Elezioni Consigli degli Ordini: chi conosce i programmi dei candidati?
di Paolo G.L. Ferrara
- 22/11/2005

In occasione delle elezioni per il nuovo Consiglio, abbiamo avuto l’autorizzazione da parte dell’Ordine degli architetti di Milano di inviare circa 5.000 e mail ad altrettanti professionisti iscritti all’Albo dello stesso (indirizzi fornitici dopo la richiesta ufficiale fatta dal Presidente del CoDiArch, Alberto Scarzella Mazzocchi).
Il messaggio, visto e considerato che le elezioni non hanno mai il giusto peso conoscitivo che possa permettere all'elettore di scegliere con convinzione, aveva l’unico obiettivo di mettere a conoscenza del nostro programma gli elettori. Ovviamente, constatare che a gran parte dei riceventi la nostra mail non ha turbato il sonno, non è stata certo una sorpresa, né ci ha sconvolto il ricevere risposte infastidite e ironiche (ironicamente infastidite…). Tant’è: la coscienza morale di cercare almeno di capire dove stiamo andando non è certo morbo diffuso, il che apre una serie di riflessioni a cui, noi del CoDiArch, credendo fermamente che si debba essere informati sul destino che ci aspetta (più propriamente: sul destino che qualcuno sta decidendo e manovrando), non possiamo sottrarci.
Dunque, perché gli architetti non s’interessano del loro futuro, diciamo così,
“burocratico”? Verrebbe da dire, senza malcelata cattiveria, che la gran parte
di coloro i quali ci hanno insultato non sono altro che parte integrante di un
sistema consolidato il cui “credo” è fare carriera al più presto, e con qualsiasi
mezzo possibile, primo fra tutti il servilismo a chi comanda, a chi gestisce.
Bene così: incassati gli insulti e l’indifferenza, dico apertamente che un tal
genere di personaggi non c’interessa per nulla. Il CoDiArch è cosa seria, e lo
è perché, pur di cercare di fare valere le ragioni della categoria, nessuno dei
componenti ha timori di sorta nell’affrontare le istituzioni, il potere. Tutti
noi ci mettiamo in gioco pur ben sapendo che chi ci è contro potrebbe anche, una
volta al potere, farci qualche “piccola” ripicca, mostrando comunque assoluta
mancanza di coscienza su cosa sia la democrazia. Eppure, eccolo qua tutto il CoDiArch,
a lottare anche per chi crede che tutto sia bello e senza problemi e che, dunque,
non capisce che motivo ci sarebbe di cambiare assetto all’Ordine di Milano, e
non solo di questo. Sì, perché i problemi che solleviamo non sono certo circoscritti
alla sola nostra provincia, ma sono parte di un morbo che riguarda tutti gli architetti
d’Italia, esclusi quelli che non hanno la minima sensibilità etica.
Legittimo che ciascuno di noi aspiri ad avere successo professionale cercando l’emulazione di personaggi oramai noti e di lungo corso, colleghi che non hanno certo paura degli “studi di settore”, il che, sia ben chiaro, non è certo una colpa, soprattutto se i lauti guadagni sono stati legittimi per bravura e sudati per impegno. In effetti, tutti noi sogniamo di diventare come Piano, ma il sogno è sogno, dunque serve ben altro, prima di tutto almeno la possibilità di poterci tentare. Ma come? forse attraverso la collezione dei bollini di qualità che la riforma in atto vuole imporci? oppure attraverso la suddivisione della professione in serie A e serie B?
Come diceva Franco Franchi, “vengo e mi spiego”. Chi ha risposto con gli insulti alla nostra e mail non ha scusanti: avremmo anche potuto scrivere idiozie, ma il rispetto della persona è tra i fondamenti della convivenza civile, la qualcosa sembra essere sconosciuta a gran parte dei componenti il mondo degli Albi professionali. Difatti, convivere civilmente significa rispettare la libertà di espressione altrui (sotto qualsivoglia forma) e, caso mai, criticandole esponendo le proprie ragioni di dissenso in modo esplicativo.
Certo, se davvero i nostri denigratori avessero coscienza di cosa ci aspetta nel futuro prossimo, forse non proverebbero un tale orgasmo (comunque frutto del più classico del “fai da te”) nell’insultarci, soprattutto se non hanno ancora completato il mosaico degli agganci che li consoliderà in posizioni preminenti. Stiano attenti, perché in tal caso, anche loro rischierebbero di finire in serie B, ovvero semplici “dipendenti” di architetti da serie A, un po’ come succede ai laureati in farmacia ma non proprietari di farmacia, quelli che stanno dietro un banco non loro, che hanno uno stipendio base, ma che hanno gli stessi doveri burocratico/economici del proprietario.
