“[…] nel silenzio del pensiero, noi percorriamo fin d’ora i viali
informatici del cyberspazio, abitiamo le imponderabili dimore digitali ovunque
diffuse, che costituiscono fin da adesso le soggettività degli individui
e dei gruppi.[…]. E’ un’architettura dell’interno, un sistema
incompiuto delle strumentazioni collettive di intelligenza, una volteggiante città
dai tetti di segni.”
Tratto da: P.Lévy, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli Milano,
1996.
La vastità dei percorsi di ricerca e la produzione di innumerevoli visioni
nuove per lo spazio architettonico, contribuiscono a delineare aggiornati modelli
progettuali, soluzioni di evidente raffinatezza costruttiva e di una colta espressività.
Molte volte succede che ad avere la meglio, sia una possibile inadeguatezza
delle metodologie di approccio all’argomento spaziale (architettonico)
definendo poi, delle rappresentazioni ben pubblicizzate, ma letteralmente ‘banali’.
La sperimentazione infatti, può esalatare ed entusiasmare oppure, condurre
ad una deprimente ibridazione formale, da non confondere con la dirompente contaminazione
intesa nella sua accezione qualificante. Forse servirebbe dotare il tavolo della
ricerca architettonica, di strumenti rispettosi del corpo vivo della sperimentazione
contemporanea, nelle sue più complesse e vitali varianti. Cerchiamo quindi
di affrontare osservando, quelle che da sempre distinguo, come delle ben definite
mutazioni che si stanno verificando nel mondo reale, di cui solo l’architettura
intesa come relazione dell’uomo con il suo ambiente, può verificare.
Dallo spazio del “piccolo movimento” fisico fino allo spazio dello
spostamento “virtuale” (infinitamente più vasto), l’architettura
evidenzia le sue qualità e i suoi enigmatici dialoghi, di cui dobbiamo
decifrarne la sintassi. Un ponte tra queste due dimensioni, mostra l’impossibilità
di definirne i collegamenti o tentare di recepirne i segni costitutivi; quella
che si va costituendo appare infatti, come un’architettura inedita, un’architettura
delle “prossimità”. Una città nuova dai paesaggi dimensionali
immateriali. Dimore dove il “passaggio” tra esterno e interno rivela
zone di inedita trasformazione, sono spazi densi che vivono ai margini di realtà
diverse. Ma cosa rappresentano per il mondo reale e quali possibilità
hanno aggiunto all’architettura e quindi alla relazione tra gli individui?
Rispondiamo cercando di analizzare per punti quello che penso sia successo e
stia succedendo tutt’ora durante il formarsi di questi spazi. Penso che
le condizioni si siano formate naturalmente, ascrivendosi ad un’evidente
risveglio di proprietà umane “latenti”. Sollecitate da fenomeni
percettivi e sovrapproduzioni tecnologiche, nella loro ossessionante ricerca
di ambiti umani in cui inserirsi, queste tecnologie hanno intaccato ciò
che per l’uomo è stato taciuto naturalmente da un equilibrio di
ordine superiore legato alla componente evolutiva. Come dire; prima o poi doveva
succedere! Come ho scritto in un altro articolo, tali possibilità (spazi
immaginari che uniti alla tecnologia hanno acquisito la fisicità di estensioni
o memorie interscambiabili) si trovano già nel nostro inconscio, vivono
con noi le nostre visioni e si sublimano in probabili percezioni.

Il quotidiano, ci ha abituati ad usarli pochissimo per la povertà e la
semplicità delle nostre relazioni, con l’ambiente, ma sono sempre
pronte ad attivarsi se stimolate nella maniera giusta. Sono delle vere “periferiche”
organiche, ma il fatto certo è che, queste connessioni aprono spiragli
nuovi e illuminano modi e mondi di cui non conoscevamo le coordinate per concepirne
la realtà. Si tratta di spazi nuovi, che scardinano le definizioni fisiche
e sconvolgono i circuiti normalizzati del sapere, acquisiscono per natura, una
permeabilità di fronte a qualunque linguaggio e assorbono i “nuovi
tempi” nel loro ipnotico funzionamento. Certo le visioni di registi e scrittori
a proposito dell’argomento, non sono delle più entusiasmanti, il
flusso d’informazioni, porta ad una consapevole “distrazione”
( vedi articolo ‘Simulazione d’assenza’ e ‘L’ambito
variabile’). Per esempio Philip K.Dick, isola i suoi personaggi in un mondo
klipperizzato (verso un disordine incontrollabile, nel suo racconto ‘Il
cacciatore di Androidi’), Wim Wenders nel film “Fino alla fine del
mondo”, invece li isola in una natura lontana metafisicamente ‘ferma’
agli occhi dell’uomo, consumati da un’assenza dalla realtà,
data dalla sua ossessionante presenza in un mondo in transito, “supportato”
da continue connessioni, con periferiche incantatrici di derivazioni digitali,
sempre attive.
