Sgarbi, Portoghesi, e i giovani d’oggi
di Paolo G.L. Ferrara
- 23/10/2001

Ricordate il film in cui Totò duettava con
Aldo Fabrizi a proposito del matrimonio tra i loro figli?
Due diversi modi di vedere la vita
combattevano un’esilarante battaglia, tentando
d'indirizzare i giovani sposini al giusto modo di affrontare il
futuro.
Dalle pagine dell' Avvenire, Paolo
Portoghesi pone una questione che sembra stargli molto a cuore: "Chi dimentica la via italiana all'architettura?" (Avvenire- domenica 23 settembre 2001).
L'articolo scorre tra citazioni storiche e certezze inconfutabili del suo autore, sin quando iniziano a delinearsi i destinatari delle critiche, basate sulla difesa di "[…]un'identità che ci appartiene e che siamo in moltissimi a ritenere doveroso tutelare per trasmetterla alle generazioni future".
Secondo Portoghesi, Massimiliano Fuksas e
molte riviste d'architettura (non se ne fanno i "nomi")
sono tra i colpevoli che cercano di mettere fuori gioco
qualsivoglia riferimento all'identità nazionale.
Morale: i giovani d'oggi vengono distolti dalle conquiste del "[…]senso del luogo che l'architettura italiana ha conquistato con immensa fatica […]".
Partiamo dall'identità nazionale. Potrebbe
Portoghesi spiegare meglio qual è l'identità architettonica
nazionale? Si citano Terragni, Nervi, Gardella, Bbpr, Albini,
Samonà, Scarpa, Michelucci, architetti alla ricerca di un modo
italiano di essere moderni.
Un solo modo di essere moderni? No: ognuno
di loro cercò una personale via della modernità, e la loro
eredità sta proprio nella diversità tra le ricerche, con il
comune denominatore nella volontà di trasformare la crisi della
modernità in "valore".
Ora, ciò che più suscita perplessità è
che i citati architetti sono stati trascurati proprio dalla
generazione di Portoghesi stesso e di Aldo Rossi. Chi è stato
studente nell'università degli anni '80 sa perfettamente che
l'architettura italiana del secondo dopoguerra era assolutamente
sconosciuta ai più. Non c'era corso universitario in cui non si
parlasse di Rossi e del post modern. Nomi quali Samonà, Ridolfi,
Michelucci, si sentivano di rado, il più delle volte solo
quali citazione.
Eppure si trattava di personaggi che
avevano profuso impegno profondo, affrontando criticamente la
validità dell'ideologia razionalista e mettendone in discussione
molti punti fondamentali. La complessità dei fenomeni in gioco
era notevole: non si trattava di battersi per uno "stile",
ma di risolvere i molti problemi della società post
bellica, a cominciare da quelli morali. Ripensamento
funzionalista e rinnovamento istituzionale dovevano procedere
uniti.
Sappiamo tutti che non andò nel modo
sperato e che la spinta del razionalismo accademico fu talmente
forte che riuscì a spazzare via quanto si era fatto negli anni '50
e '60.
Portoghesi continua imperterrito a cercare
fili conduttori che colleghino gli architetti italiani del
secondo dopoguerra al post moderno; rileggendo il suo “Dopo
l’architettura moderna” –Laterza 1980- se ne
ha la conferma: “[…] in che misura gli sforzi
convergenti degli esponenti di quella che potremmo definire
"scuola italiana" anticipano e prefigurano le
direzioni di uscita dal Movimento Moderno che avrebbero permesso,
più di venti anni dopo, l’identificazione di una cultura
post moderna?”. Immancabile l’attacco a Zevi :”[…]
Abbiamo già osservato come la produzione della scuola italiana
così come si delineava attraverso queste considerazioni non fu
mai sostenuta da una critica congeniale […] In questa, come
in altre occasioni, Zevi dimostrò di rifiutare i risultati più
coraggiosi e più fertili della sua stessa predicazione”.
