Veniamo noi con questa mia a dirvi
        
 di Paolo G.L. Ferrara
	 - 4/8/2001
	
		 
	Ponti, Vigan, Portaluppi, nomi eccellenti, nomi scomodi.
        Tre architetti che, con le loro opere, hanno fatto dibattere molto. 
        Gli edifici principali della facolt d'architettura del Politecnico 
        di Milano sono opera loro.
        Personalmente, credo che le differenti lingue architettoniche dei tre 
        architetti abbiano creato una straordinaria sinergia di asimmetrie volumetriche, 
        sfondamenti ed aggetti. 
        L'edificio di Portaluppi avrebbe solo necessit di una sana pulizia 
        delle volumetrie. La massa muraria aggettante ne  l'elemento fondamentale: 
        averla sovrapposta ad una finestra a nastro indica la volont dell'architetto 
        di renderla indipendente, a voluta rottura di un sistema che, a prima 
        vista, poteva sembrare prestabilito. Elemento murario pieno, perpendicolare 
        al terreno, finestra a nastro, ulteriore pieno in forma di lastra perpendicolare 
        al terreno. Manca quest'ultima, dunque il processo stereometrico  
        interrotto, e ne nasce una volumetria che, sia nelle sue forme espressive 
        - la funzione aule a teatro ne  la genesi-, sia nella sua matericit 
        di pieno architettonico- che presupporrebbe l'appoggio al terreno- non 
        ha alcun riferimento alla tettonicit funzionalista.
        Elemento "sovvertitore" di un impianto planimetrico regolare 
        che, secondo schemi prestabiliti, avrebbe portato a progettare per piante 
        e per prospetti, in fasi diverse. Elemento "sovvertitore", pur 
        nascendo volumetricamente dalla sua funzione interna: le aule a teatro, 
        appunto.
        Vigan aggancia a Portaluppi volumetrie prismatiche ed incavi, 
        evitando quella che sarebbe stata una banale continuazione perimetrale 
        del muro pieno che marca l'angolo dell' edificio esistente.
        La traccia  sicuramente quella dei concetti espressi nell' Istituto 
        Marchiondi, linguaggio new brutalism egregiamente interpretato da Vigan 
        alla fine degli anni '50.
        Di sana pianta - fortunatamente- si abolisce ogni riferimento formale, 
        stilistico e tipologico, nel momento in cui si deve ampliare un edificio 
        esistente. Presa di posizione assolutamente incoraggiante, soprattutto 
        se vista nel tempo in cui fu presa, fine anni '70, quelli dei pasticci 
        stilistici. Guardando all'impianto del Trifoglio e della Nave di Ponti- 
        Vigan si trova davanti ad un precedente emblematico. Trifoglio 
        e Nave, due edifici che parlano s lingue di matrice comune, ma 
        di tonalit diversa. La facolt di architettura  
        un complesso funzionale che nasce per fasi successive, assolutamente personalizzate 
        dalla poetica dei singoli progettisti.
        Come non detto: leggo un articolo su L'Arca -"Luce contro buio" 
        - e mi ritrovo a dovere riconsiderare il tutto.
        Si parla del Citt Studi College, nuovo fabbricato attiguo alla 
        facolt di architettura. Se ne parla bene, a sottolineare quanto 
        tale opera sia " fuori dai moduli impersonali degli standard abitativi, 
        ma dentro un coinvolgimento esistenziale"; e se ne evidenzia la funzione 
        quale valore aggiunto allo sforzo di fare interagire vita del quartiere 
        e citt studi. Di contro, gli edifici della facolt vengono 
        identificati quali "...macchine inutili, ad attendere gli studenti 
        il prossimo luned". 
        Esultiamo: finalmente, grazie agli architetti Bruletti e Signorelli, citt 
        studi - ed in particolare la zona della facolt di architettura- 
        riacquista vitalit e "dimensione umana". Leggo meglio 
        e scopro che il sopralluogo in sito fatto dall'autore  avvenuto 
        di domenica mattina. Inizio a capire il perch della definizione 
        " presenze quasi metafisiche gli edifici vuoti". Capisco anche 
        da dove hanno preso spunto gli architetti autori del College. 
