Vaccarini ad Ortona: addizione del paesaggio
di Paolo G.L. Ferrara
- 14/7/2006

E’ un peccato che Giovanni Damiani -su arch’it-
abbia scritto velocemente del Cimitero di Ortona progettato da Giovanni Vaccarini.
Per chi non conosce né il critico né l’architetto, l’articolo appare infatti
doppiamente dannoso: l’architetto ne sembra essere il committente; il critico
colui che ne accetta l’incarico senza essere però andato sul luogo.
Il peccato di Damiani sta nel fatto che ha sminuito sé stesso scrivendo un pezzo
assolutamente inutile dal punto di vista critico, cosa che invece Damiani sa
fare.
Infatti, leggendo lo scritto di Damiani sembra che egli abbia semplicemente
preso qualche riferimento da quanto detto dallo stesso Vaccarini per presentarci
il progetto di ampliamento del cimitero di Ortona:
-Damiani: “ Il progetto è molto semplice. Dei corpi di fabbrica filiformi
si aprono sul paesaggio rompendo anche il recinto e un grande pettine organizza
lo spazio permettendo al visitatore di inquadrare il bellissimo paesaggio di
Ortona. Il muro che circonda il cimitero si apre in diversi punti per lasciare
la vista del mare che rinviene con forza da sotto la collina. Le forme dell'architettura
sono molto semplici, nette, decise, il rivestimento in pietra molto sobrio e
serio e viene interrotto da parti intonacate che corrispondono ai punti in cui
i volumi si spaccano per lasciarci vedere il paesaggio fuori dal cimitero facendo
vedere la sezione del taglio.”
-Vaccarini: “ Il risultato è un impianto sostanzialmente a pettine in cui
delle "dita" (i corpi di fabbrica) utilizzano nel loro disporsi un graticcio
di allineamenti (un codice a barre) che dialoga con l'impianto del cimitero”.
”I corpi di fabbrica filiformi si aprono sul paesaggio […]”
”L'area di intervento è l'ultima porzione di suolo a disposizione per l'ampliamento
del cimitero. Posizionata all'estremo nord del perimetro cimiteriale si trova
sul crinale di un colle che guarda verso il mare; un panorama di straordinaria
bellezza e suggestione.”
”La forza della presenza paesaggistica apre il muro di cinta in scaglie che
inquadrano il paesaggio; il mare diventa uno degli elementi di dialogo dell'architettura,
la muratura, tagliata, è alla costante ricerca di punti di vista, di affacci;”
”I materiali del progetto sono essenzialmente due : il rivestimento in pietra
e l'intonaco. I corpi di fabbrica sono pensati come dei volumi monolitici "tagliati"
da geometrie che come traccianti invisibili producono tagli e lacerazioni; i
volumi sono rivestiti in pietra, le sezioni lasciate scoperte dai "tagli" sono
in intonaco bianco.”
Conosco Giovanni Vaccarini e sono assolutamente certo che non ha “commissionato”
l’articolo: non ha bisogno di pubblicità effimera.
Conosco (più per quello che scrive che non personalmente) Giovanni Damiani e
so che non accetterebbe mai un articolo “commissionato”: ha capacità che vanno
al di là di qualsiasi bisogno di visibilità effimera.
Ma allora, cosa è successo? Perché Damiani ha banalizzato un’opera che invece
necessita di essere attentamente letta? Eppure, nella lunga introduzione prima
di arrivare a parlarci dell’opera di Vaccarini, Damiani ha toccato alcuni punti
importanti della situazione attuale dell’architettura italiana, in primis quella
di riuscire ad essere davvero liberi e anche un po’ goderecci (ma, sempre e
comunque, rigorosi: vedi il pranzo “Da Silvio” che Damiani si è concesso – e
noi lo abbiamo scherzosamente immortalato in foto…).
Parlo di banalizzazione proprio perché, visti i contenuti dell’introduzione,
Damiani avrebbe dovuto parlarci dell’opera di Vaccarini relazionandola ad essi
ed invece si è limitato a riportarne quanto scritto dal progettista nella relazione
di progetto (che si trova, tra l’altro, su molti siti internet).
Detto di Damiani, mi tocca mettermi in gioco e dire il mio pensiero sull’opera
di Ortona.
Il Cimitero –ci dice il progettista- è un “…terminale dell'impianto cimiteriale
(una sorta di testata contrapposta all'ingresso principale); elemento del/sul
paesaggio (che, dunque, dialoghi con questa presenza ambientale molto forte)”.
Sta tutto qui il nodo critico: l’impianto esistente “terminava” in quanto strutturato
secondo una “geometria” di elementi regolari ad angolo retto (ma non tutti della
stessa dimensione).
L’intervento di Vaccarini trasforma il concetto di geometria quale generatrice
di impianto chiuso in geometria quale generatrice di rottura dello schema rigido
che, solitamente, attraverso essa si forma.