Me li vedo già i tanti colleghi che oggi pensano che le elezioni siano una emerita “stronzata”: me li vedo tra qualche anno ingoiare bocconi amari in continuazione, sottoposti a semplice lavoro da impiegato e senza alcuna possibilità di potere diventare indipendenti, visto e considerato che dovranno sborsare palate di soldi per poterlo fare. Me li vedo già, con un mal di pancia tale da dovere andare in farmacia ed acquistare una buona purga.
Detto ciò, invito tutti quelli che la purga la vogliono evitare e che, viceversa, vogliono somministrarla agli Ordini, a leggere le motivazioni per le quali il CoDiArch si presenta alle elezioni del Consiglio di Milano. Se davvero il nostro programma risulterà convincente, allora -e solo allora- il lettore dovrà votarci (tra il 21 novembre ed il 1 dicembre). Raccattare voti non è nel nostro codice etico: lo è mettere in gioco la nostra persona senza usare maschere di comodo.
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Perchè una lista Co.Di.Arch.
Il Co.Di.Arch. si presenta per la prima volta ad una elezione per il rinnovo del Consigliodell'Ordine degli architetti della provincia di Milano.
A cinque anni dalla sua costituzione questa decisione si è dimostrata inevitabile.
La condizione professionale è diventata infatti insostenibile.
Insostenibile, non solo dal punto di vista economico e sociale, come dimostrano
peraltro le recenti prese di posizione di alcuni famosi architetti italiani, ma
anche dal punto di vista della rappresentanza, imposta per legge con l'iscrizione
obbligatoria all'Albo. Per decenni abbiamo dovuto accettare questa rappresentanza,
senza poterci ribellare. Questo ha fatto si che qualunque istanza, qualunque intervento
da parte degli Ordini sul legislatore italiano o europeo, avvenisse senza bisogno
di ottenere alcun consenso preventivo da parte degli iscritti allo stesso Albo.
Prova ne sia, ad esempio, la Direttiva CEE 85/384 che regola il riconoscimento
dei titoli abilitanti alla professione di architetto in Europa, che ha previsto
il doppio esame solo per i laureati nelle facoltà italiane, penalizzando le lauree
del nostro Paese rispetto a quelle degli altri partners europei. Tutto ciò è stato
fatto sentito il parere degli Ordini. Più recentemente ancora, dopo aver aperto
alle lauree triennali, gli Ordini non hanno reagito all'approvazione della Direttiva
2005/36/CE (fortemente voluta da un parlamentare eletto in Italia), che impedisce
ai nostri laureati triennali di essere riconosciuti in Europa, mentre la Germania
imponeva sulla stessa Direttiva il riconoscimento delle sue lauree triennali in
architettura. Ma quando si tenta di aprire una discussione su questi temi o sulla
rappresentanza coatta degli architetti, gli Ordini oppongono l'alibi della tutela
dell'interesse pubblico generale. L'Ordine, dicono, non è nato per tutelare l'interesse
dei professionisti o per garantire migliori condizioni di esercizio della professione,
bensì è ente “super partes”, atto a garantire il controllo e la qualità delle
prestazioni professionali nel nostro Paese ed agire contro i professionisti, qualora
questi ultimi, per qualunque motivo, fossero indotti a trasgredire le norme previste
dagli stessi Ordini.
Noi del Codiarch abbiamo sempre espresso molti dubbi in proposito ed è certo che più volte abbiamo tentato di presentare all'opinione pubblica le nostre enormi perplessità, ma non siamo mai riusciti a forare il muro del silenzio che gli stessi Ordini hanno imposto per anni su questi temi.
Poniamo a tutti quindi una serie di domande che più volte ci siamo posti: se un
Ordine è pagato dai suoi iscritti ma tutela gli interessi pubblici generali, chi
tutela gli interessi dei professionisti? E chi paga questa tutela? Se è vero che
gli Ordini professionali garantiscono solo gli interessi più generali, perchè
mai dovrebbero essere proprio i professionisti a pagare la tutela di questi stessi
interessi? Perchè non è il pubblico a farsi carico dell'onere di pagare la tutela
di questi interessi? E ancora: se gli Ordini tutelano esclusivamente l'interesse
generale, come mai si presentano sempre e comunque come rappresentanti della categoria
di fronte al Parlamento, per chiedere incessantemente riforme a nome della stessa
categoria professionale? Non è forse lecito pensare che l'iscrizione all'Albo,
in questo modo, diventi automaticamente un'iscrizione ad un sindacato unico di
categoria imposto per legge? Se l'Ordine è considerato un ente “super partes”
tutore di interessi generali, perchè mai viene retto da colleghi concorrenti operanti
sullo stesso mercato dei colleghi controllati? Chi ci dice che questi stessi professionisti
siano effettivamente i migliori controllori della qualità delle prestazioni e
dell'interesse generale, visto che agiscono ogni giorno sul mercato per ottenere
incarichi professionali e sono portatori di interessi privati e particolari?