        Straniazione, silenzio, introspezione, sono ci che trasmette il 
        nuovo edificio, grazie soprattutto alla "grande quinta bianca, solcata 
        da fenditure da cui s'intravedono i corridoi dei percorsi d'accesso alle 
        camerette". 
        Proprio camerette, disposte a schiera e distribuite da un corridoio. Funzionalmente 
        impeccabile: cellule da 11 mq , con bagno comune. Cellule che avrebbero 
        avuto ciascuna la propria finestrella aperta di fronte alla parte di facolt 
        progettata da Vigan. La funzione avrebbe condizionato il prospetto, 
        dunque si decide di scindere le parti. Non nascendo dalla progettazione 
        dello spazio interno, il volume architettonico avrebbe dovuto adeguarsi 
        alla funzionalit delle funzioni. Che fare per occultare l'incapacit 
        di pensare allo spazio quale generatore dell'architettura? Nasconderlo! 
        Inizia il lavoro pi impegnativo: vestire la sposa, anche se racchia 
        e piatta.
        Che fare del rapporto con l'edificio di Vigan? Come comportarsi 
        con gl'incavi e le volumetrie prismatiche che si trovano sull'altro lato 
        dell'isola pedonale? Imbarazzante. Forse la soluzione che i progettisti 
        credono la migliore  "contrapporsi" ( io devo ancora 
        capire che significhi questo termine in architettura. Perdonatemi), dunque 
        si prende a prestito la grande quinta bianca, " una sorta di megafiltro 
        di protezione, che ripara la residenza dalla strada". Paradossale: 
        siamo in uno dei pochi siti pedonali esistenti in citt e gli architetti 
        rinunciano a legare spazialmente l'edificio con la citt stessa. 
        L'isola pedonale tra la facolt e il College  un vero e 
        proprio sito in divenire, che si trasforma a secondo degli orari e delle 
        condizioni atmosferiche. E' una piccola piazza dove nascono iniziative 
        spontanee, dalla vendita ambulante ai volantinaggi. Il College, che doveva 
        creare interazione tra citt studi e vita del quartiere, si chiude 
        in se, mostrando la "sonata" ( ?!) della grande quinta bianca.
        A questo punto, l'edificio di Vigan, fronteggiato e provocato 
        - cos come ci dice l'autore dell'articolo su L'Arca- inizia a 
        spaventarsi, a tremare di paura ed a chiedere scusa di esistere. In fondo, 
        altro non  che
        " ...una sorta di piccolo Beaubourg nero all'italiana". Su tale 
        definizione, credo che ogni commento sia inutile.
        Ad ogni lettore, le personali considerazioni.
        L'angolo dell'edificio tra via Bonardi e Via Ampere  un campionario 
        di citazioni: setti inclinati, volumi regolari bianchi, finestrelle funzionali 
        alla destinazione dei locali che si affacciano su strada, pietra, rame 
        cristallo. 
        " Punto, punto e virgola, punto e un punto e virgola! " diceva 
        Tot dettando una lettera a Peppino, aggiungendo: " lascia 
        fare, se no dicono che siamo provinciali, siamo tirati..." .
        Altro che "dissonanza urbana": qui siamo a livelli di esercitazione 
        stilistica, lontana da ogni ricerca linguistica contemporanea, soprattutto 
        se consideriamo quanto oggi il problema dell'architettura non sia pi 
        esclusivamente di "linguaggio", ma abbia contenuti diversi, 
        rintracciabili nella nuova considerazione della citt quale paesaggio. 
        Un nuovo rapporto che relazioni sinergicamente architettura ed ambiente.
        Nel College di Bruletti e Signorelli non c' niente di ci. 
        
        Inutile cercare di scrivere se non si sa leggere; ancora peggio cercare 
        di fare i poeti.
