Belli e/o brutti (milanesi)
 
  Oggi il 31/10/2007
Opinioni
Belli e/o brutti (milanesi)
di Maurizio De Caro

L'impatto che l'architettura e l'arredo urbano hanno sull'immaginario collettivo di gran lunga molto pi influente dell'interesse che le stesse discipline producono nei confronti della societ.
Vi ricordate i lampioni "con le palle" di corso Sempione? Opera stanca di un maestro scomparso prematuramente fanno "bella mostra" di s in un contesto talmente angosciante che popolazioni e amministrazioni vogliono ricostruire "il prima-brutto" rispetto ad un "progetto-bello" che piaciuto solo al progettista.


Ricordate il Cubo-monumento di Aldo Rossi in via Montenapoleone preso a martellate dallo sdegno popolare.
Piazze improbabili, giardini metafisici aggrediti da arredi provinciali corredati da lampioni imbarazzanti come nell'insuperabile anti-design di corso Lodi dove steli curvi bicolori giallo-rossi manifestano tutta la loro inadeguatezza per lo spasso degli studenti di architettura che li hanno eletti ad unit di misura dell'orribile assoluto.
Il colpevole di tanta indifferenza estetica tace.
Continuate, comunque, fatevi un giro nelle faraoniche sedi dei consigli di Zona (alcune pi grandi del municipio di New York) monumenti-caserme alla potenza effervescente degli anni '80.
Il moderno, il contemporaneo ovunque nella nostra citt spesso l'espressione dell'aleatoriet indifferente, priva di fascino, incapace di imporsi sull'antico, non rappresenta il gusto non stimola: opprime.

Piazza Cadorna rinasce (ma chiamarla piazza invece di slargo autostradale riduttivo) come affermazione di un gigantesco ego progettuale rispetto all'umile soluzione di un nodo viabilistico fondamentale avrebbe richiesto. Affidato a professionisti assolutamente poco adusi a confrontarsi con i problemi reali delle citt e ad artisti ormai decotti muore prima di nascere perch sotto le ingombranti tettoie c' la finzione del moderno. La gente protesta e sopporta.
Altre piazze ammuffiscono tra i detriti (porta Genova vi porter direttamente nell'interno dell'India), sottotetti che diventano parti fondamentali di palazzi storici e luci a cascata ovunque per togliere la citt dalle tenebre, nei parchi, nelle piccole strade a dispetto della qualit dell'ombra che dovrebbe avvolgere parti monumentali, il brutto indifferenziato avanza inesorabile annientando qualsiasi slancio creativo.
In questa rinuncia annunciata la pubblicit riveste come una pelle ogni centimetro disponibile del territorio urbano con un campionario di striscioni, cartelloni, stendardi e varie amenit. La reclame impacchetta il palazzo/cantiere che diventa soltanto una stupida insegna per i consigli per gli acquisti.
Capolavori liberty come il diurno di piazza Oberdan franano nell'indifferenza di una macchina amministrativa che ha scelto la mediocrit rassicurante dell'ovvio, che non riesce ad aprire un confronto serio sul suo destino della sua identit, sulla sua vocazione, perennemente coperta dall'ansia delle eccellenze (Scala, Moda ,musei e bla, bla, bla) che risalgono sempre a qualche decennio o secolo fa. Ma il Futurismo e i movimenti dell'ultimo secolo, che hanno fatto di Milano una capitale mondiale dell'arte, dove sono? Chi nasconde la grande passione creativa sotto l'algida mano del consenso, dell'auto-celebrazione, di questo credere che comunque il capitale poi comunque far la differenza.
Non cos e ormai lo sanno anche quelli che continuano a non capire che bisogna liberare il talento di questa grande citt, rischiare ,riscoprire il piacere eccitante dell'azzardo (anche se chi deve "fare" curiosamente lontano dalle nostre idee e quindi nemico, opposizione).
A proposito di curiosit perch un famoso ristorante vicino alla Darsena possiede un pezzo di giardino pubblico, una fetta di piazza? E' normale, lecito?
Ripartiamo da queste domande semplici, aspettando risposte credibili, forse cos potremo dare al moderno una dignit e alla citt il godimento estetico non come eccezione ma come normalit, perch il concetto di bello non pu essere disgiunto da quello di giusto. Allora quel giardino.
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  16/3/2004
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