Assemblea Generale IN/ARCH
        
 di Sandro Lazier
	 - 6/8/2003
	
	
Si  tenuta a Roma, il 26 giugno 2003, l'assemblea generale 
  dell'In/Arch.
  Propongo la lettura della relazione programmatica del Presidente nazionale Adolfo 
  Guzzini non prima, per, di un paio di appunti e notazioni.
  Da un lato condivido totalmente la concretezza, la presa di distanza dalla retorica 
  salottiera e la puntuale e precisa analisi: "In questo contesto la gente 
  si  ormai rassegnata a pensare che la qualit sia un attributo 
  riservato esclusivamente alle opere del passato e che, quindi, promuovere la 
  qualit sia possibile esclusivamente tutelando o recuperando il patrimonio 
  esistente". 
  Dall'altro disapprovo in buona parte la concezione di qualit dell'architettura 
  che viene fuori dal testo.
  In particolare, mi sembra generico e poco prudente dire che: "le 
  Facolt di Architettura sembrano aver rinunciato al compito di formare 
  tecnici con alti livelli di professionalit per far laureare cultori 
  della materia con un diffuso disprezzo per tutto ci che  tecnologia". 
  Il che non  assolutamente vero. Anzi, vero  il contrario. Ricordo 
  che l'Italia  piena di stupidaggini formali tecnicamente ineccepibili 
  e che il livello medio della tecnica con cui da noi si costruiscono le abitazioni 
  non ha confronti nel mondo intero. Se ci manca qualcosa questo ha a che fare 
  con il linguaggio, certamente non con la tecnica costruttiva.
  Cos come mi sembra fuorviante e sospettoso distinguere le questioni 
  linguistico formali e le interpretazioni critiche da un sedicente e seducente, 
  quanto generico, "strumento di crescita civile" contrapposto 
  al modo "di produrre oggetti perfetti che galleggiano nello spazio, 
  incapaci di formare la complessa stratificazione di fenomeni indispensabili 
  per vivere ed abitare." Secondo me, e credo che Bruno Zevi approverebbe, 
  l'ispirazione poetica - e quindi questioni soprattutto linguistiche - resta 
  il solo strumento di cui un bravo architetto dispone per dare risposte ad una 
  "complessit" che purtroppo non ama riduzioni in schemi fattuali 
  o categorie empiriche.
  Se occorre perseguire e indicare una sorta di qualit architettonica, 
  questa non pu prescindere dalla sua forma linguistica. Il Vittoriano
  o il Palazzaccio a Roma, tanto per fare due brutti esempi, sono costruzioni 
  robuste e ben costruite ma "linguisticamente" lontane dall'idea di 
  qualit architettonica che personalmente auspico.
  Quello della "qualit"  un tema che ultimamente sta 
  producendo iniziative oltre l'aspetto rigorosamente intellettuale (vedi il recente 
  D.d.L. del Ministro Urbani). La societ tecnocratica - fondamentalmente 
  "quantitativa" - sta scoprendo che con un euro si pu comprare 
  la cosa A o la cosa B ma, A e B, hanno qualit diverse pur avendo la 
  stessa misura. Questo crea un sacco di problemi all'essenza tautologica della 
  logica formale e alle sue applicazioni giuridiche e legislative.
  Detto questo ammiro comunque finalit e impegno dell'In/Arch e del suo 
  Presidente nazionale.
ASSEMBLEA GENERALE IN/ARCH
  Roma, 26 giugno 2003 
RELAZIONE PROGRAMMATICA
  DEL PRESIDENTE NAZIONALE
  ADOLFO GUZZINI
sintesi
  1. Le ragioni della nostra identit
Desidero innanzitutto darvi il mio benvenuto a questa Assemblea 
  Generale dell'Istituto Nazionale di Architettura.
  Sono passati tre anni dal nostro ultimo appuntamento assembleare e poco pi 
  di tre dal nostro congresso. 