A queste domande gli Ordini italiani non hanno mai risposto e crediamo, mai risponderanno. Oggi però l'Europa ci impone di farlo.
La Commissione europea incalza e sono pronte procedure di infrazione contro il
nostro Paese in fatto di professioni. I nostri concorrenti europei sono più competitivi,
vivono con minori vincoli e minori restrizioni concorrenziali, il diritto comunitario
ci impone di ridurre le barriere d'accesso, l'eliminazione delle tariffe minime
obbligatorie, dei vincoli pubblicitari e ci costringe ad aprire alla concorrenza
ed alle persone giuridiche a responsabilità limitata operanti su tutto il territorio
europeo.
Di fronte a questa sfida, che già ci penalizza, il nostro Ordine assieme al CNA
ed al CUP non ha saputo fare altro che proporre nuovi steccati, nuovi vincoli
ed inutili restrizioni concorrenziali. Invece di analizzare il mondo reale derivante
dall'allargamento all'Europa delle professioni e quindi prepararsi ad agire di
conseguenza per liberare le migliori energie del Paese, ha preferito trincerarsi
dietro la costruzione di nuovi steccati, col fine non dichiarato di creare serbatoi
di mano d'opera a bassissimo costo per ridurre le inefficienze del nostro sistema
professionale e garantire il mantenimento dei privilegi professionali già acquisiti.
Il suo motto è stato ed è: scarichiamo addosso ai più deboli il costo delle nostre
inefficienze. Continuiamo pure a imporre una formazione universitaria di basso
livello e lasciamo che i laureati in architettura abbiano poi, come unica alternativa,
quella di fare gli animatori nei villaggi turistici, quindi costringiamoli ad
adattarsi a sgobbare sottopagati nei nostri inefficienti studi professionali .
Per questo motivo hanno inventato una mossa a sorpresa, che i poveri architetti
ignorano: la formazione continua e permanente obbligatoria a pagamento e la verifica
della permanenza dei requisiti professionali affidate a loro, ovvero a colleghi
concorrenti operanti sullo stesso mercato professionale dei colleghi controllati.
Operazione "geniale" proposta al Parlamento attraverso il CUP (Comitato unitario
degli Ordini e dei Collegi professionali con sede presso il CNA).
Il Codiarch è nato per tutelare gli architetti, tutti gli architetti, anche quelli
che dopo aver sborsato fior di milioni di vecchie lire per laurearsi, non sono
abiltati e si vedono oggi scavalcare dai laureati tedeschi, inglesi, danesi, polacchi
o italiani laureati in Svezia o in Olanda, che non hanno alcun bisogno di superare
ulteriori Esami dopo la laurea controllati dai loro colleghi concorrenti.
(Paolo G.L. Ferrara
- 22/11/2005)
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Commento 991 di Mariopaolo Fadda del 23/11/2005
Sapevamo da tempo che la gran massa degli architetti italiani (e quindi anche milanesi) vive con disagio e avvilimento la propria condizione professionale, ma che una parte di essi fosse sprofondata nel rancore plebeo non lo avremmo mai immaginato. Un autodeclassamento che deve far riflettere sul grado di corruzione etica e intellettuale di una professione che si picca di avere un ruolo sociale da svolgere. Certo, simile campionario umano, pronto a servire dieci, cento, mille padroni, l’unico contributo che può offrire è la partecipazione alla spartizione del bottino. Nulla di più.
La presentazione delle liste del Co.Di.Arch. ha avuto il duplice effetto di portare allo scoperto l’esistenza di questa zavorra, che rischia di trascinare nell’imbarbarimento l’intera professione e il sistema che regola le elezioni dei Consiglio dell’ordine. Un sistema che fa apparire Ceacescu e compari, al confronto, come integerrimi garantisti.
La denuncia di Giovanni Loi, precisa e circostanziata, dovrebbe far rizzare i capelli a chi crede nella certezza del diritto, ma, temo, i calvi spunteranno come funghi e la certezza del rovescio trionferà.
Invito ancora una volta i colleghi milanesi che rifiutano questo squallido status quo a votare per i candidati della lista del Co.Di.Arch. Loro non promettono la spartizione di prebende, cariche, incarichi, poltrone e poltroncine ma si impegnano solo, e scusate se è poco, a porre freno a questo lento, cupo inabissamento della nostra, della vostra, dignità professionale.
MPFadda
Los Angeles, CA
22/11/2005
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