        Desidera il lettore capire realmente che tipo di edificio  stato 
        spazialmente concepito? Semplice: basta spostarvi sul retro della stecca 
        e sar chiaro che la facciata verso via Ampere altro non  
        che un mascheramento. Il retro? Semplicemente una serie di piani sovrapposti 
        con le bucature dei muri corrispondenti alle camere, anzi, alle cellule 
        tipo. Tutto qui. Ma, purtroppo, non  poco. 
	
	(Paolo G.L. Ferrara
	 - 4/8/2001)
	
	
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Commento 307 di Silvia M. del 14/04/2003
Ponti, Vigan, Portaluppi, nomi eccellenti, EDIFICI SCOMODI.
Io studio alla facolt di architettura del politecnico di Milano; Io sono l' utente principale e, se vogliamo, anche un "indiretta committente" (poich pago le tasse) della 'straordinaria sinergia di asimmetrie volumetriche, di sfondamenti, di aggetti' prodotta dalle 'tre differenti lingue architettoniche'.
Sono convinta di essere la pi accreditata a renderne una critica compiuta (leggi opinione/ punto di vista). Si riassume in un pensiero: provate a fare tre ore di lezione 'negl' incavi e volumetrie prismatiche' progettate da Vigan e non ve ne fregher pi nulla 'del linguaggio new brutalism egregiamente interpretato', vorrete solo tornare alla vostra villetta di provincia progettata da un geometra di provincia dove, per, nessun pilastro nero sta tra voi e il televisore.
Questi edifici NON FUNZIONANO e per questo sono disonesti e incoerenti con uno dei principi fondanti dell architettura. Sono sbagliati. Se l' architettura un atto etico che richiede rispetto dell' uomo questi edifici sono immorali.
Non posso ammettere che per inserisi in modo originale in un dialogo architettonico tra addetti ai lavori - per quanto costruttivo e raffinato - si perda di vista la natura dell' architettura.
Nessun critico dell architettura per quanto accreditato, colto, corretto pu smentire questa verit empirica talmente evidente che non mi fermer nemmeno ad elencare gli errori di progettazione che li affliggono.
Per quello che ho potuto sperimentare fino ad ora una delle maggiori difficolt del progettare coniugare in modo ottimale e coerente le due personalit della architettura: l arte e lutensile, l artista e il tecnico.
So di affermare una banalit ma lo far comunque: un architettura non solo una gigantesca e costosissima scultura cava da contemplare, osservare, confrontare, interpretare, criticare. Non sta dentro ad un museo, dove va a cercarla solo chi interessato o addetto ai lavori o sufficientemente erudito da saperla leggere fino in fondo per quanto ostica. L architettura fa lo spazio perch questo possa essere utilizzato, possa essere funzionale ai fini umani. E lo spazio su questo pianeta di tutti: di Vigan e dei suoi estimatori, ma anche di chi non sa nulla del new brutalism, anche di che non daccordo.
L unica verit sulla quale tutti (Vigan e i suoi estimatori, chi non sa nulla del new brutalism, gli studenti di architettura, e anche Paolo GL) si devono trovare daccordo che nessuno riesce a vedere attraverso un pilastro nero che si interpone tra lo sguardo e la lavagna.
Questo il mio modo di leggere le opere architettoniche: funziona? Si. No. Perch.
E certo che un opera architettonica non funziona solo perch ha dei corretti rapporti areo-illuminanti, percorsi logici, e pilasti a posto.
Un architettura funziona se raggiunge lo scopo per cui stata concepita, se dichiara il suo significato, se comunica (con qualsiasi linguaggio architettonico che la storia o il futuro propongano) il suo perch.
Per questo motivo il College di Bruletti e Signorelli si merita tanto sarcasmo quanto ne spetta ai decantati dirimpettai: cos muto rispetto al contesto in cui inserito che solo recentissimamente mi sono reso conto della sua destinazione e nonostante abbia informato alcuni compagni di corso sulla verit svelata molti sostengono ancora le seguenti tesi: sono uffici ; un teatro; una scuola privata. Questo edificio non funziona affatto, nonostante sia funzionalmente impeccabile con le cellule da 11mq e il bagno comune, perch non risponde in nessun modo all intento di creare interazione tra citt studi e vita di quartiere, perch non ha nemmeno provato ad innovare la concezione dello spazio, privo di ogni ricerca linguistica contemporanea che parli il linguaggio del suo tempo.