  Se dovessi seguire alla lettera le indicazioni dello Statuto dovrei ora presentare 
  un dettagliato bilancio dell'attivit svolta in questi tre anni e delineare 
  un programma per il prossimo biennio.
  Invece voglio utilizzare il mio tempo principalmente per porre alcune domande 
  utili per il nostro dibattito, anche sulla base di quanto  accaduto 
  nel nostro recente passato. 
  Vi assicuro che non si tratta domande retoriche. 
  D'altra parte gi 44 anni fa il nostro fondatore Bruno Zevi poneva questi 
  interrogativi ai partecipanti della prima Assemblea IN/ARCH.
  Sentiamo ancora il bisogno di un Istituto Nazionale di Architettura? 
  A chi e a cosa pu servire la nostro attivit? 
  Esiste un reale interesse da parte dei soggetti che sono coinvolti nel nostro 
  Istituto a proseguire, dopo quasi mezzo secolo, questa esperienza?
  "Cosa far l'Istituto nazionale di architettura? - diceva Zevi al 
  Piccolo Eliseo nel 1959 - Quale il suo programma?.Potrei tracciarvi un 
  calendario dettagliatissimo per cinque anni, ma i programmi, anche i pi 
  seducenti, non servono se non corrispondono ad una struttura di interessi; e 
  viceversa, quando la struttura esiste, i programmi discendono da soli".
  Credo che queste parole di Bruno Zevi debbano essere anche oggi alla base del 
  nostro dibattito: qual  stata e quale dovr essere la nostra 
  struttura di interessi? Se diamo una risposta a questa domanda il programma 
  verr da solo.
  Credo altres che debba farci molto riflettere l'ammonimento di Zevi:
  "Oggi  assurdo pensare a un Istituto di Architettura.che 
  organizzi un circoletto di conferenze, un congressetto ogni anno, qualche piccola 
  pubblicazione". 
  Vi invito tutti a considerare se, nella nostra attivit di questi anni, 
  nell'attivit delle nostre sezioni sul territorio, non abbiamo spesso 
  avuto la sensazione e la tentazione di essere un circoletto di conferenze. 
  E' questa la nostra prospettiva? 
  Non c' dubbio che su questo terreno, oggi molto pi che quarant'anni 
  fa, troviamo una concorrenza fortissima. 
  Si moltiplicano in modo esponenziale iniziative, pi o meno culturali, 
  del mondo dell'architettura, organizzate da associazioni, ordini professionali, 
  dipartimenti universitari, riviste di settore, associazioni di categoria. 
  Oltretutto, se crediamo che il nostro futuro debba essere essenzialmente incentrato 
  su questo tipo di attivit,  bene sapere che i concorrenti sono 
  quasi sempre pi efficienti di noi: hanno pi risorse, dispongono 
  di una macchina organizzativa pi forte, hanno pi capacit 
  di autopromuoversi anche con i mass media.
  Ma la nostra origine e la nostra identit sono molto diverse. 
  Il nostro patto fondativo,  bene non dimenticarlo,  basato sulla 
  volont di far incontrare tutte le forze che contribuiscono a produrre 
  le trasformazioni del territorio: costruttori, industriali, architetti, ingegneri, 
  consumatori. 
  L'IN/ARCH  nato per far incontrare produttori e consumatori di architettura, 
  per integrare cultura ed economia. 
  Abbiamo rispettato questo patto? 
2. Esiste una domanda di architettura di qualit?
Esistono molti modi per promuovere la cultura architettonica e 
  per sostenere la qualit delle trasformazioni del territorio. 
  Ma prima ancora di interrogarci sul come avremmo dovuto o dovremo farlo, chiediamoci 
  se al nostro mondo politico, al mondo degli amministratori pubblici, al mondo 
  economico e, pi in generale, alla nostra societ interessa veramente 
  la cultura architettonica e la qualit delle trasformazioni.
  Se non partiamo da questo punto temo che continueremo a sbagliare premesse e 
  obiettivi.
  Ho avuto modo di leggere la relazione fatta dal Presidente dell'ANCE - nonch 
  dirigente dell'IN/ARCH - Claudio De Albertis all'ultima Assemblea dei Costruttori 
  di una settimana fa. 
