Tradizione e Autorit

Storia e Critica

Tradizione e Autorit


di Sandro Lazier
6/1/2003

Abbiamo ricevuto uno scritto dellarchitetto Andrea Pacciani. Contiene frasi estrapolate da vari autori e hanno lintento di proporre, prima della difesa del tradizionalismo, quella del concetto di tradizione. Lo scritto a fondo pagina Sulla tradizione prima che sull'architettura tradizionalista.
Gli argomenti toccano in parte lambito filosofico e in parte quello psicologico.
Per quanto riguarda lambito filosofico credo sia necessario un chiarimento.
Quando nel 1960 il filosofo tedesco Hans-Georg Gadamer, con la pubblicazione di Verit e metodo riabilitava di fatto i principi di autorit e tradizione, non credo avesse in mente di redimere lautorit (dellaccademia) e la tradizione (storicistica) di cui i pedanti continuano a fare vanto e gloria del nostro bel paese. Lintenzione del filosofo era quella di uscire con le ossa un po meno rotte dalla sgradevole condizione di dover affidare alle parole (segni o suoni che vanno interpretati) la traduzione della realt e dellesistenza (che sono parole rivelanti altre parole tutte da interpretare) inesorabilmente coinvolte in un circolo vizioso devastante per gli amanti della logica formale.
Nel 1800 lermeneuta Schleiemacher, nellambito della storiografia, riteneva che una buona mediazione per la comprensione del passato, al riparo dal vizio interpretativo, fosse la fedele ricostruzione di questo in modo da riferirne la forma originaria e stabilirne la verit. Contro questa rappresentazione Gadamer, ma prima di lui Hegel, obiett che la rielaborazione fedele della storia non garantiva loriginariet del passato ma solo quella del suo restauro. Ma si sa, nellottocento il mondo stava ancora al di fuori della mente delluomo, come se non la comprendesse, e pertanto egli si sentiva in dovere di osservarlo, pi che viverlo e esserne coinvolto, e giudicarlo con la sola preoccupazione di rincorrere loggettivit delle sue raffigurazioni. Essendo la conoscenza intesa come processo formale fuori del tempo (la verit buona sempre e dovunque), occorreva una concezione rivoluzionaria di verit che la togliesse dalla scomoda posizione di diventare inaccessibile. Una posizione che spinse al pessimismo molti pensatori tra i quali, per novit e per linfluenza che ne deriv, spicca la riflessione di Martin Heidegger secondo il quale il metodo, fondamento di ogni sistema formale, compreso quello scientifico, garantisce loggettivit delle affermazioni solo allinterno del suo conformismo, separando di fatto il conoscente dalla cosa conosciuta, neutralizzando arbitrariamente il pensante (luomo e la sua esistenza) rispetto alla cosa pensata. Ne deriva una frantumazione della conoscenza che J. Habermas defin provincia filosofica, ovvero una specie di devolution del sapere in tante particolari esegesi, senza lautorit di una istituzione centrale cui riferire La Conoscenza nella sua unit. E a questo punto che Gadamer riabilita lautorit e la tradizione. Infatti, sempre per usare un termine di Habermas, egli urbanizza leredit eideggeriana riunificando il sapere proprio dove il metodo aveva incontrato il suo ostacolo maggiore. Il circolo interpretativo (ermeneutico) che aveva dissolto il privilegio della ragione formale, per Gadamer si trasforma nel motore teorico in grado di dimostrare la verit, seppure non intesa come dogma indiscutibile e dato una volta per tutte. Egli temporalizza il sapere e lo relaziona alla storia. Se immaginiamo la verit come un edificio nella sua unit (quindi non divisibile in parti che ne costituirebbero, invece, la totalit) la sola conoscenza