevi era quella di indicare 
        il pauroso depauperamento della citt rinascimentale con gli ideali 
        di "citt finita", la crisi del piano urbanistico fondato 
        sullo zoning e la frattura che dal rinascimento in poi vi  stata 
        tra il territorio, la citt e l'architettura. Merito di un "capomastro" 
        in ogni caso geniale fu quello di avere anticipato una visione moderna 
        del costruire la citt non sulle trame disumanizzanti e disumanizzate 
        che appartengono alla citt idealizzata da disegni peraltro ormai 
        sfuggiti dalla mano dell'architetto nella nostra specifica epoca, ma su 
        una visione flessibile del fare urbanistica attraverso l'architettura 
        fusa nel paesaggio.
 Il recente incontro di Reggio Calabria, ben organizzato dalla locale universit, 
        spinge a fare ulteriori considerazioni di natura critica. Tra gli altri 
        interventi si registra quello di Franco Purini che entra nel dibattito 
        toccando il tema essenziale che riguarda il fare architettura con il rapporto 
        tra la modernit e la storia nel nostro paese. La sua tesi  
        subito esplicitata: in Italia la modernit deve essere soggetta 
        ad una mediazione linguistica perch  necessario un continuo 
        rapportarsi e "subordinarsi" alla storia. Molti architetti italiani 
        del Movimento Moderno, Persico, Terragni e tanti altri, hanno dovuto mediare 
        i loro progetti e non possono inserirsi nella modernit europea, 
        infine anche in alcuni scritti di Zevi si riesce a cogliere il dubbio 
        finale della legittimit di una modernit estrinseca e tout-court. 
        In tale quadro operare in termini di modernit non  possibile 
        perch il nostro passato rappresenta un freno e deve necessariamente 
        intervenire nel processo di formazione dello spazio. Ne viene fuori l'idea 
        che vede lo stesso Zevi da un lato essere elemento eccentrico, molte volte 
        polemico e rissoso, contrario a tutte le accademie autolegittimate a detenere 
        la conoscenza ed il sapere legittimo, dall'altro per consapevole 
        e cosciente che in Italia la modernit non  possibile e 
        la stessa deve essere mediata. La mediazione nel caso specifico pu 
        essere riportata all'uso delle sette invarianti come formule attraverso 
        le quali esercitare un costante controllo dello spazio sia fisico che 
        intellettuale.
 L'interpretazione di Purini risulta errata per molti motivi:primo fra 
        tutti la rinuncia alla modernit.
 E' un fatto consolidatosi nel secolo diciottesimo il porsi di fronte al 
        passato in una condizione di subalternit, si vuole far capire 
        che il nostro  un paese particolare, dove basta varcare l'uscio 
        di casa per avere un confronto continuo con i maestri del passato e da 
        questo confronto l'architetto contemporaneo non pu che porsi in 
        una condizione di inferiorit culturale con la rinuncia a linguaggi 
        contemporanei. Gli stessi linguaggi saranno mitigati nella idealizzazione 
        e nella compiutezza formale imposta da una visione accademica dello spazio. 
        Il fare architettura diventa cosi opera di mediazione attraverso un passato 
        posto in condizione di staticit e di acriticit. Le stesse 
        critiche in fondo vengono rivolte agli stessi maestri del passato, cosi 
        che alcune opere di Michelangelo devono essere necessariamente obliterate, 
        cancellate dalla memoria, fatte apparire come deroghe concesse ma sopportate 
        con estremo disagio. Il caso dei contrafforti fiorentini risulta al riguardo 
        emblematico, il maestro compie un inaspettato gesto di liberazione linguistica 
        inventando architetture informali e la risposta fu quella di dimenticare, 
        tanto che furono obliterati per quattrocento anni, quasi si volesse cosi 
        esorcizzare un processo incontrollabile, fin quando Charles de Tolnay 
        non pubblica diciotto disegni nel 1940. Perch questo sperpero 
        inaudito? Perch le informalit michelangiolesche non hanno 
        avuto alcun seguito e sono state poste in tempi successivi solo come deroga 
        concessa al genio? Senza dubbio per volont specifica della cultura 
        italiana di operare un controllo generale del produrre spazio attraverso 
        l'esercizio della geometria come elemento principale del fare architettura. 
        A tal proposito Franco Purini porta ad ulteriore sostegno di questa interpretazione 
        il peso che la storia deve necessariamente avere nel processo di formazione 
        dello spazio come elemento di freno per una modernit che viceversa 
        al di fuori dei confini della nostra penisola pu essere estrinsecata 
        perch privi della peculiarit tutta italiana di essere 
        a contatto diretto con il passato.
 C' da registrare subito il fatto che purtroppo nel nostro paese 
        il confronto non si fa con la storia, confronto che sarebbe senza alcun 
        dubbio positivo e propositivo, ma si fa con la mitizzazione della storia, 
        il passato viene letto ed interpretato in termini di miti, nei termini 
        imbastiti e portati avanti dalle accademie italiane settecentesche ed 
        ottocentesche tendenti ad idealizzare il processo di formazione artistica. 
