Assemblea Generale IN/ARCH

Opinioni

Assemblea Generale IN/ARCH


di Sandro Lazier
6/8/2003

Si tenuta a Roma, il 26 giugno 2003, l'assemblea generale dell'In/Arch.
Propongo la lettura della relazione programmatica del Presidente nazionale Adolfo Guzzini non prima, per, di un paio di appunti e notazioni.
Da un lato condivido totalmente la concretezza, la presa di distanza dalla retorica salottiera e la puntuale e precisa analisi: "In questo contesto la gente si ormai rassegnata a pensare che la qualit sia un attributo riservato esclusivamente alle opere del passato e che, quindi, promuovere la qualit sia possibile esclusivamente tutelando o recuperando il patrimonio esistente".
Dall'altro disapprovo in buona parte la concezione di qualit dell'architettura che viene fuori dal testo.
In particolare, mi sembra generico e poco prudente dire che: "le Facolt di Architettura sembrano aver rinunciato al compito di formare tecnici con alti livelli di professionalit per far laureare cultori della materia con un diffuso disprezzo per tutto ci che tecnologia". Il che non assolutamente vero. Anzi, vero il contrario. Ricordo che l'Italia piena di stupidaggini formali tecnicamente ineccepibili e che il livello medio della tecnica con cui da noi si costruiscono le abitazioni non ha confronti nel mondo intero. Se ci manca qualcosa questo ha a che fare con il linguaggio, certamente non con la tecnica costruttiva.
Cos come mi sembra fuorviante e sospettoso distinguere le questioni linguistico formali e le interpretazioni critiche da un sedicente e seducente, quanto generico, "strumento di crescita civile" contrapposto al modo "di produrre oggetti perfetti che galleggiano nello spazio, incapaci di formare la complessa stratificazione di fenomeni indispensabili per vivere ed abitare." Secondo me, e credo che Bruno Zevi approverebbe, l'ispirazione poetica - e quindi questioni soprattutto linguistiche - resta il solo strumento di cui un bravo architetto dispone per dare risposte ad una "complessit" che purtroppo non ama riduzioni in schemi fattuali o categorie empiriche.
Se occorre perseguire e indicare una sorta di qualit architettonica, questa non pu prescindere dalla sua forma linguistica. Il Vittoriano o il Palazzaccio a Roma, tanto per fare due brutti esempi, sono costruzioni robuste e ben costruite ma "linguisticamente" lontane dall'idea di qualit architettonica che personalmente auspico.
Quello della "qualit" un tema che ultimamente sta producendo iniziative oltre l'aspetto rigorosamente intellettuale (vedi il recente D.d.L. del Ministro Urbani). La societ tecnocratica - fondamentalmente "quantitativa" - sta scoprendo che con un euro si pu comprare la cosa A o la cosa B ma, A e B, hanno qualit diverse pur avendo la stessa misura. Questo crea un sacco di problemi all'essenza tautologica della logica formale e alle sue applicazioni giuridiche e legislative.
Detto questo ammiro comunque finalit e impegno dell'In/Arch e del suo Presidente nazionale.