  Condivido l'interrogativo di De Albertis: perch politici e governo non 
  si sono ancora chiesti se accanto al Patto di Stabilit non debba coesistere 
  anche un Patto che garantisca ai pi una residenza civile ed una citt 
  pi vivibile? 
  Un quesito valido soprattutto per l'Italia, un Paese che ha un mezzogiorno privo 
  di infrastrutture primarie e una Nord asfissiato dalla congestione delle reti.
  "La cultura e la civilt di un popolo - proseguiva De Albertis - 
  hanno sempre trovato riscontro nel numero e nello splendore delle opere edili 
  e delle citt". 
  In questi ultimi due anni abbiamo assistito in Italia ad un intenso dibattito 
  sulla necessit di dotare il Paese di nuove infrastrutture. 
  L'attuale maggioranza di governo ha posto la realizzazione di importanti opere 
  infrastrutturali tra i punti prioritari e qualificanti del proprio programma, 
  destinando ad essa importanti risorse finanziarie (che in realt, sino 
  ad oggi, sono rimaste solo sulla carta).
  Recentemente Confindustria e Sindacati hanno ritrovato una inaspettata unit 
  di intenti siglando un Patto per lo sviluppo in cui si chiede al Governo di 
  riprendere gli investimenti per le infrastrutture, straordinarie ed ordinarie.
  La nostra storia ci ha insegnato che il territorio  un fattore centrale 
  e determinante per sostenere un sistema produttivo. Senza una intelligente gestione 
  del territorio, un'articolata rete di infrastrutture e servizi, la competitivit 
  di un sistema Paese resta una illusione. 
  Abbiamo sotto i nostri occhi l'enorme costo economico e sociale derivato da 
  una mancanza di qualit del territorio.
  Siamo dunque tutti convinti che questo problema rappresenta una vera e proprio 
  emergenza per l'Italia.
  Ma, come spesso accade, il dibattito si  subito polarizzato su due fronti 
  contrapposti: da un lato il partito del fare ad ogni costo, anche con qualche 
  sconto sulle procedure, sui controlli e forse anche sulla qualit. 
  Dall'altro lato il partito del non fare comunque, dell'opposizione pregiudiziale 
  ad ogni opera di trasformazione degli assetti esistenti del territorio, anche 
  se tali assetti risultano fatiscenti e privi di qualsiasi valore. 
  Mi riferisco in particolare ad un certo massimalismo ideologico della cultura 
  ambientalista, che tutti voi ben conoscete, capace di dire solo no. 
  No al ponte sullo stretto di Messina, no al MOSE di Venezia, no alla variante 
  di valico per l'autostrada Bologna-Firenze e via dicendo.
  In questo contrapporsi - nemmeno troppo avvincente - tra il fare e il non fare 
  appare del tutto assente un dibattito serio sul come fare. 
  Il problema sembra essere sempre e solo se un'autostrada, una linea ferroviaria, 
  una trasformazione urbana debba o non debba essere realizzata e mai sulla qualit 
  di quell'intervento.
  Viene allora da chiedersi se la qualit di un opera, intesa in senso 
  ampio, interessi veramente a qualcuno. 
  E siamo cos giunti alla seconda domanda cruciale del mio intervento, 
  anch'essa finalizzata a capire il senso del nostro ruolo e della nostra identit.
  Esiste una domanda sociale di Architettura? 
  E se non esiste  possibile operare per suscitarla? 
  Una domanda sociale consapevole ed esigente  il presupposto, il vero 
  motore della qualit delle trasformazioni: se la domanda  forte 
  essa  in grado di determinare tutti gli ingredienti e le condizioni 
  per la forte competitivit ad ampia scala del sistema Italia.
  Se giudicassimo la situazione del nostro Paese a partire dall'osservazione del 
  territorio e dai contenuti del dibattito politico e culturale dovremmo probabilmente 
  constatare che il valore della qualit dell'architettura non rientra 
  tra le priorit della nostra collettivit. 