che ci resa possibile dai limiti del linguaggio e dellinterpretazione riguarda esclusivamente la forma degli elementi che costituiscono ledificio: i conci, le finestre, gli impianti, la copertura, ecc; oltretutto i conci parlano solo il linguaggio dei conci, le finestre quello delle finestre, gli impianti quello degli impianti, ognuno risolvendo la questione al proprio interno. Ma nessuna di queste forme ci d conoscenza delledificio nella sua unit; nemmeno sommando le forme potremmo raggiungere lunit perch non si sa quale mettere prima e quale dopo. Avremmo il totale arbitrario di tante forme ma non la forma unitaria. Inoltre, dalla forma delle finestre, pur essendo parte del tutto, non potremmo dedurre ledificio perch ci mancherebbero il quando e il dove.
Il quando e il dove sono la storia ed qui che spicca la genialit del filosofo. Le forme, che Gadamer chiama frammenti, rigorosamente vere, tangibili e controllate dalla ragione, stanno nella storia in relazione tra loro e insieme, dialogando senza la presunzione di un qualche privilegio, realizzano una porzione delledificio che, essendo unico, ovviamente contiene questi frammenti come parte di s. Passato e presente stanno continuamente in tensione perch ognuno elemento di uno stesso disegno. Il passato non un evento concluso che si deve congelare o superare, ma entra nel presente di cui parte. Questo il senso della tradizione.
A questo punto chiedo: che attinenza pu avere la mummificazione di intere citt storiche con questo illuminante concetto di storia? Ma, soprattutto, che senso ha riproporre forme di un frammento arcaico in un dove e quando ingannevoli in relazione al quadro storico?
Ma veniamo allautorit. Contrariamente a quanto pensavano gli illuministi, che consideravano il pregiudizio come strumento autoritario per imporre il privilegio di pochi, ogni filosofia che affida al linguaggio la misura della conoscenza sa che per comunicare occorre che i segni che usa siano dotati di un qualche significato, ovvero che siano pre-giudicati. Il pregiudizio quindi anche condizione per poter comunicare. Ovviamente ci sono pregiudizi beceri e altri nobili. Quelli nobili, che hanno superato la prova della storia (nel senso di prima) e stanno ancora in piedi sono dotati di autorit. Una autorit che per frammento e non gode di nessun privilegio ma, addirittura, costretta a mettersi in perenne discussione con il presente. Praticamente il contrario di ci che avviene in molti quartieri nobili dellaccademia dove pare che la tutela della storia, della storicit e quantaltro valga il dispotismo con cui si nega il presente.
Nessun uomo avveduto oggi nega la storia perch sarebbe negare se stesso; ma non la subisce passivamente e, soprattutto, si guarda bene dallarbitrio della re-interpretazione o rilettura o riproposizione che non serve al completamento di uno scenario molto pi interessante.
Chiedo scusa ai filosofi se la stringata sintesi di un pensiero cos complesso ha tralasciato argomenti e riflessioni importanti, ma mi interessa porre la questione della storia e della tradizione in relazione al pensiero di chi ne ha ripristinato la vigoria. Pensiero che, purtroppo, se non chiarito, ha soccorso e soccorre loscurantismo e lansia di controriforma dei nemici del cosiddetto moderno.
Per quanto riguarda gli aspetti di tipo psicologico rimando ad un successivo articolo che riflette sullattualit dei Situazionisti del dopoguerra, dellUrbanismo Unitario, della Psicogeografia e del concetto di deriva di G. Debord, che trattano largomento da un punto di vista contrario allintimismo e allegocentrismo delle teorie postmoderne.