Ovviamente, trasformare uno schema rigido in dinamico presuppone che si vada
oltre il concetto di architettura progettata esclusivamente secondo la funzione
a cui è destinata, dando ad essa connotazione di elemento legante tra la funzione
stessa ed il luogo in cui s’inserisce.
Siamo dunque alla questione “paesaggistica”? Assolutamente sì, e il richiamo
più forte è a Biagio Rossetti, alla sua Addizione Erculea (1492), ove l’architetto/urbanista
lavora attraverso una maglia ortogonale flessibile che imprime vita ad un sistema
viario aperto. L’addizione di Ferrara non prescindeva dal paesaggio e perciò
si slegava da qualsivoglia tentazione di impostarla sulla base dei concetti
della Città Ideale rinascimentale.
Non prescindeva dal paesaggio poiché ne prevedeva l’integrazione sinergica con
lo sviluppo futuro della città in termini di rapporti tra le architetture. Così
come l’Addizione, anche l’intervento di Vaccarini ad Ortona non si configura
quale una delimitazione a caso di uno spazio funzionale.
Vaccarini progetta l’addizione del cimitero secondo l’intento di dare all’impianto
esistente quel rapporto con il luogo che esso non aveva: da sempre il cimitero
é “funzione” specifica da pianificare quasi fosse un “non luogo”, ovvero assolutamente
introspettivo e alienato dal paesaggio in cui s’inserisce e con cui si relaziona.
Quello che il progettista definisce “...terminale dell’impianto cimiteriale”
-quale fosse una “...sorta di testata contrapposta all’ingresso principale”-
in realtà è altro, e lo dimostrano i corpi che si relazionano al mare: non elementi
di che bloccano la visuale su sé stessi (tipico modus accademico), bensì elementi
che catturano lo spazio fluido del nuovo edificato e lo tengono in tensione
prima che esso si apra liberamente nella visuale verso il mare (Vaccarini è
o no "morettiano"? e chi se non Moretti aveva la capacità di fluidificare lo
spazio anche attraverso elementi geometrici regolari?).
Il “nuovo” diviene così elemento “del” paesaggio perché il luogo muta
il suo contesto proprio grazie all’architettura; inoltre, il “nuovo” è inserito
“sul” paesaggio in quanto le relazioni che il contesto modificato dall’architettura
innesca nel luogo (relazione paesaggistico/architettonica) sono veri e propri
interscambi di diversificate percezioni dello spazio.
Torniamo a Rossetti. Dice Vaccarini: “I corpi di fabbrica filiformi si aprono
sul paesaggio scardinando anche uno dei componenti canonici del sistema cimiteriale:
il recinto. La forza della presenza paesaggistica apre il muro di cinta in scaglie
che inquadrano il paesaggio; il mare diventa uno degli elementi di dialogo dell'architettura,
la muratura, tagliata, è alla costante ricerca di punti di vista, di affacci”.
Le mura di Biagio Rossetti, pur nella loro inconfutabile presenza, sembrano
aprirsi al paesaggio non solo perché improntate secondo il concetto di “fronte
bastionato italiano”, ma soprattutto perché pensate in rapporto a quello che
sarebbe stato l’organismo di sviluppo dell’addizione stessa. Esse sono dunque
organiche alla città nuova poiché non ne tranciano il rapporto con il paesaggio.
Il muro di cinta “in scaglie” di Ortona è organico all’insediamento cimiteriale
e al suo rapporto con il paesaggio. Si vedano i significati dell’uso dei materiali:
i volumi in pietra, apparentemente composti dalla sovrapposizione di conci,
sono in realtà setti murari la cui sezione è nettamente marcata dall’intonaco
bianco. Il “muro”, dunque, non esiste e ciò significa annullarne il concetto
di elemento di chiusura verso il paesaggio.
Si può non essere d’accordo su alcune cose quali quelle inerenti il rivestimento
in pietra grezza che, come dice Vaccarini, grazie alle sue forti vibrazioni
cromatiche vuole dare l'idea “di una moltitudine di pixel”, ricerca un po’ forzata
di significati che, in realtà sono già insiti nel concetto espresso sopra, ovvero
quello di “muro non muro, ma lastra”.
Oppure, sempre restando all’interno delle citazioni riferite all’informatica,
si può non essere d’accordo sulla definizione dell’impianto “sostanzialmente
a pettine in cui delle "dita" (i corpi di fabbrica) utilizzano nel loro disporsi
un graticcio di allineamenti (un codice a barre) che dialoga con l'impianto
del cimitero”.
Citare il codice a barre significa dare una lettura esclusivamente bidimensionale
all’intervento, ovvero delimitarlo nel recinto dell’urbanistica fine a sé stessa.
Ad Ortona siamo invece in presenza di una perfetta modalità d’applicazione del
concetto di urbanistica che lavora sinergicamente all’architettura, e ciò perché
vi è la consapevolezza del progettista che, senza architettura e dunque senza
tridimensione e quadridimensione spaziali, il suo progetto sarebbe stato solo
teoria basata su previsioni di espansione esclusivamente intesa in limiti di
spazio.