  In molti altri settori la consapevolezza dello straordinario valore aggiunto 
  della qualit  un dato largamente acquisito e condiviso: pensiamo 
  al design o alla moda. 
  In questi ambiti nessuno ha pi alcun dubbio che la qualit non 
   un costo aggiuntivo ma fattore vincente di mercato. 
  Non cos per l'architettura. Se occorre realizzare una nuova linea per 
  l'alta velocit ferroviaria il problema del valore aggiunto, anche in 
  termini economici, della qualit dell'opera sembra non interessare nessuno, 
  neanche ai Sindacati ed alla Confindustria.
  Proviamo a percorrere l'autostrada Roma-Napoli, pi volte attraversata 
  dalla linea dell'alta velocit ferroviaria; proviamo ad osservare il 
  nuovo aeroporto di Malpensa o a rivedere le opere realizzate per i mondiali 
  del '90. Potrei citare mille altri esempi: capireste il senso di questa mia 
  affermazione.
  Il problema dell'architettura in Italia non  certo legato al fatto che 
  si costruisce poco. 
  Tutti i dati sul progresso dell'industria delle costruzioni, pur tra gli alti 
  e bassi legati alle congiunture economiche, ci dicono il contrario. 
  In Italia si costruisce molto. 
  I dati sull'occupazione nell'edilizia rivelano una crescita del settore in controtendenza 
  rispetto a molti altri settori industriali. 
  Il problema, allora,  diverso: si costruisce male.
  In questo contesto la gente si  oramai rassegnata a pensare che la qualit 
  sia un attributo riservato esclusivamente alle opere del passato e che, quindi, 
  promuovere la qualit sia possibile esclusivamente tutelando o recuperando 
  il patrimonio esistente. 
  Trasformato tale assunto in luogo comune, si pretende di conservare tutto, anche 
  le cose pi indegne del passato, anche gli interventi che non hanno alcuna 
  qualit sotto tutti i punti di vista: paesaggistico, architettonico, 
  storico, funzionale. 
  Siamo cos diventati il Paese in cui una norma dello Stato tutela automaticamente 
  tutto ci che ha pi di cinquant'anni e in cui le parole demolizione 
  e sostituzione sono un indiscusso tab.
  L'intervento contemporaneo  sempre e comunque, per gran parte della 
  pubblica opinione, una insidia, tanto pi se ha la pretesa di incidere 
  in contesti storici. Non sono insidie altrettanto pericolose il traffico, l'abusivismo, 
  il turismo di massa, le trasformazioni funzionali. L'architettura contemporanea 
  si.
  Per tutte queste ragioni occorre ripartire dalla costruzione della domanda. 
  
  Ecco il compito prioritario dell'IN/ARCH per i prossimi anni, sul quale cercare 
  nuove alleanze e sancire nuovi patti.
  Sarei quasi tentato di dire: facciamoci usare dalle forze economiche, politiche, 
  sociali realmente interessate alle trasformazioni del territorio, pur di raggiungere 
  tale obiettivo. Offriamo anche una azione lobbistico-culturale per la promozione 
  degli interventi di trasformazione del territorio. D'altra parte non  
  quello che, su un diverso fronte, hanno fatto in questi anni, con ottimi e in 
  parte nefasti risultati, le varie associazione ambientaliste? Non sono diventate 
  anch'esse delle lobby con le relative alleanze strategiche?
  Esistono molte forze in Italia che spingono affinch siano realizzati 
  interventi sul territorio che aiutino il nostro sistema industriale?
  Bene, siamo a loro disposizione per organizzare campagne di promozione culturale 
  di tali politiche presso l'opinione pubblica.
  Purch si accetti di parlare anche della qualit di tali opere. 
  
  Ci proponiamo come animatori culturali della trasformazione, anche in contrapposizione 
  con la cultura ambientalista dell'immobilismo e della finta tutela. Mettiamo 
  a disposizione il prestigio della nostra storia. 