Un attacco immancabilmente pretestuoso se è
vero quanto Zevi commentava su ricorso alla storia ed al
vernacolo locale . “ Il ricorso alla storia coinvolge dunque
interrogativi complessi. Per ora, è un mero sintomo della crisi
razionalista, non un’esperienza creativamente feconda. Lo
confermano anche i migliori apporti italiani: la Torre Velasca
dei Bbpr a Milano, la Rinascente di Franco Albini a Roma, i testi
di Giovanni Michelucci a Pistoia e Firenze. Magistrali nel loro
instabile equilibrio che adegua orditi funzionali all’ambiente
storico, onde qualificarli ed indurli ad appartenere, questi
lavori incarnano una temperie in sospensione: più in qua, c’è
ancora il razionalismo, talvolta con venature espressioniste; più
in là, i revivals stilistici; nel mezzo, una irripetibile
capacità individuale che nei seguaci scade subito in viete ed
ibride transazioni” ( tratto da Editoriali di architettura
– PBE – pag.239
Dunque, se come dice Portoghesi è
vero che gli architetti in questione cercarono “ […]una
consapevole contaminazione tra elementi del lessico tradizionale
e metodi ed elementi tipici del linguaggio moderno[…]”,
altrettanto vero è che la volontà non era approdare a
quelli che sarebbero stati i neoeclettismi alla –solo per
fare un nome- Greaves. Di più: lo stesso Venturi –a dirla
con Antonino Saggio- anche egli alla ricerca della “necessità
di una apertura ala società di massa, non era riuscito a
proporre costruzioni che superassero ironici ed
intellettualistici connotati decorativi”. Improponibile
cercare similitudini costruttive tra la generazione degli
italiani post guerra ed il feticcio post moderno, ed il tentativo
di Portoghesi di “storicizzare” quel fertilissimo
periodo architettonico rischia di farne perdere le
potenzialità che ancora oggi potrebbero essere recuperate
e sfruttate dai giovani architetti e dai giovani studenti.
Portoghesi cerca di spronare i giovani
italiani a tornare sulla giusta via, quella che non conduce
a ciò che chiama “il culto dei mostri architettonici”
ma quella battuta da Zermani, Anselmi e altri giovani della terza
generazione della tradizione italiana, dal dopoguerra ad oggi.
Non c’è da stupirsi. Portoghesi fa
parte della generazione di architetti che “[…]guardano
perplessi l’architettura che si fa nel resto del mondo. E
magari fanno spallucce, tacciando quelle esperienze di
irrealizzabilità qui da noi, oppure di inseguimento preconcetto
di mode e di strampalati linguaggi, oppure di aderenza a messaggi
pubblicitari e superficiali o a vacui segni forti, oppure di
mancanza di coerenza tra forma e funzione, di scissione tra
costruzione ed immagine. Hanno difensori famosi che,a capo del
sistema architettura in Italia da almeno un trentennio, e
corresponsabili della situazione, guidano ora la “resistenza”all’ondata
internazionale dell’architettura[…]” (tratto da
“Il coraggio di aprirsi” – Antonino Saggio su
Costruire n.200).
L’affanno con cui Portoghesi tenta di
ridurre l’ondata internazionale della nuova architettura
della modernità si evidenzia nei pretestuosi riferimenti con cui
le mette in relazione: “[…]Certo agli architetti che
hanno osservato le lamiere del Word trade center non può essere
sfuggita l’analogia tra i lacerati delle facciate
sopravvissute al crollo ed edifici come il Guggenheim di Bilbao o
la torre pensata da Eisenman per Berlino. Dunque i mostri
metropolitani servirebbero ad ammonirci della imminenza di
catastrofi, preannunciare l’apocalisse e nello stesso tempo
esorcizzarla, confinandola nel dominio del virtuale; salvo
accorgersi che i confini tra reale e virtuale non sono poi così
controllabili […]”.
Eisenman e Gehry, veggenti o…iettatori?
Siamo al paradosso, al ridicolo tentativo di sfruttare una
tragedia sociale per assimilarla al tema dell’architettura/
linguaggio e decretare il simbolismo dei citati contemporanei
quale specchio del disfacimento della civiltà.
Portoghesi farebbe un lavoro più redditizio
se si soffermasse a discutere sul nuovo significato dell’architettura
quale simbolo, relazionandola all’era della metafora che
–in pieno- stiamo vivendo.
