Un anno difficile

Opinioni

Un anno difficile


di Sandro Lazier
28/12/2010

Il 2010 sta per finire.
Un anno difficile, principalmente per la crisi economica che ha costretto tutti noi a rivedere la nostra situazione professionale da una prospettiva molto pi stretta, creativamente inaridita dalle difficolt contingenti e quindi difficile da tradurre in progetti capaci dimmaginare un futuro a lieto fine. La paura, il disagio e le difficolt collettive non aiutano la buona architettura perch minacciano i buoni propositi con cui questa dovrebbe prodursi. Ho un presentimento. Vedrete che, in virt dunauspicata sobriet, si rinnover linvito alla semplificazione formale, pi accomodante e sedativa del malessere generale, da attuare con il ricorso al solito bignamino delle tipologie nazionalistiche e regionali.
Ma le crisi sono anche il miglior modo per riflettere sulle proprie convinzioni e sul modo che, una certa abitudine di pensiero, ci fa giudicare il pi adeguato al tempo che viviamo. Cos per chi ha condiviso con successo ed entusiasmo gli ultimi anni deuforia architettonica; ma lo anche per coloro che lhanno avversata giudicandola scaduta in un pi generale decadimento dei valori sociali.
La riflessione che propongo quindi questa.
Al netto dellentusiasmo, ci rimane di questi anni dottimismo, forse mal riposto, una ricerca linguistica e formale che non ha precedenti nella storia dellarchitettura. Mai lo spazio ha trovato, nei secoli precedenti, una tale libert espressiva cos diffusamente condivisa; e le libert, una volta conquistate, vanno s difese, ma diventano irrinunciabile patrimonio collettivo.
Spesso le critiche pi aspre rivolte a questa libert riguardano la mancanza di proposito etico dei loro autori. Questa libert viene intesa come eccessiva rispetto a presunti limiti oggettivi che dovrebbero concernere il fare architettonico. Una sorta di ontologia - che qualit oggettiva dellessere - che dovrebbe riguardare larchitettura, come spesso ha scritto e sostenuto pi volte Vittorio Gregotti, autorevole censore di questa libert formale.
Bene, ad esser sincero io credo poco alla responsabilit etica degli architetti. Gli effetti pratici dellarchitettura sulla complessa societ attuale sono, nel bene e nel male, pressoch irrilevanti.
Infatti, dal punto di vista morale dellarchitettura, non si vive meglio in case migliori e peggio in quelle peggiori. Ci sono persone di grande valore che provengono dalle peggiori periferie e spietati assassini cresciuti in case stupende. Per cui non assolutamente vero che nei posti architettonicamente migliori ci viva la gente migliore. Anzi, spesso certo il contrario. Questillusione, in particolare, stata lideologia maestra del secolo scorso, che ha rischiato di soffocare la modernit sotto il peso del pregiudizio neo-razionalista da un lato e post-modernista dallaltro. Quindi non caricherei pi gli architetti duna responsabilit che non possono avere ed molto meglio evitare.
Io credo, invece e pi semplicemente, in unetica della responsabilit, dove allarchitetto viene chiesto di fare semplicemente larchitetto, di farsi carico dellarchitettura che sta costruendo e non di tutta lumanit e dei suoi guai. Sono certo che ogni architetto potr assumersi questa responsabilit limitata ma sostanziale, ne sar felice e ne giover sicuramente la qualit spaziale delle sue architetture.
Fare larchitetto, infatti, significa principalmente, e apparentemente molto modestamente, occuparsi di spazio, della sua scrittura e della possibilit di questo di liberarsi di regole e precetti arcaici, poco rappresentativi del nostro tempo, della nostra cultura e della nostra esperienza di vita. Un compito alto, che spetta solo alle pi virtuose attivit dun uomo. Io credo che unarchitettura, la cui ricerca porti ad una scrittura raffinata e libera, ci renda sicuramente pi ricchi perch pi liberi. Pi liberi soprattutto perch pi tolleranti, perch la libert degli altri lunica garanzia della nostra e del benessere che ne consegue.
Questo, in fondo, dovrebbe essere il compito principale dellarchitettura: contribuire alla formazione della nostra coscienza esistenziale e sociale, che indiscutibilmente ha necessit di un contesto spaziale, quindi architettonico, nel quale agire, confrontarsi ed esprimersi al massimo livello di civilt.
Questa, in breve, la mia riflessione. A voi proporre la vostra che, sono sicuro, sar allaltezza dei propositi che risolutamente vorremmo esprimere per il nuovo anno che verr.
Altezza di sentimenti e di pensiero che ha sempre contraddistinto gli interventi di un nostro grande amico, Giannino Cusano, che ci ha lasciati improvvisamente nel mese di luglio di questanno, del quale pubblicheremo prossimamente un testo inedito che ci ha gentilmente inviato Cristina Caretta, sua compagna di vita e di lavoro, alla quale va tutto il nostro ringraziamento.
Buon anno a tutti.

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