  Forse perderemo un po' di presunto rigore scientifico nelle nostre iniziative 
  ma avremo rispettato quel patto fondativo di cui parlavo all'inizio.
  D'altra parte non esistono altri soggetti che si siano assunti questo compito. 
  
  Ma se vogliamo lavorare per questo progetto dobbiamo avere la capacit 
  e la voglia di parlare all'opinione pubblica. Se continuiamo a rivolgerci a 
  un selezionato gruppetto di architetti e qualche costruttore illuminato non 
  serviamo a niente e a nessuno.
  Nel discorso fondativo dell'IN/ARCH che citavo in apertura, Bruno Zevi individuava 
  un obiettivo minimo: l'educazione del cliente. 
  "L'Italia - diceva Zevi -  l'unico paese del mondo civile in cui 
  i fruitori di architettura non siano oggetto di attenzione, di pressione didattica 
  nell'interesse di tutti ampliare e qualificare i consumatori di architettura, 
  la massa di gente che usa i nostri prodotti".
  Questo era il senso della nostra campagna pubblicitaria promossa lo scorso anno 
  nel Lazio con l'affissione di manifesti pubblicitari: immagini di integrazione 
  tra architettura contemporanea e paesaggio erano accompagnate dallo slogan PAESAGGIO.IL 
  NUOVO CREATO. Abbiamo provato a dialogare con i cittadini stimolando una nuova 
  domanda di architettura. 
  Ecco perch stiamo cercando da mesi di trovare un modo per realizzare 
  uno spot televisivo di pubblicit sociale.
  Ecco, ancora, il senso del nostro lavoro per creare in ogni citt una 
  casa della citt o Urban center. 
  Attenzione: se pensiamo che le case della citt debbano diventare un 
  ennesimo luogo per raffinate conferenze accademiche in cui far partecipare qualche 
  professore universitario e un po' di studenti delle Facolt Architettura 
  o per allestire mostre destinate ad un pubblico scelto di intenditori allora 
   meglio che rinunciamo in partenza. 
  La casa della citt, per come la intendo io, deve essere lo strumento 
  per sensibilizzare i cittadini alle trasformazioni, informare, promuovere la 
  partecipazione, creare dibattito intorno alla struttura fisica della citt; 
  devono essere un'occasione per far incontrare e litigare amministratori pubblici, 
  forze sociali, costruttori, imprenditori, immobiliaristi e progettisti.
3. Cos' la qualit dell'Architettura
A questo punto dobbiamo chiederci: cosa intendiamo per qualit 
  dell'architettura?
  Anche qui occorre una verifica seria. Il tema della qualit  
  carico di equivoci.
  L'IN/ARCH intende promuovere la qualit parlando solo del momento della 
  concezione, limitando il dibattito all'opera dei progettisti, al loro estro 
  creativo? Vogliamo concentrarci su questioni linguistico-formali, su interpretazioni 
  critiche dell'opera di questo o quell'architetto? Vogliamo continuare ad ignorare 
  che il fine dell'architettura  di essere strumento di crescita civile 
  e non di produrre oggetti perfetti che galleggiano nello spazio, incapaci di 
  formare la complessa stratificazione di fenomeni indispensabile per vivere ed 
  abitare?
  Quando parlo di architettura di qualit, personalmente, penso a tutti 
  i passaggi della filiera che compone il processo edilizio: domanda, esigenze, 
  programma, norme, risorse, progetto, realizzazione, controllo, gestione. 
  Pensiamo all'importanza che riveste il cosiddetto documento preliminare di progetto 
  introdotto dalla Legge Merloni. 
  Ad esso dovrebbe essere affidato il compito di stabilire gli obiettivi generali 
  e gli obiettivi specifici dell' intervento che si intende realizzare in rapporto 
  alla domanda che lo ha motivato, di individuare gli strumenti urbanistici, normativi 
  e finanziari, di elaborare un corretto programma funzionale, di definire gli 
  standard qualitativi e quantitativi, le relazioni e le integrazioni contestuali. 