        E la formazione artistica abbraccia tutte le attivit umane cosi 
        che resta accademicamente ingiustificato il non parlare e guardare verso 
        se stessi. Se si prende ad esempio la musica, con tale interpretazione 
        diventerebbe impensabile in Germania dopo avere avuto i ritmi armonici 
        e tonali di J. S. Bach e L. Beethoven avere la scuola elettronica di Colonia 
        ad opera di H. Eimert e principalmente di K. Stockhausen. Resta il fatto 
        che l'arte dei rumori di Russolo in Italia non ebbe una consecutivit 
        storica, nel paese di Bellini e Rossini non si poteva "comporre" 
        con i rumori, ed i successivi tentativi furono spostati e portati avanti 
        a Parigi ed a Berlino. Il passato in altri termini pu essere inteso 
        come intralcio accademico oppure come stimolo attivo, una interpretazione 
        storicista e passivizzante attua senza dubbio un recupero del passato 
        in chiave reazionaria mitizzandone contenuti e risultati.
 Pochi sono in Italia, nella esperienza del Movimento Moderno, gli architetti 
        che si sono emancipati da questa visione sintonizzandosi con il pensiero 
        europeo tanto che nella maggior parte dei casi le tesi di W. Gropius,L. 
        Mies Van Der Rohe e Le Corbusier furono lette in chiave autonoma e storicista. 
        Tra i pochi realmente moderni senza dubbio E.Persico e G. Terragni, a 
        torto citati da Purini come mediatori tra italianit ed europeismo 
        (abbracciando cos una tesi in un qual modo pseudo-fascista della 
        "mediterraneit" del razionalismo italiano, pur rimanendo 
        il fatto che sono davvero pochi i testi realmente moderni), perch 
        riuscirono a guardare al passato in termini attivi per recuperare da questo 
        non "citazioni" storiciste e frustranti teorie idealizzate ma 
        capire il percorso culturale e gli azzeramenti linguistici operati per 
        assimilarne i processi. A tal proposito vale per tutti l'esempio della 
        Casa del Fascio a Como: Terragni in questa specifica architettura si pone 
        non tanto al di l dei principi lecorbuseriani ma continua l'esperienza 
        palladiana perch incarna lo "spazio aperto" che Palladio 
        esplora in palazzo Chiericati e nella villa Foscari a Mira. Se la casa 
        del Fascio  opera manierista lo  nella misura in cui recupera 
        il manierismo ed i michelangiolismi palladiani per esplicitarne ed sviscerarne 
        i contenuti.
 Siamo cos lontanissimi dai recuperi simbolici di G. Muzio che 
        guardava la storia in termini di soliloquio oppure dagli orrendi gusti 
        macabri di marca piacentiniana. La vicenda dell'architettura moderna si 
        intreccia in Italia con eventi tragici ed in un certo modo resta legata 
        a problemi di sopravvivenza fisica: Terragni muore dopo la campagna di 
        Russia, Persico muore a 36 anni, Pagano e Banfi muoiono assassinati in 
        un campo di sterminio e lasciano tutti una eredit scomodissima 
        ad un apparato culturale che guardava al fare architettura con una ottica 
        accademica, storicizzata e legata agli eclettismi di marca neoclassica.
 La visione zeviana del fare architettura e del rapporto tra storia e spazio 
        progettato  sempre rimasta all'interno di una modernit 
        assoluta, anche quando la quasi totalit dell'apparato culturale 
        italiano si era schierata a favore delle nauseanti ipotesi post-moderniste. 
        Il tentativo storicista di riportare l'architettura entro idealizzazioni 
        ed astratti valori sovrastrutturali  stato ormai sconfitto,il 
        fronte della modernit ha vinto, resta il fatto per che 
        persistono nella nostra cultura nazionale valori accademizzanti e si cercano 
        ad ogni livello alibi, ci si nasconde dietro al falso "mito della 
        storia" per tacciare di irrealizzabilit tutto quanto si realizza 
        negli altri posti e si perpetua il tentativo di normalizzare coloro che 
        si sono schierati a favore della modernit.
 Il tentativo di dilapidazione oggi portato avanti con Bruno Zevi sar 
        molto difficile perch se in passato la "normalizzazione" 
         riuscita nei confronti di Brunelleschi, Michelangelo, Palladio 
        e tanti altri  stato possibile perch le loro opere sono 
        state reinterpretate e tradotte in termini accademici. In questo caso 
        abbiamo una idea di modernit espressa all'interno di un enorme 
        patrimonio letterario a disposizione di tutti. Resta disponibile per tutti 
        coloro che avranno il coraggio di abbandonare regole, dogmi, canoni, astratti 
        valori sovrastrutturali, per portare avanti l'idea di una architettura 
        espressa nei termini di un progettare "disturbato" che evita 
        qualsiasi sintesi e recepisca al proprio interno i valori dell'imperfetto 
        e dello spazio libero ed in movimento. Dovremmo tutti impegnarci a combattere 
        i maldestri tentativi di continuare nel nostro paese le frustranti tesi 
        storiciste ed affermare l'architettura come "joie de vivre" 
        espressa nello spazio che appartiene a tutti coloro che da Arnolfo di 
        Cambio a Bruno Zevi un "sapere accademico" ha reso eretici.
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