Teoria
 
  Oggi il 12/10/2006
Storia e Critica
Teoria
di Sandro Lazier
Ho letto recentemente sul NG it.arti.architettura (29 Feb 2000) a firma di certo Demetrio: << In due parole: cos’ il decostruttivismo?>>.
Segue il riferimento ad un testo di Claudio Roseti, "La Decostruzione e il Decostruttivismo, Pensiero e forma dell'architettura", in cui si afferma (virgolettato e quindi riferibile fedelmente al testo): - ”L'architettura legata alla filosofia, in quanto l'estetica una disciplina filosofica. La filosofia viene chiamata in causa poich la decostruzione, estesa poi all'architettura, deriva dalle teorie filosofiche del francese Derrida.” -
“La cosa in s, la verit assoluta, non esiste, si hanno sempre significati che rinviano ad altri significati. Si ha quindi una concatenazione del rinvio.” -
“L'architetto che segue la decostruzione mette in questione le forme pure della tradizione architettonica, ricercando i sintomi di un'impurit repressa che viene cos portata in superficie.” - “L'errore di base di molti critici sta nel considerare come opere assimilabili alla decostruzione quelle che contengono smontaggi, distruzioni o simili allusioni, mentre sono gli aspetti costruttivi del-la decostruzione quelli da assumere e mettere in valore per l'evoluzione e l'avanzamento dell'architettura."

L’inciucio decostruttivista (splendida definizione) si presenta, in questo caso, anche in forma cartesiana, assiomatica, magistralmente dottrinaria. Dire che “L'architettura legata alla filosofia, in quanto l'estetica una disciplina filosofica” come dire che l’uomo legato alla natura in quanto l’aria che respira elemento naturale.
Bella scoperta. Se non fossimo a conoscenza che esistono altri milioni di riferimenti che connettono l’uomo alla natura non potremmo che stupire. Concetto cartesianamente chiaro e distinto; praticamente ovvio. Malgrado qualche dubbio semantico (che risparmio ai filosofi i quali sanno di non sapere): cos’, oggi, la filosofia? Lasciamo perdere l’estetica di cui neanche gli esperti saprebbero dare una definizione convincente (filosofia dell’arte, forse? Ma, ripeto, cos’ filosofia?). Se la filosofia di Derrida vuole comprendere (prendere-dentro) e interpretare il linguaggio contemporaneo dell’architettura (legittimamente e con tutti i limiti e le obiezioni che potremmo architettonicamente e non filosoficamente produrre) ringraziamo e leggiamo interessati. Ma la filosofia di Derrida non La Filosofia. Figuriamoci l’Architettura. Quindi, l’evidenza logica dell’equazione si squaglia nell’assenza di significati certi (chiari e distinti). Un po’ come contare cubetti di ghiaccio al sole. Dire che “La cosa in s, la verit assoluta, non esiste,…” implica che anche la teoria che viene proposta non sia vera in assoluto. Il tentativo che ne segue di ridurre a categoria gli elementi della decostruzione , quindi, a mio modesto parere, atto del tutto arbitrario. Dire che “L'architetto che segue la decostruzione mette in questione le forme pure della tradizione architettonica…” apparentemente verosimile se per tradizione architettonica si intenda solo quella classica, accademica, postmoderna. Se si dovesse fare l’elenco degli impuri della storia dell’architettura…
Per finire: “L'errore di base di molti critici sta nel considerare come opere assimilabili alla decostruzione quelle che contengono smontaggi, distruzioni o simili allusioni, mentre sono gli aspetti costruttivi della decostruzione quelli da assumere e mettere in valore per l'evoluzione e l'avanzamento dell'architettura." I critici non possono fare errori di base perch non c’ un protocollo da rispettare. Possono solo dare liberi giudizi di valore: comunicano. A volte parlano meravigliosamente di poesia con parole di poesia, altre si avventurano nell’infido e ambiguo territorio della conoscenza umana, magari con le sole vecchie armi spuntate della logica formale. “Gli aspetti costruttivi della decostruzione” ottimo in poesia, pessimo in logica. Non sono del tutto sicuro che Claudio Roseti, di cui non ho conoscenza, avesse intenzione di circolare il suo messaggio cos come stato da me inteso girovagando in rete. Forse un difetto di comunicazione?

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  29/2/2000
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