  
  Tutti voi conoscete bene cosa sono nella realt tali documenti preliminari 
  elaborati dagli Uffici Tecnici delle nostre Amministrazioni Pubbliche: scarni 
  elenchi e liste inanimate, quasi sempre contradditorie. 
  Eppure il programma di progetto dovrebbe essere considerato dagli amministratori 
  pubblici uno strumento decisivo per il compimento delle proprie politiche di 
  trasformazione urbana. 
  Ma probabilmente i tecnici che lavorano nelle Pubbliche Amministrazioni sono 
  troppo impegnati a svolgere direttamente l'attivit di progettazione 
  anzich quella di programmazione, visto che una assurda norma della Legge 
  Merloni ha pensato bene di far fare i progetti prioritariamente agli Uffici 
  Tecnici. 
  La qualit della domanda e la qualit del programma sono l'humus 
  della qualit di concezione di qualsiasi proposta di trasformazione. 
  
  Senza di esse il progetto fonda nel vago e l'Architettura non pu che 
  perdere concretezza, credibilit e autorevolezza.
  Immediatamente successiva la questione di come elevare i confronti tra alternative, 
  cio di come migliorare i concorsi di progettazione, rendendoli strumenti 
  credibili ed efficaci.
  Sulla qualit della realizzazione delle opere abbiamo molte alleanze 
  da fare con il mondo dei costruttori. 
  La prima riguarda i parametri utilizzati nel nostro Paese per valutare i costi 
  di costruzione, molto inferiori a quelli di tutti gli altri Paesi europei, Grecia 
  e Portogallo compresi. 
  E che dire del fatto che in Italia il costo a metrocubo, ad esempio, di una 
  Biblioteca Pubblica  sempre riferito al costo a metrocubo dell'edilizia 
  residenziale?
  In tal modo oltretutto diviene quasi impossibile anche per l'industria di componenti 
  per l'edilizia riuscire a proporre sul mercato prodotti e materiali di qualit.
  Infine la qualit della gestione: non abbiamo una cultura della manutenzione 
  del territorio, delle citt, degli edifici. Ma senza una corretta gestione 
  degli interventi non potr mai esserci qualit e senza manutenzione 
  non ha senso nemmeno parlare di conservazione e di tutela.
  Questo  il senso che vorrei fosse attribuito al termine "architettura 
  di qualit". 
  Se concordiamo su tale interpretazione capiremo anche meglio i contenuti del 
  programma futuro dell'IN/ARCH, sapremo tutti su quale terreno svolgere le nostre 
  azioni.
  Se siete convinti che la qualit sia in tutte le fasi del processo edilizio, 
  nella loro integrazione, allora sarete anche in accordo con me nel sostenere 
  che il nostro sistema formativo universitario continua a sfornare professionalit 
  molto poco capaci di produrre qualit. 
  In particolare le Facolt di Architettura sembrano aver rinunciato al 
  compito di formare tecnici con alti livelli di professionalit per far 
  laureare cultori della materia con un diffuso disprezzo per tutto ci 
  che  tecnologia, procedura, normativa, pratica professionale e via dicendo.
  Cultori della materia, oltrettutto, convinti che ogni loro opera dovr 
  costituire sempre ed in ogni luogo un monumento unico. 
  Abbiamo cos in Italia schiere di giovani architetti del tutto inconsapevoli 
  che il loro mestiere  finalizzato al costruire, ma straordinariamente 
  capaci di confezionare opere di grafica pubblicitaria per qualche concorso; 
  opere che troveranno una transitoria ma appagante visibilit in una delle 
  tante riviste di architettura sul mercato. 
  Chiedo ai costruttori ed agli imprenditori presente in questa Assemblea: la 
  nostra societ, il mondo imprenditoriale legato all'edilizia, gli interlocutori 
  politici hanno bisogno di questo tipo di "professionisti"? 
  Suscitare nel Paese una nuova domanda di Architettura di qualit.
  Spiegare alla collettivit che la questione architettonica e territoriale 
  ha una straordinaria importanza per la propria qualit della vita. 
