La modernità, tramite tra passato e futuro
di Vilma Torselli
- 19/1/2004

".....che
tra il tradizionale e il nuovo, o tra ordine e avventura, non esiste una reale
opposizione, e che quello che chiamiamo tradizione oggi è una tessitura di
secoli di avventura." (Jorge Luis Borges)
La posizione dell’architettura italiana e dell’Italia in generale nei confronti
della modernità e di tutto ciò che essa comporta è nel complesso caratterizzata
da indifferenza, disattenzione e talvolta ostile resistenza. E’ una situazione
allarmante, da più parti e da autorevoli voci denunciata, che rischia di
relegarci in coda a quella marcia verso il progresso e la modernità che il resto
del mondo civile sta compiendo a grandi passi: l’opinione comune è che dobbiamo
allinearci, dobbiamo fare spazio all’architettura contemporanea, siamo
nell’epoca dell’architettura moderna, quella dobbiamo fare.
Il sillogismo è paradossale, se pare che, per divenire moderna, l’Italia debba
fare dell’architettura moderna, quando la relazione logica che lega causa ad
effetto suggerirebbe il contrario. Diversamente, trasferendo questo diffuso
atteggiamento dei critici di oggi per esempio nel XV secolo, le cose dovrebbero
essere andate pressapoco così: un pensatore dell’epoca, un critico, un filosofo,
uno storico, il rappresentante di qualche organo ufficiale, un bel mattino si
sveglia e dice: “caspita, siamo in pieno barocco e nessuno se ne dà pensiero.
Bernini, datti da fare, e tu, Borromini, cosa aspetti ad inventare
l’architettura barocca?”
La critica dell’architettura legge nel passato quello che vuole leggere e di
conseguenza sceglie i linguaggi e gli autori più adatti ad esprimerlo secondo la
propria chiave di lettura (talvolta, come accaduto per il medioevo, cambiando
radicalmente nel corso del tempo le sue valutazioni), ma trasferendo anche nella
comprensione del presente la stessa necessità di storicizzazione, si finisce per
assumere come riferimento un concetto astratto di “modernità” che non esiste,
facendo a ritroso il percorso che dovrebbe invece far discendere dall’analisi
della realtà, in questo caso dell’architettura prodotta, la categoria entro la
quale collocarla.
Che poi, la categoria forse non esiste neppure lei, come non esiste
l’architettura, ma solo l’opera di architettura esiste: sono parole di Louis
Kahn ("Louis I. Kahn, idea e immagine", Officina, Roma 1980), che con perfetto
parallelismo si riscontrano con quelle di Gombrich quando dice che non esiste
una “cosa” chiamata arte, ma esistono gli artisti.
Ho letto da qualche parte che “la contemporaneità non é una qualità, non é
uno stile, non é una religione, non é una saggezza, non é un'abilità, non é una
estetica, non é una promessa, non é un ideale e neanche una delusione!”, la
contemporaneità è un’attribuzione del momento storico che stiamo vivendo, non è
né moderna né antica, è adesso, semplicemente, che ci piaccia o no.
Ed ogni modernità è a sé stante, perché basata, almeno dall’avvento dei
movimenti artistici avanguardisti del ‘900, sul principio di discontinuità e di
allontanamento centrifugo dal proprio passato, secondo un divenire che"…..non
è la chiave del divenuto, perché la modernità ha separato irreversibilmente
l'originato dalla propria origine come rapporto di causa ed effetto, di agente e
di azione. Non solo quindi non è possibile percorrere a ritroso il tragitto
verso la propria origine ma, di più, si diventa qualcuno e qualcosa, si diventa
adulti, solo mediante quest'uscita irreversibile." (Iolanda Poma, “Percorsi
di comprensione della modernità nella filosofia di Theodor W. Adorno” ,
Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia).
La chiave di lettura del divenuto è il movimento, il cambiamento, senza pretese
di continuità e di correlazione né con la propria esperienza né a maggior
ragione con l’altrui, confrontarci con l’architettura del resto del mondo, alla
ricerca dell’essenza della modernità, non serve.