ASSEMBLEA GENERALE IN/ARCH
Roma, 26 giugno 2003

RELAZIONE PROGRAMMATICA
DEL PRESIDENTE NAZIONALE
ADOLFO GUZZINI

sintesi


1. Le ragioni della nostra identit

Desidero innanzitutto darvi il mio benvenuto a questa Assemblea Generale dell'Istituto Nazionale di Architettura.
Sono passati tre anni dal nostro ultimo appuntamento assembleare e poco pi di tre dal nostro congresso.
Se dovessi seguire alla lettera le indicazioni dello Statuto dovrei ora presentare un dettagliato bilancio dell'attivit svolta in questi tre anni e delineare un programma per il prossimo biennio.
Invece voglio utilizzare il mio tempo principalmente per porre alcune domande utili per il nostro dibattito, anche sulla base di quanto accaduto nel nostro recente passato.
Vi assicuro che non si tratta domande retoriche.
D'altra parte gi 44 anni fa il nostro fondatore Bruno Zevi poneva questi interrogativi ai partecipanti della prima Assemblea IN/ARCH.
Sentiamo ancora il bisogno di un Istituto Nazionale di Architettura?
A chi e a cosa pu servire la nostro attivit?
Esiste un reale interesse da parte dei soggetti che sono coinvolti nel nostro Istituto a proseguire, dopo quasi mezzo secolo, questa esperienza?
"Cosa far l'Istituto nazionale di architettura? - diceva Zevi al Piccolo Eliseo nel 1959 - Quale il suo programma?.Potrei tracciarvi un calendario dettagliatissimo per cinque anni, ma i programmi, anche i pi seducenti, non servono se non corrispondono ad una struttura di interessi; e viceversa, quando la struttura esiste, i programmi discendono da soli".
Credo che queste parole di Bruno Zevi debbano essere anche oggi alla base del nostro dibattito: qual stata e quale dovr essere la nostra struttura di interessi? Se diamo una risposta a questa domanda il programma verr da solo.
Credo altres che debba farci molto riflettere l'ammonimento di Zevi:
"Oggi assurdo pensare a un Istituto di Architettura.che organizzi un circoletto di conferenze, un congressetto ogni anno, qualche piccola pubblicazione".
Vi invito tutti a considerare se, nella nostra attivit di questi anni, nell'attivit delle nostre sezioni sul territorio, non abbiamo spesso avuto la sensazione e la tentazione di essere un circoletto di conferenze.
E' questa la nostra prospettiva?
Non c' dubbio che su questo terreno, oggi molto pi che quarant'anni fa, troviamo una concorrenza fortissima.
Si moltiplicano in modo esponenziale iniziative, pi o meno culturali, del mondo dell'architettura, organizzate da associazioni, ordini professionali, dipartimenti universitari, riviste di settore, associazioni di categoria.
Oltretutto, se crediamo che il nostro futuro debba essere essenzialmente incentrato su questo tipo di attivit, bene sapere che i concorrenti sono quasi sempre pi efficienti di noi: hanno pi risorse, dispongono di una macchina organizzativa pi forte, hanno pi capacit di autopromuoversi anche con i mass media.
Ma la nostra origine e la nostra identit sono molto diverse.
Il nostro patto fondativo, bene non dimenticarlo, basato sulla volont di far incontrare tutte le forze che contribuiscono a produrre le trasformazioni del territorio: costruttori, industriali, architetti, ingegneri, consumatori.
L'IN/ARCH nato per far incontrare produttori e consumatori di architettura, per integrare cultura ed economia.
Abbiamo rispettato questo patto?