  Cercare alleanze con tutti i soggetti che condividono questo obiettivo e siglare 
  con loro un nuovo patto di azione. 
  Un patto che proponiamo innanzitutto ai nostri soci istituzionali: all'ANCE, 
  all'INU , al CNI, al CNA, all'OICE, alla Federlegno Arredo, alle Amministrazioni 
  locali e cos via.
  Sulla base di questo patto potremo tornare a convocare quel Tavolo di concertazione 
  che avevamo avviato dopo il nostro Congresso del 2000. Ma dobbiamo convocarlo 
  su ordini del giorno concreti, proponendo azioni incisive e prese di posizione 
  chiare, da inviare con continuit a Commissioni Parlamentari, organi 
  di governo, partiti, stampa, televisioni e cos via. Altrimenti non susciteremo 
  mai l'interesse dei nostri interlocutori.
  Sintetizzo cos il senso del mio intervento ma soprattutto il senso del 
  lavoro fatto in questi anni come Presidente dell'IN/ARCH e il contenuto del 
  programma che propongo a tutti voi per il futuro dell'IN/ARCH.
  Questo  anche il punto di partenza per il nostro prossimo Congresso 
  Nazionale che vorremmo organizzare (se ne avremo le risorse) per il prossimo 
  autunno. 
  Dico con chiarezza che non mi interessa organizzare un congresso di tipo accademico.
  Se vogliamo parlare di infrastrutture dovremo farlo interloquendo prima di tutto 
  con chi ha la responsabilit di programmare e realizzare le infrastrutture 
  in Italia: le Ferrovie dello Stato, la Societ Autostrade, l'ANAS, la 
  Societ Infrastrutture s.p.a. ecc.
  Vorrei che il Congresso IN/ARCH fosse un occasione per interrogare questi referenti, 
  provocarli, dimostrare che in altri paesi europei si fa gi oggi architettura 
  delle infrastrutture e che  possibile farlo anche nel nostro Paese. 
  
  Qualcuno ha sollevato l'obiezione che in tal modo si rende il Congresso poco 
  appetibile per gli architetti. 
  Io rispondo con una provocazione: "peggio per loro". 
  Se gli architetti non capiscono che un patto per la qualit del territorio 
  va siglato anche con questi soggetti, l'in/arch ha il compito di spiegarglielo. 
  
  Avremo forse una star dell'architettura internazionale in meno e pochi studenti 
  universitari ma saremo stati coerenti con il nostro programma.
(Sandro Lazier - 6/8/2003)
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Commento 398 di Massimo Pica Ciamarra del 31/08/2003
Caro Direttore,
grazie innanzitutto per aver pubblicato la Relazione allAssemblea generale dellINARCH e per le espressioni di ammirazione sulle finalit e impegno dellIstituto e del suo Presidente nazionale. Segnale opportuno perch evita di dover smentire affermazioni avventate di sole due settimane prima (proprio su Antithesi 22.07.2003 P.Farina [si tratta di Paolo G.L. Ferrara. ndr] che lIn/arch, coinvolta com in lotte intestine sui ruoli dirigenziali (siano essi nazionali che regionali) che fanno potere, stia oggi vivendo un momento di crisi interna oramai risaputo e sfido i suoi gestori a smentirmi.)
Dopo questo segnale di pace, sono utili confronti di merito.
