Storia e Critica 3 - Il destino
 
  Oggi il 20/12/2007
Linguaggio Architettura
Storia e Critica 3 - Il destino
di Sandro Lazier
Negli articoli precedenti ho sostenuto che il senso della storia sta nella trama che intesse i fatti e nel nesso che li d a intendere. Lo stesso senso rintracciabile in ci che definiamo comunemente destino.
Quando leggiamo un libro di storia - e conosciamo a priori i fatti essenziali - cerchiamo nel racconto il preciso motivo per cui le cose sono andate in certo modo e non in altro, come se queste fossero predestinate o guidate da una ragione superiore. Tutte le azioni descritte, infatti, sembrano seguire una traccia che mira ad un fine noto, quando il fine noto.
L'idea di destino sembra essere il solo strumento capace di dare significato alla casualit degli eventi e di organizzare gli accadimenti in relazione al loro epilogo. Ma tutto questo, in sostanza, anche la base di ci che in letteratura chiamiamo racconto, espresso in forma di romanzo (e la Storia non ne esclusa).
Il romanzo la forma letteraria che ha avuto il suo culmine nel milleottocento e, nel bene e nel male, si trascinata fino ai nostri giorni. La sua struttura relativamente semplice: una genesi ben definita nel tempo e nello spazio, una trama fitta e intrigante, un epilogo tragico o fortunato. L'idea di predestinazione sempre presente e tutto l'intreccio appare compatto, coerente e rigorosamente costruito. Praticamente l'esatto contrario della moderna e meno nobile "telenovela" dove non sono gli eventi a seguire una trama ma l'opposto,e dove, soprattutto, non c' predestinazione perch nemmeno l'autore sa dove si andr a finire.
Stringendo il concetto, il romanzo pi breve senz'altro questo: nacque, visse, mor.
Descrive la vicenda di tutti gli uomini i quali di questo destino, a differenza degli altri esseri viventi, hanno consapevolezza. Il fine noto, tragicamente noto: la scomparsa. Un finale talmente forte che tutto ci che accade durante la vita pare scritto in funzione di drammatica conclusione (tragedia) o di cinica beffa (commedia). Tutta la vita, e l'arte che ne esprime i segni, in sintesi, sono questo. Sembra molto poco, vero, ma questo abbiamo.

Nel 1998 sono andato a vedere la mostra di un giovane pittore precocemente scomparso. Le tele pi recenti, a differenza delle pi lontane che erano dipinte con coerenza e che mostravano maniera nella tecnica e nella figura, stavano abbandonando ogni riferimento fedele al realismo della rappresentazione. Le figure non stavano pi in relazione con loro e con il tutto. Non c'era pi n scala n prospettiva, gli oggetti vicini erano senza proporzione rispetto a quelli pi lontani, come se il tempo e la percorrenza fra gli stessi fosse annullata dal loro essere tutti contemporaneamente presenti e la loro dimensione fosse determinata soltanto dalla forza con la quale questi dichiaravano di voler esistere. La tecnica svaniva in pochi segni colorati quasi infantili, addirittura caricaturali, volutamente sporchi. Lungo il percorso museale era esposta una lettera dell'autore. Mi colp molto un paragrafo nel quale, con fredda osservazione, egli spiegava la sua volont di lasciare tracce dappertutto con la necessit di segnare una presenza che la prematura morte avrebbe presto cancellato. Un destino certo, imminente, lo costringeva a marcare ogni cosa che potesse testimoniare il suo passaggio. Non la tecnica, non la retorica del sapere o dell'utilit o della ragione. Solo un segno, tanto inutile in pratica quanto indispensabile alla coscienza. Un segno liberato di ogni incrostazione ideologica e intellettuale, essenziale e non finito, paradossalmente sporco perch ripulito nel setaccio di un destino imminente.
A ognuno di noi tocca la stessa sorte, anche se qualcuno, pi fortunato, riesce a vivere pi a lungo. Conosciamo la presenza di chi ci ha preceduto perch ne troviamo le tracce, anche se pochi queste tracce hanno lasciato con la coscienza del nostro amico pittore scomparso. Solitamente siamo cos presi dai traguardi (che la vita ci pone come necessari) che il tempo che impieghiamo per raggiungerli lo consideriamo come una pausa senza particolare significato. Importante raggiungere la meta; importante risolvere problemi, importante passare da un piano all'altro nel pi breve tempo possibile. Corriamo da una stanza all'altra attraversando banali corridoi dritti e predestinati perch lo scopo di chi in camera da letto raggiungere il soggiorno senza perdere tempo nel tragitto. Troppo spesso dimentichiamo che l'ultima stanza che dobbiamo raggiungere tragicamente vuota e, per questo, il percorso che facciamo non deve e non pu essere ridotto alla banale condizione di una pausa. Perch tutta la nostra vita. La nostra vita transito da un piano all'altro, stare in corridoio, lasciando impronte e segni che raccontino con nobilt e bellezza l'esperienza di esser vissuti.

Tornando alla storia, che nel suo delirio finalistico e utilitaristico di spiegare gli eventi come serie di successi o sconfitte, raramente ci racconta di scale e corridoi. Soprattutto, riprendendo il senso che cogliamo leggendone il racconto, ci costringe ad ignorare pause e silenzi poco convenienti all'aspirazione dello scrittore di romanzi

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  15/8/2001
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