Un passo estratto dall’articolo “La
via dei simboli” (Costruire n°182 – autore A.S.A.) è,
al riguardo, chiaro: “[…]E’ avvenuto che il mondo-e
gli architetti se ne stanno rendendo conto- è mutato e che siamo
nell’epoca delle informazioni, nel pieno della Rivoluzione
informatica. E l’epoca informatica non funziona più per
messaggi assertivi, causa-effetto, ma per messaggi metaforici,
traslati[…]”.
Il povero Minoru Yamasaki, suo malgrado, sta
diventando simbolo negativo di cambiamenti epocali nella storia
architettonica: se Jencks individuò nella demolizione del
complesso Pruitt-Igoe (1972) la data della morte dell’architettura
del M.M. , Portoghesi inizia a trarre conclusioni improprie sulla
fine della modernità contemporanea identificandola con le
macerie del WTC, anch’esso di M.Iamasaki.
Oltre le considerazioni di Portoghesi,
la modernità contemporanea va avanti e si evolve. Ed è l’unica
cosa che conti realmente. Ai giovani architetti italiani si dia
fiducia, tanta, a condizione che comprendano che la modernità
non è temporalizzabile.
Ma Portoghesi non è solo nel redarguire i
giovani d’oggi. Dal suo letto,sorseggiando un caffè
zuccherato, appena sveglio e circondato da stucchi e decori (e
dall’immancabile bellona di turno…ma questa è solo
invidia), Vittorio Sgarbi detta le regole del buon architetto,
del buon urbanista, del buon restauratore, pronto a partire per
Tokio per cantarne quattro ad Arata Isozaki. Che c’entrano i
giovani? Molto, soprattutto perché il nostro sottosegretario sta
seminando con decisione a favore dell’intoccabile tradizione
italiana. Del resto, come ha sottolineato senza remore, lui ha il
potere e lui lo userà. Messaggio trasversale anche ai
giovani che stanno dando vita a nuovi stimoli, anche
contraddittori, al patrio fare architettonico. Chi oserà
progettare il nuovo nell’antico? Quanti combatteranno e
resisteranno pur vedendosi bocciare qualsivoglia proposta che
abbia a che fare con i tanto conclamati centri storici?
Chi rinuncerà a lavorare secondo il
personale credo pur di lavorare?
Leggevo Francesca Pagnoncelli su Arch’it
( Mondo gradasso. Smargiassi e smargiassini- in Arch’it
files) e della sua –ironica ed azzeccata- domanda su come
combattere lo Sgarbasso.
Cara Francesca, c’è una terza via
alternativa a quelle che tu proponi: continuare a metterlo sotto
pressione. In fondo Sgarbi è un po’ come il messaggio di
Mission Impossible, che si autodistrugge in cinque secondi;
magari lui ci metterà di più ma farà la stessa fine, tanto
poco sta dimostrando di essere un critico di architettura. Andare
da Isozaki e dargli le direttive su come modificare il progetto
di cui tutti sappiamo significa solo due cose: o essere
talmente paranoici da credere di potere dispensare consigli utili
a chiunque (ma del resto è o non è adepto del più grande genio/benefattore
del XX secolo…?), oppure non capire talmente nulla di
architettura sino al punto di essere convinti che sia sufficiente
cambiare le proporzioni di un progetto per renderlo un buon
progetto. Chissà la faccia di Isozaki quando ha ascoltato le
disposizioni impartitegli da Sgarbi del tipo “abbassa
qua, taglia là, usa questo materiale, togli quello…” .
Modestamente, una proposta l’avrei.
Perché Paolo Portoghesi non porta un po’ in giro Vittorio
Sgarbi per mostrargli le opere ed i progetti dei Bbpr, Samonà,
Ridolfi, Albini, Terragni, Michelucci, Scarpa, ideati nei centri
antichi?
Magari, dopo una lunga ed articolata
discussione, Portoghesi e Sgarbi potrebbero arrivare a
conclusioni un po’ più di spessore rispetto a quelle che ci
propinano periodicamente. Indubbio che l’intelligenza non
gli manchi, dunque…perché disperare?
Potrebbero andarci in taxi, scambiandosi i
vestiti, come Totò e Fabrizi. Nel frattempo, i giovani
sposeranno ciò in cui credono e vivranno il futuro così come
giusto che sia secondo il loro modo d’interpretarlo, anche
sbagliando ma senza regole castranti da seguire.