Sulla tradizione prima che sull'architettura tradizionalista
Appunti su letture recenti di Andrea Pacciani

L'obiezione pratica pi ricorrente alla tradizione fu riassunta efficacemente da Paul Valery quando ricord che "non sopportiamo pi la durata" e avvertiamo come necessarie l'interruzione, l'incoerenza, la sorpresa. Abbiamo il terrore della ripetizione, perch tutto ci che si ripete non appartiene mai al pensiero. La tradizione non soddisfa la pressante esigenza di instabilit e di mutamento e configge con la convinzione che l'intelligenza sia la capacit di scompaginare gli assetti e sperimentare infinite variazioni.
Ma siamo davvero sicuri che questa condizione instabile abbia a sua volta raggiunto una sua stabilit definitiva e non possa essere a sua volta rimessa in discussione e perfino rovesciata da altre aspirazioni e da altri orrori generati dallo spaesamento?
Siamo proprio sicuri che questa preferenza per l'instabilit e l'irripetibilit sia davvero universale e riguardi sempre e comunque i territori dell'umana intelligenza e non nasconda al suo interno anche una superstizione del nuovo, una nevrosi e un riflesso condizionato?
E siamo proprio sicuri che non vi sia anche un'intelligenza affamata di stabilit e di connessioni, vogliosa di Essere, o che vive con altrettanta inquietudine il lutto per la perdita della Tradizione, della costanza, della fedelt?
Si potrebbe infine pensare che l'interruzione, l'incoerenza, la sorpresa ma anche il terrore della ripetizione e del luogo comune, possano trovare migliore accoglienza nella tradizione che non al di fuori della tradizione: perch in fondo si pu essere incoerenti e sorprendenti solo rispetto a una tradizione, non rispetto al nulla.
Esiste una forma insidiosa e surrettizia di tutela della Tradizione che potremmo dire museale. E' la tendenza, frequente oggi, a isolare un reperto o un lacerto del passato in un'area artificiosa protetta, per creare una specie di oasi, di angolo della tradizione. Quanto pi sradicata la tradizione dal mondo e dall'anima degli uomini, tanto pi se ne ricostruisce un frammento avulso dal suo contesto, privato di anima, e lo si pone sotto una campana di vetro. Cos l'esorcismo compiuto, la tradizione delimitata in un recinto e dunque resa inoffensiva. L'alibi di salvaguardia, di lasciarla incontaminata; ma la motivazione profonda , al contrario, di non farsi contaminare da essa, di salvaguardare la vita liberata da quell'ossessiva catena; la tradizione viene sconnessa dal luogo, dal suolo, dall'habitat originario e riposta in un astuccio che la rende estranea al suo stesso principio vitale. Trasferire una traccia della tradizione in un museo sancirne la sua morte, classificarla in un obitorio del passato.
Tradizione una predisposizione innata, comunque antecedente ogni stato culturale. C' un originario senso comune che ci porta a condividere principi, consuetudini, azioni ed emozioni, a insorgere o a reagire quando vengono messe in pericolo le basi del nostro vivere umano, civile, personale e famigliare e la prospettiva della loro continuit. La tradizione si impianta su questo fondamento naturale e psicologico che precede la trasmissione culturale di saperi ed esperienze.
Questo senso della tradizione come origine naturale e costitutiva del nostro esserci risale e riemerge periodicamente nella nostra societ evoluta: risale come dolore, come paura, come insicurezza, ma anche come amore, slancio, gioia
Il dominio della tecnica ci rende schiavi con l'illusione di essere padroni.
Si allargata la forbice tra tecnica e cultura, all'accelerazione dell'una non ha corrisposto l'accelerazione dell'altra, semmai il suo rallentamento, cosicch oggi disponiamo di un maggior numero di mezzi ma ne padroneggiamo sempre meno. Non abbiamo avuto la possibilit o la capacit, il tempo o la volont di digerire i cambiamenti, di metabolizzare le innovazioni tecnologiche all'interno di una visione del mondo, di una tradizione. La possibilit di manipolare il mondo cresce in misura inversamente proporzionale alla capacit di conoscerlo.
Antico viene considerato ci che non utile a incrementare il progresso, viceversa il nuovo.
Nelle societ dominate da uno spirito antitradizionale la Tradizione l'unica trasgressione.
La tradizione sorge su quattro assi portanti (Cristina Campo): paesaggio, linguaggio, mito, rito. La nostra epoca non si caratterizza come civilt della conquista (benessere diffuso, tecnica avanzata, istruzione allargata, spazi dilatati) ma come civilt della perdita (silenzio, acqua ossigeno, pudore, tempo, equilibrio mentale, regno dei cieli).