2. Esiste una domanda di architettura di qualit?

Esistono molti modi per promuovere la cultura architettonica e per sostenere la qualit delle trasformazioni del territorio.
Ma prima ancora di interrogarci sul come avremmo dovuto o dovremo farlo, chiediamoci se al nostro mondo politico, al mondo degli amministratori pubblici, al mondo economico e, pi in generale, alla nostra societ interessa veramente la cultura architettonica e la qualit delle trasformazioni.
Se non partiamo da questo punto temo che continueremo a sbagliare premesse e obiettivi.
Ho avuto modo di leggere la relazione fatta dal Presidente dell'ANCE - nonch dirigente dell'IN/ARCH - Claudio De Albertis all'ultima Assemblea dei Costruttori di una settimana fa.
Condivido l'interrogativo di De Albertis: perch politici e governo non si sono ancora chiesti se accanto al Patto di Stabilit non debba coesistere anche un Patto che garantisca ai pi una residenza civile ed una citt pi vivibile?
Un quesito valido soprattutto per l'Italia, un Paese che ha un mezzogiorno privo di infrastrutture primarie e una Nord asfissiato dalla congestione delle reti.
"La cultura e la civilt di un popolo - proseguiva De Albertis - hanno sempre trovato riscontro nel numero e nello splendore delle opere edili e delle citt".
In questi ultimi due anni abbiamo assistito in Italia ad un intenso dibattito sulla necessit di dotare il Paese di nuove infrastrutture.
L'attuale maggioranza di governo ha posto la realizzazione di importanti opere infrastrutturali tra i punti prioritari e qualificanti del proprio programma, destinando ad essa importanti risorse finanziarie (che in realt, sino ad oggi, sono rimaste solo sulla carta).
Recentemente Confindustria e Sindacati hanno ritrovato una inaspettata unit di intenti siglando un Patto per lo sviluppo in cui si chiede al Governo di riprendere gli investimenti per le infrastrutture, straordinarie ed ordinarie.
La nostra storia ci ha insegnato che il territorio un fattore centrale e determinante per sostenere un sistema produttivo. Senza una intelligente gestione del territorio, un'articolata rete di infrastrutture e servizi, la competitivit di un sistema Paese resta una illusione.
Abbiamo sotto i nostri occhi l'enorme costo economico e sociale derivato da una mancanza di qualit del territorio.
Siamo dunque tutti convinti che questo problema rappresenta una vera e proprio emergenza per l'Italia.
Ma, come spesso accade, il dibattito si subito polarizzato su due fronti contrapposti: da un lato il partito del fare ad ogni costo, anche con qualche sconto sulle procedure, sui controlli e forse anche sulla qualit.
Dall'altro lato il partito del non fare comunque, dell'opposizione pregiudiziale ad ogni opera di trasformazione degli assetti esistenti del territorio, anche se tali assetti risultano fatiscenti e privi di qualsiasi valore.
Mi riferisco in particolare ad un certo massimalismo ideologico della cultura ambientalista, che tutti voi ben conoscete, capace di dire solo no.
No al ponte sullo stretto di Messina, no al MOSE di Venezia, no alla variante di valico per l'autostrada Bologna-Firenze e via dicendo.
In questo contrapporsi - nemmeno troppo avvincente - tra il fare e il non fare appare del tutto assente un dibattito serio sul come fare.
Il problema sembra essere sempre e solo se un'autostrada, una linea ferroviaria, una trasformazione urbana debba o non debba essere realizzata e mai sulla qualit di quell'intervento.
Viene allora da chiedersi se la qualit di un opera, intesa in senso ampio, interessi veramente a qualcuno.
E siamo cos giunti alla seconda domanda cruciale del mio intervento, anch'essa finalizzata a capire il senso del nostro ruolo e della nostra identit.
Esiste una domanda sociale di Architettura?
E se non esiste possibile operare per suscitarla?
Una domanda sociale consapevole ed esigente il presupposto, il vero motore della qualit delle trasformazioni: se la domanda forte essa in grado di determinare tutti gli ingredienti e le condizioni per la forte competitivit ad ampia scala del sistema Italia.
Se giudicassimo la situazione del nostro Paese a partire dall'osservazione del territorio e dai contenuti del dibattito politico e culturale dovremmo probabilmente constatare che il valore della qualit dell'architettura non rientra tra le priorit della nostra collettivit.
In molti altri settori la consapevolezza dello straordinario valore aggiunto della qualit un dato largamente acquisito e condiviso: pensiamo al design o alla moda.
In questi ambiti nessuno ha pi alcun dubbio che la qualit non un costo aggiuntivo ma fattore vincente di mercato.
Non cos per l'architettura. Se occorre realizzare una nuova linea per l'alta velocit ferroviaria il problema del valore aggiunto, anche in termini economici, della qualit dell'opera sembra non interessare nessuno, neanche ai Sindacati ed alla Confindustria.