Credo equivocata in buona fede linterpretazione del concetto di qualit che cogli nel testo. La qualit in architettura deriva da una pluralit di fattori: innanzitutto dalla qualit del programma e dalla qualit di concezione del progetto; poi dalle qualit tecnologiche, realizzative e via dicendo. Le Facolt di Architettura dovrebbero riflettere sulle attuali esigenze di mutazione dei processi formativi. Almeno tre: 1. Oggi sempre pi i processi di progettazione si basano su partnership strutturate e motivate (per i molti esperti che vi partecipano, ruolo del committente, tecniche di ascolto): quindi occorre educare ad innescare e tenere in vita processi creativi, con quanto questo comporti in termini di ricerca di condivisione ed abitudine a velocit tramite approfondimenti simultanei. 2. Lintegrazione il punto di fuga di ogni azione progettuale, quindi ricerca di soluzioni capaci di risposte simultanee a pluralit di esigenze; attitudine ad interpretare le aspirazioni che sottendono la domanda; capacit di visioni dinsieme; affrancamento dalle logiche di settore. Altra conseguenza nel modo stesso di concepire gli interventi: occorre debellare la sindrome delloggetto edilizio. 3. Se alla base della ricerca di qualit vi la metodologia del confronto, per cui prima che soluzione il progetto tentativo, occorrono progettisti interessati a sperimentare alternative di soluzione allo stesso problema, cio educati alla valutazione di tentativi fra cui scegliere quello che assumer caratteri di "soluzione".
Altra questione - meriterebbe un denso confronto - riguarda la distinzione fra armatura della forma e linguaggio architettonico. Sulla prima si pu pervenire ad ampie forme di condivisione, la metodologia del confronto fra ipotesi diverse preziosa. Sul secondo la soggettivit delle valutazioni pi spinta. Personalmente non credo che un diverso linguaggio espressivo mi farebbe condividere il Vittoriano o il Palazzaccio a Roma, comunque edifici che galleggiano nello spazio, incapaci di fondarsi sul dialogo con gli elementi finitimi.
Con viva cordialit
Massimo Pica Ciamarra, Vicepresidente INARCH
31/8/2003 - Paolo GL Ferrara risponde a Massimo Pica Ciamarra
Caro Pica Ciamarra, leggo con piacere il tuo intervento sulla nostra rivista, e per pi motivi.
Indubbiamente il primo che se il Vice Presidente dell'In/arch ha ritenuto opportuno fare sentire la sua voce, bene, significa che le mie provocazioni sull'attivismo dell'Istituto sono state recepite come uno stimolo a partecipare alla discussione. Attenzione: non che -per storia e "nomi"- ne abbiate necessit, ma stimolare anche con qualche intervento duro sempre positivo, sicuro. E non si tratta di "fare la guerra" stile Bush (ovvero senza motivi palesi), bens guardare in casa propria: s, perch per me l'In/arch Zevi, e Zevi la mia imprescindibile base, dunque mai potrei cercare di attaccare pretestuosamente qualcosa che lui ha creato.
Ora, il pi che sia l'attivismo la vera base dell'Istituto, oltre ogni scaramuccia interna (lo ripeto, e me ne assumo la responsabilit), che poco m'interessano se poi il lavoro e i suoi risultati sono positivi, rendendole (le scaramucce) piccole cose, insignificanti sino a ridursi a beghe da portineria.
Ma che l'In/arch sia impegnato ad uscire da una crisi d'identit innegabile, soprattutto se ne consideriamo il poco peso che ha nelle decisioni ad alto livello, ovvero l'influenza che non ha rispetto leggi e leggine che orientano e orienteranno l'architettura in Italia. Non mi risulta, ad esempio, che Urbani abbia pensato di coinvolgere l'Istituto nella redazione della Legge-Quadro sulla qualit architettonica".
Ovviamente, non per vostro demerito, ma sintomatico...
Altro motivo di piacere che tu sei indubbiamente una personalit di alto livello e la tua voce non pu che rendere pi forte un qualsiasi dibattito, il che ovviamente implica che si possa anche non essere d'accordo. E poi, credimi, davvero pochi si sono messi in gioco dibattendo pubblicamente. Qualcosa significher...
Come hai ben capito, e per come hai avuto modo di conoscerci lo scorso anno a Sciacca, Lazier ed io siamo semplicemente "appassionati", oltre e fuori qualsiasi vincolo diplomatico che ci costringerebbe ad atteggiamenti ipocriti. Non facciamo "cartello" ma ci dilettiamo a scrivere e commentare. Agli altri il compito di definirsi "critici", "storici" e quant'altro.
un cordiale saluto
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