Sgarbi proclama la necessità di risanare le
periferie degradate per mezzo dell’architettura moderna, a
patto che essa non si azzardi a mettere becco nei centri antichi?
Bene, che si adoperi per finanziare migliaia di miliardi per la
demolizione e la ricostruzione delle periferie; nel frattempo nei
centri antichi degradati, per ridargli dignità, basterà
stendere tanti bei teloni a somiglianza delle facciate.
Berlusconi docet (Genova, G8).
Sgarbi e Portoghesi - che tanta
cultura sciorinano- potrebbero fare mente locale su quanto
intuito ci fu in Margherita Sarfatti nel comprendere i
significati delle ricerche di giovani architetti in un momento di
non facile decodificazione. E prenderne esempio. Con i giovani
bisogna lavorare attuando una critica puntigliosa, precisa,
stimolante, per tirarne fuori il meglio.
Concludo. Diceva Zevi . “In Italia, chi
non ha niente da dire parla in latino, e perciò sembra colto;
chi è più furbo immette parole volgari e gergali nella
costruzione latina, e sembra moderno”.
(Paolo G.L. Ferrara - 23/10/2001)
Per condividere l'articolo:
![]() |
Altri articoli di Paolo G.L. Ferrara |
![]() |
Invia un commento all'articolo |
![]() |
Stampa: "Sgarbi, Portoghesi, e i giovani d’oggi.pdf" |
Commento 5677 di giorgio sobrero del 02/11/2007
Concordo con quanto afferma l'autore di questo articolo.
In merito al ruolo dell'architettura contemporanea soprattutto relativamente alla possibilità di intervenire modificando i centri storici una citazione di Gae Aulenti:"Città ed edifici sono come corpi viventi se si interrmpe questo processo si rimane senza conoscenza per il futuro. E' un peccato mortale....L'architettura è quella che lascia il segno del tempo che passanella città".
Giorgio Sobrero
Commento 5722 di christofer giusti del 17/11/2007
L'articolo è del 2001, ora siamo quasi nel 2007 e praticamente nulla è cambiato.
Basta uscire dai patri confini, duvunque ma fuori dell'italia, per accorgersi che l'architettura contemporanea ha modo creativo di esprimersi persino in bellissimi contesti storici!
e, a proposito di questi ultimi, a proposito del paesaggio (da qualche hanno a questa parte foriero di chiacchere e teorie più o meno astruse), l'italia si fa vanto di patrimoni , patrimoni che sono sempre più degradati e inesistenti, per i quali è capace di produrre solo chiacchere, comprese quelle di Sgarbi, leggi ,leggine e norme del....., in due parole:immobilismo, parassitismo (specie politico)!
Si vadano a vedere i paesaggi austriaci, svizzeri, francesi, si impari dalla loro integrità.
Si vadano a vedere le citta, i paesi, la loro bellezza urbanistica, i loro nuclei storici, la loro pedissequa e amorevole manutenzione, la compresenza, in essi, di bella architettura contemporanea.....
Ora, dopo aver tolto i minimi tariffari, per essere allineati all'europa......, per garantire la qualità (da geometra) vogliono anche accorpare (leggasi accoppare) gli ordini secondo logica di affinità professionale.....................(troppo coraggioso toglierli del tutto).
Stiamo assistendo alla disfatta dell'intelligenza, saremo iscritti assieme ai geometri, e coerentemente con la mediocritas italiana non saranno loro ad elevare il loro quoziente, ma saremo noi ad essere degradati a misuratore di terra (il lavoro è comunque garantito secondo costituzione).
Siamo al punto che un geometra potrà, sostenedo pochi esami (a pagamento) e in virtù di non meglio precisati crediti maturati, avere la laurea in architettura (solo quela breve, si intende, quella di architetto jr).
Ma che c....o faranno questi architetti jr se non essere dei disgraziati più dei senior?
ma intanto le aziende-facoltà-letamaio incamerano i loro bei quattrini, moltiplicano le loro cellule-facolta -antoccio, èpiazzano i loro leccapiedi-culo, sfornano nuove e creative figure professionali il cui campo di impiego è stabilito per legge.
Voglio emigrare.
[Torna su]
[Torna alla PrimaPagina]