Ma, fortunatamente, Vaccarini non ci ha mai proposto architetture figlie di
delimitazioni spaziali, bensì di creazione dello spazio. Esattamente come Biagio
Rossetti e la sua libertà da qualsivoglia vincolo dettato dall’epoca , che lo
avrebbero indirizzato a progettare l’addizione quale fosse una città ideale
a sé stante e solo da collegare funzionalmente al nucleo della Ferrara esistente.
Ed allora si può essere d’accordo con Pippo Ciorra nel modo in cui Damiani lo
ha citato, ovvero che “ripete alla nostra generazione che siamo un attimo
moralisti e che cerchiamo noiosamente regole invece di vivere la felice condizione
del liberi tutti che la sua generazione ha faticosamente ottenuto dopo anni
di lotte con i fantasmi del passato.”
Ad Ortona è palese il rifuggire da regole dettate dalla morale del cimitero
quale luogo alienato, chiuso in sé stesso, regolato dalla rigidità della morte,
surrogato della città accademica.
Eppure, come diceva Zevi, una bara è molto più organica di una abitazione scatolare…
Per approfondire vedi: Contro un distratto articolo sul Cimitero di Ortona di Antonino Saggio, che ha aperto il tema di discussione sui contenuti dell'articolo di Giovanni Damiani su arch'it.
(Paolo G.L. Ferrara - 14/7/2006)
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Commento 1308 di Giovanni damiani del 19/07/2006
signori nu poco di gioia di vivere e di ironia... comunque, bando alle ciancie, ringrazio per le parole di stima nei miei confronti che traspaiono sotto la vis polemica.
mi pare piuttosto inutile precisare che nessuno mi ha "oliato" sotto banco a fare nessun articolo, cosa per altro diffusissima, ma che non ha alcun senso fare su una rivista che non paga un centesimo per farlo.
come altre persone che lavorano a margine dell'editoria e nella comunicazione dell'architettura ricevo abitualmente diverse decine di mail a mese e qualche pacco postale di architetti, ami ci e no, che mi fanno vedere le loro cose, qualcuno per pubblicarle, altri per discuterne, altri non so per quali loro motivi. giovanni, che considero un amico, oltre che un bravo professionista, mi manda spesso delle cose che vedo sempre con piacere e si è deciso assieme che sarebbe stato bello pubblicare il cimitero su arch'it ... dove sta il problema?
trovo normale che qualcuno commissioni qualcosa (una casa, una cura canalare o un libro) e che uno che fa il mestiere specifico risponda facendo il proprio lavoro. Se uno cura denti segue delle strade più precise per risolvere un problema preciso, se uno scrive, penso che sia libero di usare format e stratagemmi linguistici a piacere. Arch'it si presta bene, sia per il formato digitale che per l'intelligenza del suo direttore. la sua libertà di sperimentazione è stata ed è una delle più interessanti cose del dibattito italiano degli ultimi dieci, quindici anni, per cui il problema mi resta arcano.
si insinua che bisogna sempre scrivere dotti saggi? che esiste un modo per farlo? se uno volesse comporre poemi in quartine su un opera di qualcuno e trovasse un editore-direttore che lo reputasse degno non lo dovrebbe fare?
personalmente sento sempre meno bisogno di descrivere l'architettura, sono in una fase della vita in cui sto disegnando molto più che in passato e mi sono preso il lusso di infarcire una storiella attorno nella speranza che si capisse le due cose che mi premevano:
a- il progetto di vaccarini è bello e merita attenzione
b- l'architettura va vista live, bisogna viaggiare, stare bene, entrare nei paesaggi e nei posti.
in questo senso narrare un viaggio, una discesa improvvisa nella città adriatica, mi pareva un modo interessante e divertente di raccontare il progetto.
Se poi volete sapere una storia divertente a margine di tutto questo vi posso raccontare che ero in zona per altro, ma sentito giovanni per caso, mi ha portato davvero a vedere in cimitero, siamo stati a passeggio in quello canadese li vicino e andati a pranzo in una trattoria che si chiama Silvio. Li scherzando ho raccontato che il giorno prima, andando a trovare un amico nelle marche per lavoro avevo mangiato in un ristorante che si chiama Da Silvio..... insomma, la storiella era un semplice stratagemma per cambiare formato di scrittura, ma (per puro caso, forse) era molto più vicina al vero.
ps
vi ringrazio infinitamente per il fotomontaggio di me da Silvio, l'ho messo sul desktop e mi piace un sacco.
Commento 1317 di mara dolce del 22/07/2006
Damiani scrive gratis per Arch'IT, che volete?
lui è un critico a contratto, è come uno dei tanti professori a contratto che tengono in piedi le università pagati meno della bidella della scuola media.
è uno dei motori che fa funzionare la cultura italiana oggi. gratis.
nelle università giovani professori a contratto non pigliano un euro e nelle riviste digitali giovani critici a contratto scrivono gratis.
se Damiani con questa canicola ha deciso di scrivere una cosa di architettura in ciabatte e con la camicia fuori dai pantaloni, lasciatelo stare: non è stato pagato.
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