Volevo scrivere un articolo sul valore dell'intelligenza e la necessità 
        di sollecitarla continuamente per tenerla in vita. Volevo invitare alla 
        riflessione su quanto potesse essere conveniente sfidare la ragione, spingendola 
        ai margini del capriccio e dell'immaginazione. Volevo tentare di spiegare 
        quanto, in fondo, fosse utile sperimentare l'inutilità, per costringerla 
        a rivelarsi fuori del pregiudizio e della prigione ideologica di un materialismo 
        che, ormai vuoto di significati etici e filosofici, si consola nella carta 
        moneta.  
        Quotidianamente, l'umanità è costretta a fare i conti della 
        spesa, amplificando la categoria del necessario a misura del sistema economico 
        dentro cui ogni individuo è represso. In tale sistema utilità 
        e necessità mescolano il loro significato e, insieme, muovono i 
        confini del cinismo oltre le colonne della ragionevole convivenza che 
        dice la vita umana, innanzitutto, essere sacra. Ma sacra per tutti, senza 
        dover abbandonare per convenienza, con l'alibi dell'utile e del necessario, 
        intere popolazioni nelle mani di un dispotismo barbaro che, anch'esso 
        per convenienza e con l'alibi dell'utile e del necessario, nega la sacralità 
        della persona sacrificandola alla follia religiosa del tradizionalismo 
        e della rivelazione. 
        Tuttavia, quello che è successo in queste ore si spinge ben oltre 
        i confini del cinismo, nel senso e nel significato che la nostra civiltà 
        affida a questo termine e, se mancano parole e significati, vuole dire 
        che la nostra cultura è insufficiente per comprendere la totalità 
        del mondo e le sue manifestazioni; ma, soprattutto, vuole dire che non 
        disponiamo di un linguaggio completo per comunicare a tutti le ragioni 
        fondamentali che sorreggono il nostro concetto di civiltà. 
        A ognuno di noi pare scontato che non si possa uccidere il proprio vicino 
        perché non ci piace e non la pensa in tal modo. Ma se ce ne chiediamo 
        la ragione, quanti saprebbero rispondere in modo convincente? Quanti saprebbero 
        dissuadere un suicida che, oltre la sua vita, intende togliere quella 
        degli altri? 
        Ebbene, non ci sono ragioni convincenti per un miserabile che, privato 
        di riscatto e conforto in questo mondo, non può che sperare nel 
        premio eterno in quell'altro. Non ci sono. 
        Per questo semplice motivo, finché la terra sarà paradiso 
        riservato ad alcuni e inferno per gli altri dovremo fare i conti con l'irragionevole 
        e il trascendente e, quanto più lussuoso e privilegiato sarà 
        mostrato il paradiso, tanto più miserabile, sconsolato e disperato 
        sarà colui che vi è escluso. 
        Mostrare il paradiso in terra ripugna a qualsiasi religione, e gli architetti, 
        che al contrario ne fanno una nobile ambizione, non possono tirarsi fuori 
        dalle implicazioni etiche e morali che richiedono la proposizione di un 
        modello universale. Nessuno può impedirci di rappresentare la gioia 
        e ricchezza della esperienza umana, se questa riguarda l'umanità 
        nella sua interezza, e l'architettura ha il dovere di comunicare i principi 
        di convivenza e civiltà che in dono vanno offerti al mondo intero. 
         
        Ovviamente un'architettura emancipata dal potere e dalla sua storia che 
        per secoli ha vestito gli abusi e i privilegi dei potenti, mortificandone 
        in tal modo la missione etica, fino a essere abbandonata al formalismo, 
        all'astrazione e alla retorica. 
        Un'Architettura Forte contrapposta a quella debole del recupero scenografico 
        di modernismo e storicismo in tutte le loro variegate manifestazioni. 
        Architettura Forte che vuole dire riscatto di un fine etico universale, 
        di una tensione comune che non può più compiacersi di leggerezze, 
        trasparenze e nuvolette tracopiate; che non può più continuare 
        a inscatolare persone dentro un'idea di Ragione che i fatti dichiarano 
        essere inadeguata alla comprensione del mondo; che deve smettere di innalzare 
        simboli e monumenti al denaro ed al cinismo che lo governa; che deve preoccuparsi 
        di progettare un futuro più che bearsi nel recupero dei valori 
        del passato; che, infine, cerchi un linguaggio universale capace di comunicare 
        a tutti un'idea di civiltà condivisibile. 
        Propongo un fine etico, deciso e determinato, urlante. E non mi pare poco. 
        Gli strumenti e la volontà ci sono; manca il linguaggio imperfetto, 
        contagiato, disinibito e risoluto di chi vuol farsi capire in una lingua 
        che ancora non conosce. Non mi sembra proprio il momento di essere eleganti 
        e raffinati.  | 
             
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