Proviamo a percorrere l'autostrada Roma-Napoli, pi volte attraversata dalla linea dell'alta velocit ferroviaria; proviamo ad osservare il nuovo aeroporto di Malpensa o a rivedere le opere realizzate per i mondiali del '90. Potrei citare mille altri esempi: capireste il senso di questa mia affermazione.
Il problema dell'architettura in Italia non certo legato al fatto che si costruisce poco.
Tutti i dati sul progresso dell'industria delle costruzioni, pur tra gli alti e bassi legati alle congiunture economiche, ci dicono il contrario.
In Italia si costruisce molto.
I dati sull'occupazione nell'edilizia rivelano una crescita del settore in controtendenza rispetto a molti altri settori industriali.
Il problema, allora, diverso: si costruisce male.
In questo contesto la gente si oramai rassegnata a pensare che la qualit sia un attributo riservato esclusivamente alle opere del passato e che, quindi, promuovere la qualit sia possibile esclusivamente tutelando o recuperando il patrimonio esistente.
Trasformato tale assunto in luogo comune, si pretende di conservare tutto, anche le cose pi indegne del passato, anche gli interventi che non hanno alcuna qualit sotto tutti i punti di vista: paesaggistico, architettonico, storico, funzionale.
Siamo cos diventati il Paese in cui una norma dello Stato tutela automaticamente tutto ci che ha pi di cinquant'anni e in cui le parole demolizione e sostituzione sono un indiscusso tab.
L'intervento contemporaneo sempre e comunque, per gran parte della pubblica opinione, una insidia, tanto pi se ha la pretesa di incidere in contesti storici. Non sono insidie altrettanto pericolose il traffico, l'abusivismo, il turismo di massa, le trasformazioni funzionali. L'architettura contemporanea si.
Per tutte queste ragioni occorre ripartire dalla costruzione della domanda.
Ecco il compito prioritario dell'IN/ARCH per i prossimi anni, sul quale cercare nuove alleanze e sancire nuovi patti.
Sarei quasi tentato di dire: facciamoci usare dalle forze economiche, politiche, sociali realmente interessate alle trasformazioni del territorio, pur di raggiungere tale obiettivo. Offriamo anche una azione lobbistico-culturale per la promozione degli interventi di trasformazione del territorio. D'altra parte non quello che, su un diverso fronte, hanno fatto in questi anni, con ottimi e in parte nefasti risultati, le varie associazione ambientaliste? Non sono diventate anch'esse delle lobby con le relative alleanze strategiche?
Esistono molte forze in Italia che spingono affinch siano realizzati interventi sul territorio che aiutino il nostro sistema industriale?
Bene, siamo a loro disposizione per organizzare campagne di promozione culturale di tali politiche presso l'opinione pubblica.
Purch si accetti di parlare anche della qualit di tali opere.
Ci proponiamo come animatori culturali della trasformazione, anche in contrapposizione con la cultura ambientalista dell'immobilismo e della finta tutela. Mettiamo a disposizione il prestigio della nostra storia.
Forse perderemo un po' di presunto rigore scientifico nelle nostre iniziative ma avremo rispettato quel patto fondativo di cui parlavo all'inizio.
D'altra parte non esistono altri soggetti che si siano assunti questo compito.
Ma se vogliamo lavorare per questo progetto dobbiamo avere la capacit e la voglia di parlare all'opinione pubblica. Se continuiamo a rivolgerci a un selezionato gruppetto di architetti e qualche costruttore illuminato non serviamo a niente e a nessuno.
Nel discorso fondativo dell'IN/ARCH che citavo in apertura, Bruno Zevi individuava un obiettivo minimo: l'educazione del cliente.
"L'Italia - diceva Zevi - l'unico paese del mondo civile in cui i fruitori di architettura non siano oggetto di attenzione, di pressione didattica nell'interesse di tutti ampliare e qualificare i consumatori di architettura, la massa di gente che usa i nostri prodotti".
Questo era il senso della nostra campagna pubblicitaria promossa lo scorso anno nel Lazio con l'affissione di manifesti pubblicitari: immagini di integrazione tra architettura contemporanea e paesaggio erano accompagnate dallo slogan PAESAGGIO.IL NUOVO CREATO. Abbiamo provato a dialogare con i cittadini stimolando una nuova domanda di architettura.
Ecco perch stiamo cercando da mesi di trovare un modo per realizzare uno spot televisivo di pubblicit sociale.
Ecco, ancora, il senso del nostro lavoro per creare in ogni citt una casa della citt o Urban center.
Attenzione: se pensiamo che le case della citt debbano diventare un ennesimo luogo per raffinate conferenze accademiche in cui far partecipare qualche professore universitario e un po' di studenti delle Facolt Architettura o per allestire mostre destinate ad un pubblico scelto di intenditori allora meglio che rinunciamo in partenza.
La casa della citt, per come la intendo io, deve essere lo strumento per sensibilizzare i cittadini alle trasformazioni, informare, promuovere la partecipazione, creare dibattito intorno alla struttura fisica della citt; devono essere un'occasione per far incontrare e litigare amministratori pubblici, forze sociali, costruttori, imprenditori, immobiliaristi e progettisti.