La ricerca architettonica verifica queste nuove ‘etensioni’ di senso
che danno possibili visioni di paesaggi ancora da esplorare. Nuovi significati
all’orizzonte di una trasformata natura umana?
Si formano altri generi imprevisti di sensibilità unite a processi cognitivi
nuovi, prefigurano un nuovo campo d’azione difficile da concepire, ma che
grazie alla scoperta di una rigenerante ‘virtualità’, stanno
emergendo. L’architettura e la continua ricerca e l’ impegnata sperimentazione,
sono già pronte per stabilire nuove basi per le diverse tipologie di
attività indagatrici, con lo scopo di proporre nuove idee in un campo
che ora moltiplica veramente le già numerose opportunità espressive.
Proviamo a dare un senso figurato al tipo di relazione che l’uomo stabilisce
con il suo intorno. Siamo, a questo punto, in grado di immaginare delle figure
simili a vere e proprie ‘bolle’ relazionali.
La prima bolla è identificabile con lo spazio appena fuori dal nostro
corpo, quello dei gesti e dei movimenti, delle relazioni con gli oggetti d’uso
per il vivere nel quotidiano.
La seconda bolla è lo spazio che comprende l’interno della nostra
abitazione, come guscio, tana o rifugio, ma può essere anche l’unità
di vicinato, quell’unità fisica che ci mette a contatto di un mondo
percepibile materialmente; un altro tipo di relazioni di raggio più esteso.
La terza bolla, è la scala più grande, quella fatta dall’isolato
o dalla città e dal mondo, un ambito più vasto che si percepisce,
ma non si vede. Anche qui si tratta di relazioni, poste però su piani
cognitivi diversi, le identità qualitative e quantitative cambiano e
assumono altre referenze. Tra gli strati di queste immaginarie bolle, esistono
zone dove l’uso consapevole dei nuovi meccanismi comunicativi tecnologici
e i loro molteplici circuiti, hanno determinato, prossimità spaziali
“fisiologiche”, fondendo compiute e naturali parti organico-percettive
strettamente dipendenti dall’umano bisogno, a nuove piattaforme elettroniche
pervase da circuiti meccanico-digitali. L’assimilazione avvenuta, ha determinato
delle vere e proprie “estensioni” e ha formato superfici attive ora,
tecnologicamente vitali.
Infatti, l’attività mediale degli ultimi decenni ha inserito, sommandola
alla realtà fisica, anche una dimensione nuova; quella virtuale. Una
nuova connessione ad un “vicinato” accessibile, piacevolmente prossimo,
“alla portata” di una più vasta moltitidine di fruitori di
spazi “altri”, la cui vastità aumenta in maniera direttamente
proporzionale al loro numero. Si cambia così piano d’azione e da
una fisicità ben territorializzata, si è passati ad un piano immateriale,
i significati ed i concetti che formavano reali immagini mentali di riferimento
fisico, hanno sconvolto i nuovi riferimenti d’appartenenza. Che sia una
forma di riappropriazione delle possibilità mentali non ancora rivelate?
Comunque, si tratta certo di una prova di collegamento mentale che ha contribuito
ad allargare la visione umana, unendola indissolubilmente ad un ambiente affascinante
e differenziato. Una città che contiene mille altre città possibili
nella mente dei suoi cittadini!