Se un linguaggio moderno, in senso generico, è oggi l’unico che permette la
comunicazione nella contemporanea società globale dove molteplici culture si
contaminano reciprocamente, bisogna comunque tener presente che globalizzazione
vuol dire integrazione e compatibilità con la diversità, non omologazione,
appiattimento e perdita di identità.
La modernità non nasce dal nulla su una tabula rasa, nasce dall’implicito
confronto con il proprio passato, avendo coscienza che si tratta di un
"rapporto irrisolto e lacunoso, il non è di ciò che è", di un percorso che
non si può più ripercorrere, una via del non-ritorno sulla quale il passato deve
essere definitivamente abbandonato, anche se vuol dire guardare in faccia la
crisi che ci procura capire che la storia finisce e che il futuro non è più
prevedibile (per questo Zevi parla di modernità rischiosa).
E’ un passaggio ineludibile che ogni società deve affrontare da sola, poco ci
aiuta confrontarci con ciò che accade in America, sempre citata ad esempio per
la libertà concessa dalla duttilità strutturale e dal pragmatismo del suo
sistema ordinativo, che non è un modello esportabile, come non lo è il suo
sistema democratico, il che è ampiamente provato non solo sul piano culturale.
Parafrasando Jerome Bruner si potrebbe dire che l’architettura è un po’ la
narrazione della nostra storia, senza intendere la memoria come pura
trascrizione del passato, perché il ricordo è sempre un atto d'invenzione.
E proprio nell’elaborazione del passato, patrimonio non condivisibile, peculiare per ogni
individuo ed ogni società, ci sono tutte le ragioni della nostra attualità, è lì
il nucleo promotore del cambiamento e della presa di coscienza di una propria,
moderna autonomia intellettuale.
Si tratta di un processo che, per ogni individuo e per ogni società, ha i suoi
modi ed i suoi tempi scanditi dalla memoria semantica, quel lessico mentale che
contiene le informazioni sul mondo ed organizza il nostro pensiero in base ai
significati ed ai referenti che la nostra cultura ha costruito. E la nostra
cultura, che si voglia o no, è italiana.
(Vilma Torselli
- 19/1/2004)
Per condividere l'articolo:
Commento 8983 di scandellari valeria del 01/10/2010
Ho scoperto per caso questo sito e mi complimento con Wilma per la professionalità e competenza. - Bello il paragone di Kahn e quello di Gombrich : " non esiste una cosa chiamata arte ma esistono gli artisti" . A questi aggiungerei anche Ruskin, che auspicava un ritorno all'etica del medioevo in contrapposizione alla società industriale e all' illuminismo, oltre che al Rinascimento, portatori di non valori come il concetto macchiavellico del : " fine che giustifica il mezzo" - La modernità non può cancellare il passato come invece é stato fatto dagli architetti del 900, ma deve collegarsi al presente e rispettare i "luoghi", il genius loci, come dice C.N-Schutz. - La creazione di luoghi della memoria volti a ricordare orrori e odii sono controproducenti. Sarebbe auspicabile creare luoghi di perdono e fratellanza, ma oltre a non esserne capaci, sarebbe banale e non farebbe notizia.
Cordiali saluti,
Valeria Scandellari
Commento 9079 di vilma torselli del 01/11/2010
gentile Scandellari Valeria, circa la chiusa del suo commento al mio scritto, cito una notizia di oggi pescata in rete: "Mentre l'Europa ha celebrato il 65esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale la Germania inaugura "Topografia del Terrore" un museo sugli orrori nazisti. Proprio nella vecchia sede di SS e Gestapo". Il titolo: Berlino non dimentica.
Come sempre, l'odio tiene vivo sé stesso attraverso questi musei della memoria.
Solo così fa notizia.
Saluti
Commento 9136 di scandellari valeria del 16/11/2010
Cara Wilma, ti ringrazio di avermi informato di questa notizia terribile che non voglio neppure commentare, potrebbe suscitare curiosità e non ne vale la pena! Se mi mandi un indirizzo vorrei mandarti un testo e sapere cosa ne pensi, mi interessa molto il tuo parere, capito spesso a Milano e te lo posso lasciare in redazione?
ciao, a presto!
Valeria
[Torna alla PrimaPagina]