Quando viene a mancare la tradizione, come viene colmato il deficit di significato e di rito, di legame sociale e di integrazione collettiva? La tradizione sostituita dall'Evento, full immersion nella Luce, una specie di terapia intensiva che concentra il lento snodarsi della tradizione in un'emozione memorabile quanto volubile; l'evento la religione dell'attimo fuggente, l'assenza e la lontananza da un centro di riferimento superiore e comunitario; con l'evento la tradizione sostituita dall'emozione.
Da tempo la nostra societ vive nel culto della tabula rasa, di azzerare il passato; da una parte la cultura del self-made man, fondata sull'ebbrezza del nuovo e del singolo, che cavalca l'espansione della tecnica e del benessere; dall'altro lato la cultura dell'emancipazione radicale, germogliata da una rivoluzione o da un movimento di liberazione.
L'antagonista della Tradizione non il progresso ma l'egocentrismo del presente.
L'antitesi con la tradizione sorge se la modernit viene elevata a valore, ovvero se si riconosce al moderno uno statuto di autonomia e di superiorit in quanto moderno.
La preferenza tradizionale pi viva nelle culture locali, ambientaliste e nazionali piuttosto che nelle culture globali, industrialiste e internazionaliste. Magari strumentalizzata, banalizzata, ridotta a pura esteriorit, ma dietro la buccia esiste ancora un midollo che combacia con l'indole dei popoli. Ma in senso pi rigoroso la Tradizione il pi delle volte lontana dagli schieramenti politici, sia conservatori che progressisti, e non solo per via dell'odierno primato universale dell'economia e della tecnica che allontana il richiamo a principi e comportamenti non utilitaristici. Ma anche perch a volte entrambi gli schieramenti agiscono su piani diversi in senso antitetico rispetto alla tradizione; gli uni per liberare la cultura, gli altri l'economia da vincoli di natura tradizionale.
Il malessere del nostro tempo ripresenta con l'angoscia della labilit universale, il disperante oblio delle cose, delle opere, delle azioni. Si volatilizzano progetti grandi e impegni duraturi, non ci sono sufficienti motivazioni per dedicare una vita a un'opera destinata a durare oltre il proprio tempo; il risultato un'architettura che deperisce in questa sindrome del vento che spazza ogni cosa, che avverte il proprio disfarsi repentino. Senza collegarsi a una tradizione, tutto sembra deperire in fretta.
Tra l'uomo e il contesto urbano c' un rapporto sempre pi difficile. Quando la tradizione smette di alitare attraverso i suoi muri, le sue strade, i suoi altari, i suoi testimoni viventi, gli individui non vivono la loro citt, non la abitano davvero, . Le citt diventano intercambiabili: vivere qui o l non fa alcuna differenza: lo spaesamento il primo segno di perdita del legame con l'origine e la tradizione, abitare il tratto fondamentale del nostro essere.
Abitare autenticamente vuol dire trovarsi presso la propria origine (Heidegger "l'abbandono" p.42).
La tradizione ci che conduce verso la propria origine. Si continua a credere che la tradizione sia trascorsa, che resti solo come oggetto della coscienza storica, dietro di noi, mentre essa invece viene verso di noi, perch noi le siamo consegnati e ad essa destinati (Heidegger "cosa significa pensare" p.134).
Bisogna concepire la tradizione nel progresso e il progresso nella tradizione.
In che cultura si sostanzia oggi a livello esistenziale e civile il richiamo alla tradizione? Una cultura del ritorno, non del rimpianto o della stasi. La cultura dell'emigrante che non resta a piangere miseria nel suo paese ma che non vuole fuggire dal suo paese, ovvero non abbandona n si abbandona; acquisisce altrove saperi, pratiche e risorse che torna a spendere nel suo luogo d'origine. Camminare verso l'origine, rielaborarne il senso e non fermarsi alla sua adorazione.
La tradizione pu avere oggi prestigio, ma non ha potere. Non si lega a una tecnica n a un progresso, ma a un simbolo, una memoria, un'eredit immateriale. La tradizione concerne il mondo dell'essere e non il regno dell'avere. La solidit delle sue radici coincide con la debolezza delle sue armi.
La tradizione non redime il mondo, non offre paradisi in terra n felicit definitive; costituisce un orientamento di vita, un senso innato da rielaborare continuamente nel rapporto con il mondo. E' come una bussola che non ci garantisce il bel tempo, ma ci fa conoscere dove siamo, dove stiamo andando, diminuisce i rischi del viaggio, ci d una risorsa in pi per destreggiarci nella complessit facendoci seguire una rotta.
La tradizione dorme dentro di noi e noi ne avvertiamo tanto la presenza quanto l'assenza. Noi non possiamo fare a meno di una tradizione a cui collegarci, una necessit teorica e pratica di situarci in un orizzonte, di collegarci ad una rete e di riconoscerci in un'origine che chiamiamo tradizione.

Architetto Andrea Pacciani

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