3. Cos' la qualit dell'Architettura

A questo punto dobbiamo chiederci: cosa intendiamo per qualit dell'architettura?
Anche qui occorre una verifica seria. Il tema della qualit carico di equivoci.
L'IN/ARCH intende promuovere la qualit parlando solo del momento della concezione, limitando il dibattito all'opera dei progettisti, al loro estro creativo? Vogliamo concentrarci su questioni linguistico-formali, su interpretazioni critiche dell'opera di questo o quell'architetto? Vogliamo continuare ad ignorare che il fine dell'architettura di essere strumento di crescita civile e non di produrre oggetti perfetti che galleggiano nello spazio, incapaci di formare la complessa stratificazione di fenomeni indispensabile per vivere ed abitare?
Quando parlo di architettura di qualit, personalmente, penso a tutti i passaggi della filiera che compone il processo edilizio: domanda, esigenze, programma, norme, risorse, progetto, realizzazione, controllo, gestione.
Pensiamo all'importanza che riveste il cosiddetto documento preliminare di progetto introdotto dalla Legge Merloni.
Ad esso dovrebbe essere affidato il compito di stabilire gli obiettivi generali e gli obiettivi specifici dell' intervento che si intende realizzare in rapporto alla domanda che lo ha motivato, di individuare gli strumenti urbanistici, normativi e finanziari, di elaborare un corretto programma funzionale, di definire gli standard qualitativi e quantitativi, le relazioni e le integrazioni contestuali.
Tutti voi conoscete bene cosa sono nella realt tali documenti preliminari elaborati dagli Uffici Tecnici delle nostre Amministrazioni Pubbliche: scarni elenchi e liste inanimate, quasi sempre contradditorie.
Eppure il programma di progetto dovrebbe essere considerato dagli amministratori pubblici uno strumento decisivo per il compimento delle proprie politiche di trasformazione urbana.
Ma probabilmente i tecnici che lavorano nelle Pubbliche Amministrazioni sono troppo impegnati a svolgere direttamente l'attivit di progettazione anzich quella di programmazione, visto che una assurda norma della Legge Merloni ha pensato bene di far fare i progetti prioritariamente agli Uffici Tecnici.
La qualit della domanda e la qualit del programma sono l'humus della qualit di concezione di qualsiasi proposta di trasformazione.
Senza di esse il progetto fonda nel vago e l'Architettura non pu che perdere concretezza, credibilit e autorevolezza.
Immediatamente successiva la questione di come elevare i confronti tra alternative, cio di come migliorare i concorsi di progettazione, rendendoli strumenti credibili ed efficaci.
Sulla qualit della realizzazione delle opere abbiamo molte alleanze da fare con il mondo dei costruttori.
La prima riguarda i parametri utilizzati nel nostro Paese per valutare i costi di costruzione, molto inferiori a quelli di tutti gli altri Paesi europei, Grecia e Portogallo compresi.
E che dire del fatto che in Italia il costo a metrocubo, ad esempio, di una Biblioteca Pubblica sempre riferito al costo a metrocubo dell'edilizia residenziale?
In tal modo oltretutto diviene quasi impossibile anche per l'industria di componenti per l'edilizia riuscire a proporre sul mercato prodotti e materiali di qualit.
Infine la qualit della gestione: non abbiamo una cultura della manutenzione del territorio, delle citt, degli edifici. Ma senza una corretta gestione degli interventi non potr mai esserci qualit e senza manutenzione non ha senso nemmeno parlare di conservazione e di tutela.
Questo il senso che vorrei fosse attribuito al termine "architettura di qualit".
Se concordiamo su tale interpretazione capiremo anche meglio i contenuti del programma futuro dell'IN/ARCH, sapremo tutti su quale terreno svolgere le nostre azioni.
