Formalismo o libertà espressiva?
di Sandro Lazier
- 2/6/2001

Essere formali, nella vita comune,
significa essere apparenti, superficiali. Nei sistemi logici (appunto formali)
significa applicare rigorosamente regole e protocolli, senza badare al significato
concreto dei pensieri che tali regole vanno producendo. La matematica, per
esempio, è un sistema formale puro: al suo interno si può discutere intere
giornate senza fare un solo riferimento alla realtà ed alle cose materiali
e spirituali che ce ne danno coscienza (così, più o meno, diceva B. Russel).
Il "formalismo", quindi, ha significato ambiguo: se riferito alla vita comune
presuppone superficialità e trascuratezza; se riferito, invece, all'ambito
che usualmente definiamo "scientifico", presuppone scrupolo e coerenza.
In tutti i casi, comunque, il termine pare inadeguato per una descrizione
o rappresentazione conveniente del mondo, dell'uomo e della sua vita.
Bene. In architettura succede una cosa curiosa: gli architetti la cui formazione
e cultura tendono alla ragione ed all'uso della stessa nelle faccende architettoniche
- una formazione che potremmo definire "scientifica" e quindi sostanzialmente
formale in senso logico - paradossalmente accusano di "formalismo" quelli
la cui natura tende verso una maggiore libertà creativa. Quindi, ammesso
che l'assenza di regole possa infastidire il rigore del sapiente, mi chiedo
come riesca a convivere il formalismo dello scienziato con quello del superficiale
creativo.
Personalmente credo che spesso si confonda il formalismo con la libertà
espressiva, concetto ben più nobile e profondo, che governa le vicende dell'arte
e del quale tutti, in generale, hanno il massimo rispetto. Ho detto in generale
perché appena si scende nello specifico, come nel caso di F.O. Gehry, "l'illustre
lattoniere" secondo la definizione di uno dei numerosi titolati scampati
alla ghigliottina della rivoluzione modernista, si ha molta difficoltà a
riconoscere dignità architettonica alle "forme" che lo distinguono, mentre
le stesse sono legittime in arte, per esempio, nelle tele e nelle sculture
di Boccioni. (In verità mi spiace appoggiare la stravolta tensione spaziale
di F.O.G. al dinamismo di Boccioni - inquietudini diverse sulle quali ci
sarebbe molto da dire - ma l'evidenza "formale" è tale!..). Dunque pare
essere un problema di generi: architettura, pittura, scultura; come se l'espressività
avesse necessità di ritirarsi in qualche scatola concettuale con tanto di
indirizzo, numero di telefono e, perché no, carta d'identità. Questo mi
pare insensato.
Mi preme, invece, porre l'attenzione su un aspetto che personalmente ritengo
molto più importante.
L'utilizzo di "forme" distorte, piegate, stravolte non sono una novità.
La natura ne contiene a migliaia. Schiacciare una lattina con le mani e,
con l'immaginazione, entrarci e scoprirne gli spazi è esperienza sublime,
affascinante. Chiunque lo può fare senza dover correre a Praga o a Bilbao.
F.O. Gehry non ha l'esclusiva delle lattine schiacciate o delle lamiere
piegate. La grandezza del personaggio sta nell'aver raccolto parolacce in
strada, nelle discariche, nei posti peggiori e, con queste, aver costruito
un racconto superbo. Le parole sono di tutti e per tutti. E' la capacità
di metterle insieme che distingue il poeta. Altro che formalismo.
(Sandro Lazier
- 2/6/2001)
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Commento 14777 di Davide Ruttico del 07/06/2019
Personalmente ho sempre inteso il formalismo in architettura come un metodo progettuale che predilige la forma dell'oggetto architettonico in quanto tale, tralasciando gli aspetti di firmitas ed utilitas alla quale un edificio deve comunque fare riferimento. Credo che l'opera di F.O. Ghery sia più vicina all'arte che all'architettura e l'esempio riportato della lattina calza a pennello: se costruiamo un'opera d'arte abbastanza grande da poterci entrare, non significa che si stia facendo architettura.
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