Contemporaneamente si è verificato qualcosa di non programmato, con una
sua singolare attività (qualcuno direbbe un effetto collaterale). Autonomamente
ecco formarsi un’ inaspettata ‘connessione’, come un cortocircuito
(questo è il punto da analizzare), dell’infinito spazio virtuale,
con lo spazio percettivo più intimo dell’individuo, quello fatto
dei desideri, dei sogni, delle attese insomma del mondo immaginifico. Sono stati
scavalcati gli spazi (bolle) intermedi che traducevano e filtravano le informazioni
valide da quelle che si presentavano come interferenze. Da questa ‘scorciatoia’
(pericolosissima aggiungo io, se non regolata), può entrare nella nostra
mente, veramente di tutto, infatti è diventata una corsia preferenziale
direttamente unita alla nostra zona, forse più indifesa in quanto mancante
delle schermature naturali che l’evoluzione aveva previsto.Bolle di spazio
quindi, racchiuse l’una nell’altra, una somma di filtri che si sovrappongono
creando le più svariate e stimolanti esperienze comunicative culturali,
visive, contenendo tutti i generi di espressività.
Per una lettura più agevole di questa realtà, è utile come
non mai, affinare i metodi e le tecniche di decodificazione delle diverse sue
potenzialità. Uno di questi strumenti è nella frase di apertura
dello scritto di P. Lévy che tratta del “sistema incompiuto di strumentazioni
collettive di intelligenza”.
Il tema pare di una certa importanza, specialmente se inserito in periodo, come
quello che viviamo, caratterizzato da una proliferazione della cultura dei media,
inserita a volte, al limite di situazioni in cui l’osservato prevale sul
vissuto l’iper-mediato sul veritiero.

E’ questa, la genesi di un momento perpetuo, l’ accidente cede ad
un tempo continuo, ci è permesso così, “accedere” ad
un flusso di informazioni, vaste zone interattive, guidano l’attenzione
del “fruitore di rete”, in spazi in-formali sovrapposti, definendo
dei luoghi di nuova referenza, istituendone l’in-diretta realtà.
Uno spazio diverso da quello che abbiamo sempre immaginato e, aggiungo io, ‘percepito’
come tale. Infatti è costituito da una materia sconosciuta, generato
da un composto di dati che difficilmente è possibile osservare con attenzione.
Esso è in preda ad un effetto “morphing” con tutte le conseguenze
derivanti, una forma variata che lascia intuire solo l’impossibilità
di una sua collocazione. Stiamo scoprendo l’intima struttura dell’architettura,
la “relazione” nella sua forma primordiale come ci è stata
direttamente regalata da un processo di evoluzione dinamicamente vitale e soprattutto
“adattabile” (termine che in futuro, sarà più volte
collegato all’architettura).
Ho sempre pensato che le reti dei media con le loro connessioni, abbiano costituito
inediti ancoraggi tra le idee e in generale tra gli individui, funzionando da
catalizzatori in questo grande esperimento collettivo di cui siamo tutti partecipi.
Credo nell’ipotesi di una grande nuova forma collettiva di relazione e
con essa una nuova sensibilità come valore “empatico”. Intelligenze
interattive che portano a frutto le loro esperienze modificando e raggiungendo
possibilità di partecipazione sociale inimmaginabili. Rimanendo su questo
concetto di “nuova sensibilità”, stiamo arrivando al punto
centrale, che questo scritto intende porre come tematica di discussione e di
riflessione sul modo di intendere i particolari cambiamenti nell’ambito
sociale, legate all’evoluzione architettonica investendola così,
di quel carattere tecnologico-comunicativo. Già sull’argomento.
si sono espressi oltre all’autore P.Lévy che arriva a definire un
contatto individuato come un’estrema e diretta tendenza collettiva alla
“comunicazione angelica” anche recentemente ripresa poi da Massimo
Cacciari in Casabella n.705, nell’articolo Nomadi in prigione. Siamo di
fronte ad una concezione nuova di territorialità e quindi di ordine delle
relazioni urbane, intese come radicate fisicamente in un luogo, ma che risultano
affette da un virulento, epidemico “nomadismo percettivo”. Comunicazioni
di uno “spazio collettivo” che ha per essenza naturale la proprietà
di vibrare e quindi di comunicare con particolare risonanza, generando tutto
un insieme di nuove “prossimità”, di luoghi commutabili. Il
risultato più importante rivela un’ attivazione grazie, non alla
struttura globale, ma all’insieme delle sue molteplici parti. L’attento
studio e l’indagine storica “verticale” affrontata per arrivare
a queste conclusioni, passa da Spinoza a Felix Guattari affrontando l’interessantissimo
argomento, del “Corpo senza organi”, in formazione permanente.