14/4/2003 - Paolo GL Ferrara risponde a Silvia M.
Smentire la Sua verità sui pilastri...sarebbe volersi arrampicare sugli specchi, dunque non lo farò. Ero studente al terzo anno quando mi trovai seduto nei banchi "minimal" senza potere neanche scrivere... perchè non ci stava un quaderno. Nel 1986 frequentai proprio il corso del Prof.Viganò e non fu un rapporto sereno (uso un eufemismo...). Ci scontrammo spesso, anche sulle questioni riguardanti la funzionalità della nuova ala del Politecnico da lui progettata. Ma desidero dirLe che quelle famose aule erano state pensate per essere destinate a spazio di lavoro (grandi banchi per progettare, una sorta di spazi laboratorio) e non per farci lezione e proiezioni), tant'è che Viganò pretese nella sua aula proprio i grandi banchi da lavoro. Potremmo discutere ore sui concetti di Viganò, ma questa è un'altra storia che però, ovviamente, non toglie nulla alla Sua contestazione/constatazione, di cui accetto la sostanza ma non la forma: il mio articolo è stato costruito sulle affermazioni di quello pubblicato su l'Arca, cercando di spiegare il rapporto urbanistico-spaziale tra gli edifici. Vede, a prescindere dal fatto che funzionino o meno, le architetture del Politecnico rappresentano comunque un passaggio importante nella storia dell'architettura italiana. Detto ciò, è assolutamente legittimo metterne in risalto le pecche, ma attenzione all'uso dei termini: definire "disonesta" e "immorale" un'architettura implica una spiegazione ancora più approfondita. Le chiedo di fare del Suo commento un articolo da pubblicare su antiTHeSi, perchè lo spirito del nostro giornale è proprio questo: ricevere critiche sul nostro operato. Cordialità
Commento 360 di Angelo Errico del 23/06/2003
L'edificio che sta di fronte al Politecnico di Vigan con la sua A in metallo color rosso sull'ingresso principale o secondario (non s' mai capito), nasce dai resti di un cinema e di un'oratorio.
Ci sono in via Ampere due linguaggi, due stili a dialogo, come due grammatiche ed analisi logiche appartenenti a due popoli differenti. Ci vuole un traduttore per cos dire. Ma forse nessuno dei due "personaggi", desidera socializzare e dialogare. Allora che ciascuno resti nel suo. Se vogliamo per fare comunella col Politecnico, non possiamo pensare di farla franca dicendo che l'idea era un'altra. In principio ci sono le idee, le fantasie, le lungimiranze e in questo tutto un centrifugato in continuo circolo. Quando per si deve dare concretezza alle idee, alle fantasie, alle lungimiranze, il minimo che si chiede la coerenza, altrimenti inventeremmo auto che non servono per essere guidate, giradischi che poi non funzionano per suonare il vinile, e via giustificando di sto passo del cervello e della sua evoluzione che ne facciamo? Lo buttiamo in una pattumiera che non magari adatta per contenere i rifiuti?
Se invece voglia appartenere al circolo del College, quel che
del design come concetto del fare e del creare un oggetto oggi lo anche di un edificio, con la novit del guscio. Non c' pi quindi interazione tra struttura portante e contenuto portato. Questo non proprio un male, di cui temere l'incancrenirsi della forma, ma il traslato del principio con cui Pininfarina (non me ne voglia) crea le auto in architettura. Gusci che sono decisamente eccelsi per le auto, ma essenzialmente gusci. Il motore lo inventa qualcun altro. La meccanica di altre menti. E cos avviene in architettura. Quinte sceniche, gusci pi o meno fantasiosi, schermi in ogni facciata laddove c' una facciata esistente.
Se si va a vedere in Sicilia la casa del farmacista di Purini, si comprender come veramente gradevole lavorare con le facciate senza scadere nel decoro allo zucchero glassato.
Angelo Errico
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