Se siete convinti che la qualit sia in tutte le fasi del processo edilizio, nella loro integrazione, allora sarete anche in accordo con me nel sostenere che il nostro sistema formativo universitario continua a sfornare professionalit molto poco capaci di produrre qualit.
In particolare le Facolt di Architettura sembrano aver rinunciato al compito di formare tecnici con alti livelli di professionalit per far laureare cultori della materia con un diffuso disprezzo per tutto ci che tecnologia, procedura, normativa, pratica professionale e via dicendo.
Cultori della materia, oltrettutto, convinti che ogni loro opera dovr costituire sempre ed in ogni luogo un monumento unico.
Abbiamo cos in Italia schiere di giovani architetti del tutto inconsapevoli che il loro mestiere finalizzato al costruire, ma straordinariamente capaci di confezionare opere di grafica pubblicitaria per qualche concorso; opere che troveranno una transitoria ma appagante visibilit in una delle tante riviste di architettura sul mercato.
Chiedo ai costruttori ed agli imprenditori presente in questa Assemblea: la nostra societ, il mondo imprenditoriale legato all'edilizia, gli interlocutori politici hanno bisogno di questo tipo di "professionisti"?
Suscitare nel Paese una nuova domanda di Architettura di qualit.
Spiegare alla collettivit che la questione architettonica e territoriale ha una straordinaria importanza per la propria qualit della vita.
Cercare alleanze con tutti i soggetti che condividono questo obiettivo e siglare con loro un nuovo patto di azione.
Un patto che proponiamo innanzitutto ai nostri soci istituzionali: all'ANCE, all'INU , al CNI, al CNA, all'OICE, alla Federlegno Arredo, alle Amministrazioni locali e cos via.
Sulla base di questo patto potremo tornare a convocare quel Tavolo di concertazione che avevamo avviato dopo il nostro Congresso del 2000. Ma dobbiamo convocarlo su ordini del giorno concreti, proponendo azioni incisive e prese di posizione chiare, da inviare con continuit a Commissioni Parlamentari, organi di governo, partiti, stampa, televisioni e cos via. Altrimenti non susciteremo mai l'interesse dei nostri interlocutori.
Sintetizzo cos il senso del mio intervento ma soprattutto il senso del lavoro fatto in questi anni come Presidente dell'IN/ARCH e il contenuto del programma che propongo a tutti voi per il futuro dell'IN/ARCH.
Questo anche il punto di partenza per il nostro prossimo Congresso Nazionale che vorremmo organizzare (se ne avremo le risorse) per il prossimo autunno.
Dico con chiarezza che non mi interessa organizzare un congresso di tipo accademico.
Se vogliamo parlare di infrastrutture dovremo farlo interloquendo prima di tutto con chi ha la responsabilit di programmare e realizzare le infrastrutture in Italia: le Ferrovie dello Stato, la Societ Autostrade, l'ANAS, la Societ Infrastrutture s.p.a. ecc.
Vorrei che il Congresso IN/ARCH fosse un occasione per interrogare questi referenti, provocarli, dimostrare che in altri paesi europei si fa gi oggi architettura delle infrastrutture e che possibile farlo anche nel nostro Paese.
Qualcuno ha sollevato l'obiezione che in tal modo si rende il Congresso poco appetibile per gli architetti.
Io rispondo con una provocazione: "peggio per loro".
Se gli architetti non capiscono che un patto per la qualit del territorio va siglato anche con questi soggetti, l'in/arch ha il compito di spiegarglielo.
Avremo forse una star dell'architettura internazionale in meno e pochi studenti universitari ma saremo stati coerenti con il nostro programma.

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