I flussi d’informazioni generano metaforiche gallerie del vento, dove l’interattività,
modella identità complesse partecipi di una grande macchina pensante.
In altri scritti è già stato affrontato il problema della possibile
deformazione della percezione umana inserita nella velocità delle informazioni,
ma non possiamo assolutamente sottovalutare l’enorme vantaggio del sapere
umano che si avvicina a qualcosa d’ importante. Viviamo le “prossimità”
di quello che si va delineando come la complessa genesi del nostro probabile
“nuovo senso”. Difficile da immaginare perchè formato da una
magmatica realtà, ma possibile da descrivere. Come si arriva a tali conclusioni?
Basta osservare attentamente l’evoluzione architettonica e le componenti
tecnologiche che ad essa si sono pian piano unite costituendone configurazioni
strutturali ormai insostituibili. La mia ricerca fondata sulle problematiche
inerenti alla trasformazione percettiva dell’umano immerso in un sistema
d’informazioni derivate dalla possibile trasformabilità dello spazio
(l’architettura chiaramente rientra totalmente in quest’ambito), cambiano
continuamente l’identità del luogo. La relativa percezione di questi
cambiamenti sia fisici che psichici, ha innescato il funzionamento di un’altra
“frequenza” di relazione; ecco perché ho definito il fenomeno
come un “senso inedito”, di recente nuova acquisizione.

E’ il regalo di una fusione con una tecnologia avanzata, la perfetta simbiosi
tra due realtà lontane che hanno trovato una strada comune avviluppando
le prestazioni dell’ospite e offrendo le proprie, a garanzia di una sopravvivenza
più lunga.
Pensiamoci bene; se i cinque sensi ci relazionano alla fisicità del luogo,
secondo parametri misurabili, come una complessa strumentazione di rilevamento
radar, allora il mondo virtuale, e le sue regole (spazi illimitati per l’immaginazione
e la creatività), ha creato un confronto nuovo, un probabile ed importante
“senso inedito”. Esso ci accompagnerà inoltrandoci in un ambito
“deterritorializzato”, “dislocato”, senza coordinate di
riferimento, caratteristiche essenziali del “senso inedito”, costituito
da prossimità spaziali in continua costruzione. Il processo di mutazione
dello spazio di relazione, sia esso fisico che virtuale, e della sua identificazione
sociale, specialmente con le nuove generazioni di artisti, designers e architetti,
quindi, ha operato uno sviluppo imprevisto. Ha creato le condizioni favorevoli
per il manifestarsi di una nuova visione dello stesso ambito, generando una
dimensione alternativa collettiva di sopravvivenza; un “senso inedito”
che nessuno aveva previsto. Un senso che svela l’importanza relazionale
degli altri cinque e ribalta il concetto di materia, proiettando un’intepretazione
diversa nel discorso costruttivo e soprattutto progettuale tutto da reinventare.
E’ cambiato qualcosa nel nostro modo di intendere il tempo e lo spazio,
“percettivamente” non più relativi. Una realtà che l’architettura
ha saputo registrare che vive della sua essenza adattabile e che rifiuta la
fissità classificante. L’architettura è l’esempio pregevole
delle flessibilità, delle sue forme espressive che registrano i cambiamenti
sociali e le diverse innovazioni tecnologiche. Essa ha risposto come sempre
alle attese, anzi grazie alla sua immensa mole di ricerche ed esperienze, rimane
l’esempio pratico nella possibilità di ricreare nuove visioni composte
da nuovi linguaggi, straordinariamente diversi.
Praticamente, sembra che la tecnologia stia facendo di tutto per rivelare ciò
che, con il solo uso del corpo l’individuo e le sue incomplete attività
fisiche e psicologiche, non immaginava si potessero attuare.
