A proposito di brutto

Arte e dintorni

A proposito di brutto


di Sandro Lazier
14/8/2003

Da un'intervista con Remo Bodei di Silvia Calandrelli sul sito dell'Enciclopedia Multimediale di Scienze Filosofiche potremmo trarre parecchie riflessioni sul recente progetto di legge del ministro Urbani, in particolare sulla sostanza del problema che da filosofico e astratto diventa pratico e determinante: scegliere cosa buttare e cosa no. Le frasi riportate seguono un excursus storico-critico che parte dalla concezione platonica e classica di bellezza basata sulla proporzione e armonia. Quindi, l'espressione "brutto", usata in questo contesto, va riferita al suo significato evoluto storicamente nella cultura occidentale e non pu essere generalizzato in forma universale. In periodo di globalizzazione dell'economia, e quindi della cultura , la condizione distinta e storicamente definita del giudizio estetico pone ulteriori problemi di determinazione inverosimilmente traducibili in trattati e regole di pronto uso.
Detto questo rimane l'intenzione di produrre e promuovere la qualit architettonica che, a mio parere, pu essere perseguita solo in virt d'impegno e responsabilit personali. In altre parole, il progettista delle opere di architettura, non esclusa la progettazione urbanistica, deve essere responsabile delle proprie azioni e non pu pi trincerarsi dietro la presunta neutralit di un incarico formalmente competente tutelato e garantito da un ordine professionale. Cos come, fuori di una dittatura, non esiste verit di stato, non pu esistere architettura di stato ma varie dottrine che si devono confrontare liberamente e che non possono ovviamente frequentare la stessa chiesa. Se lo fanno, come accade oggi, la prudenza e l'ipocrisia imposte dalla convivenza sono tali da soffocare sul nascere ogni possibile giudizio di qualit, limitando il confronto alla sola spartizione della torta e alla meschina tutela del proprio orticello.
La qualit passa per il vaglio della concorrenza sul piano delle idealit e delle teorie prima che su quello del denaro e del mercato. Se si disconosce questa necessit l'istanza architettonica rester utopia.
L'invito quindi rivolto ad una riforma delle attivit professionali che dia spazio primariamente all'associativismo libero di proporre teorie comparabili e, soprattutto, schiettamente responsabili.

Intervista del 30/7/1996
Silvia Calandrelli
Tutta l'arte contemporanea, (da Picasso a Bacon, da Schnberg a Cage, da Beckett a Jonesco) rovesciando i canoni tradizionali del bello, produce opere d'arte in cui dominano, potremmo dire, lo stridore dei colori, la deformazione delle figure, le dissonanze, le frasi assurde. Allora cosa significa tutto questo, che il brutto diventato nell'arte contemporanea la vera bellezza?

R. Bodei
Significa proprio questo, perch, siccome il bello non problematico, cellofanato, si trasformato in kitsch, cio in qualche cosa che non produce pi nessuna emozione estetica, perch semplicemente asseconda, liscia tutti pregiudizi e tutte le forme percettive ormai consunte - complice fra l'altro, indirettamente, anche la fotografia, ritenuta per esempio, rispetto alla pittura, riproduzione pura e semplice della realt; noi sappiamo che questo non vero, nemmeno per la fotografia, ma comunque si credeva -, ecco, in questa situazione allora l'arte reagisce sperimentando qualche cosa che va al di l delle forme "fruste", come si chiamano, delle forme consumate, e quindi introduce, ad esempio in musica, in forma massiccia quelle dissonanze che gi Mozart, per esempio, aveva sperimentato, o l'ultimo Beethoven. E le introduce per far sentire il dolore del mondo, una specie di pianto, che invece l'arte ufficiale, in genere sotto la grande ala dello Stato, cerca di eliminare in forma trionfalistica. Tutta l'arte veristica, l'arte dei trattori o delle colonne, del realismo pi o meno socialista, per esempio quella sostenuta dal Lukacs, viene combattuta sia dalle avanguardie letterarie, sia in teoria, ad esempio,da posizioni come quelle dei filosofi della Scuola di Francoforte. In generale si pensa che nel cosiddetto mondo amministrato, regolamentato, tutto ci che in un certo senso armonico sia falso e che quindi l'arte deve recuperare tutto ci che stato condannato dalla societ come brutto e messo da parte. In questo recupero avviene una presa di coscienza, perch noi, attraverso questi elementi che riusciamo a strappare alla condanna sociale riusciamo a recepire che cosa sono i pericoli per questa societ, cosa teme questa societ, di modo che le figure di Picasso, tutte contorte, hanno un valore di denuncia artistica, non soltanto sociale, che pu essere espressa da un aneddoto che ha raccontato Picasso stesso: durante l'occupazione di Parigi venne un ufficiale tedesco nel suo studio e per prenderlo in giro, mostrando il quadro "Guernica", che rappresenta, come sappiamo, un bombardamento dei Tedeschi su questa citt basca durante la guerra civile spagnola, disse: "Chi che l'ha fatto questo orrore, l'avete fatto Voi?". E Picasso risponde: "No, l'avete fatto voi", cio voi Tedeschi, cio voi nazisti che volete appunto stravolgere la realt. Se invece di rappresentare fiorellini, rondini, si rappresenta l'orrore, questo orrore ha un valore di carattere catartico e pedagogico, cio ci fa capire come fatto il mondo e nello stesso tempo ci addita una dimensione utopica di come potrebbe essere il mondo diversamente.