Discorsi che abbracciano questo tipo di argomentazioni, scaturiti da problemi
complessi come l’architettura ed i suoi ambiti interpretatativi, non possono
avere semplici risposte, per cui una difficoltà sarà quella di
ricercare delle regole per l’avanzata a volte, problematica, di questo
nuovo mondo mediatico.
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B.Edelstein, Romantic Notations: Wave,
Los Angeles 1985. |
Shuhei Endo, Springtecture h, Harima,
Giappone 1998
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Verifichiamo la definizione di “Ambito Variabile”, nelle due
foto; l’artista americana Barbara Edelstein crea l’ambito variabile’,
sperimenta strutture che possano, con la loro presenza, riportare l’arte
tra la gente. Shuhei Endo trae, da questa sensibilità percettiva un valore
relazionante, quindi trasforma quest’Ambito Variabile, in un “architettonico”
possibile. I due sensibili possono anche non sapere l’uno dell’altra,
si tratta, infatti, di un ambito materico (acciaio galvanizzato), di una “sensibilità
assonante”.
Lo scopo è quello di comprenderne i risvolti o i limiti del fenomeno,
una volta applicati ad un’evidente limitatezza e ad un’ impreparazione
dell’individuo di creare anticorpi alle fisiologiche disfunzioni di un
probabile processo degenerativo tecnologico. Il nuovo “senso”, certo
ci aiuterà, perché nasce da un importante bisogno; sviluppare
continuamente strategie prima, di accettazione e poi di un uso favorevole di
spazi “altri”. La superfice attiva dell’innovazione, esprime
emergenze tra le permanenze mute, gli spazi nuovi (o ritrovati), sono a disposizione
di forze diverse, l’anomalia si potrebbe trovare nel riproporsi di, già
viste, ambientazioni o spazi infiniti e vuoti, che definiscono ancora immanenti
“carceri piranesiane” del futuro, dove la sagoma dell’uomo spunta
solo per dare ragione ad una scala proporzionale d’intervento inserita
in un’ aura antropica, nella quale tutto potrebbe essere compreso, anche
il nulla.
Più gli argomenti intensificano la loro coinvolgente portata e più
ci accorgiamo come l’architettura abbia sempre racchiuso in sé le
diverse varianti e i modelli di trasformazioni conseguenti all’evoluzione
dei modi diversi di vita affrontati dall’uomo. La definizione di un nuovo
senso umano, diventa la soluzione naturale alla proliferazione di una virtualità
pluridimensionata. Tra frastuoni segnici, sequenze d’immagini contaminate
da nuovi linguaggi visivi coinvolti in una velocità costantemente riaggiornata,
scuotono la condivisione di spazi digitali. Viviamo tra istallazioni meccaniche
in costruzione come ponti proiettati nel vuoto, “prossimi” a raggiungere
altre sponde, ma che rimangono continuamente “opere aperte”, non concluse,
incompiute realtà virtuali, come fari i cui bagliori sono di riferimento
per future nuove sensibili attività umane impegnate come non mai, ad
“acquisire” il mondo.

Sono questi, i nuovi territori da conquistare con la ricerca per arrivare ad
avere finalmente un’architettura “poeticamente colta”. Il futuro
tavolo di prova per nuove sperimentazioni, da dove salperanno ancora i sensibili
vascelli informatici, solcheranno onde di espressività diverse, sperando
in una nuovo approdo capace di rendere la nostra esistenza più libera.
Viviamo le “prossimità” di un nuovo affascinante “senso”,
con una rinnovata carica architettonica che può dilatarsi in spazi conquistati
o forse ritrovati dall’intùito derivato da un’intelligenza
collettiva. Uno scovolgente e sempre stimolante scenario aperto alla creatività,
ora percepibile grazie ad un “senso inedito”, trampolino per le imponderabili
nuove scene di una realtà in continuo allestimento.
“[…] - Lei non partecipa alla fusione? Non ha una scatola dell’empatia?
[…] - Ma una scatola dell’empatia – fece Isidore, balbettando
per l’emozione, - è l’oggetto più personale che ci sia!
E’ un’estensione del proprio corpo; è l’unico contatto
possibile con gli altri uomini, è il solo modo di non essere più
soli”.
Tratto dal racconto di fantascienza “Il cacciatore di androidi” di
Philip K.Dick

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