Silvia Calandrelli
Lei ritiene che la sensibilit dei nostri giorni sia ancora legata attualmente a questo pathos per il brutto?

R. Bodei
Mi pare che stia cambiando, per dobbiamo pensare a cosa ha significato questo pathos per il brutto. Il pathos per il brutto aveva a che fare con una situazione di denuncia del mondo cos com, con la presenza di qualche cosa che ci spaventava, di qualcosa di arcaico.
C stato un periodo in cui larte si posta come compito quello di svelare la presenza del dolore e delle lacerazioni allinterno della societ e di ritrovare in questo rimosso il senso pi autentico del bello, cio soltanto puntando su questo rimosso e quindi con forme di privazione sensoriale. Dice Adorno: "Larte in lutto". C una specie di divieto del piacere, io non devo godere durante la rappresentazione delle opere darte, devo soffrire, devo sostanzialmente avere dellarte una concezione ascetica. Adorno, che suonava il pianoforte e ha pensato molto la musica, ha pagine molto belle proprio sul carattere della musica. La musica ha un aspetto di sofferenza, ma un aspetto liberatorio che si manifesta soltanto col pianto. Leggerei solo una sua frase: "Luomo che si lascia defluire in pianto e in una musica che non gli assomiglia pi in nulla lascia contemporaneamente rifluire in s la corrente di ci che egli non e che aveva ristagnato dietro lo sbarramento degli oggetti concreti. Col suo pianto e il suo canto egli penetra nella realt alienata". Parole difficili, che significano: se noi, attraverso larte, e in questo caso la musica, riusciamo a smaterializzare, a togliere questa barriera che ci separa dal mondo, quindi dalla realt alienata, se noi facciamo rifluire il mondo in noi e nello stesso tempo, attraverso questo allentamento della tensione che si manifesta nel pianto, facciamo in modo che la nostra soggettivit si metta di nuovo in contatto col mondo, ecco che larte a questo punto non mi d soltanto dispiacere, ma anche piacere.
Io credo che attualmente noi siamo stanchi forse di questa overdose di arte che fa soffrire e come tendenza generale - sociologicamente, non artisticamente parlando - si cerca un bello senza dolore. Quello che Aristotele aveva definito appunto tale era la commedia. Non che noi abbiamo pi voglia di ridere che di piangere, per certamente questo grande pathos per andare a sperimentare tutte le forme del brutto, appunto per dipingere come faceva Bacon queste figure che si sciolgono quasi come un cadavere in putrefazione, oppure per riprodurre, come Webern o come Schnberg, tutto un sistema di musica tonale fatto di stridori, di dissonanze, non abbiamo pi la pazienza.
Probabilmente questo dipende dal fatto che la sperimentazione si avvitata su se stessa e che molte volte non c pi creativit. Quello che interessante che il brutto non viene pi necessariamente considerato un lievito o un concime per il bello. Si possono fare delle cose belle, senza pagare il pedaggio del brutto. Non so se questo sia un fatto transitorio o permanente, ma certamente perdendo il contatto col rimosso o col brutto probabilmente si sacrifica qualcosa e credo di poter ritenere che, dopo tutta questa fase luttuosa dellarte del Novecento, il senso delle avanguardie potr essere ripreso; senza avere la pretesa di riaffondare nuovamente nel brutto e nel rimosso, si dovr pur fare i conti con ci che unarte troppo pacificata nel presente ci propone.

Tutta l'intervista riportata alla seguente pagina

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