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Commento 300 di Fausto D'organ del 19/03/2003


CI SONO UNA QUINDICINA DI GUERRE IN QUESTO MOMENTO SUL NOSTRO PIANETA. E' QUESTA UNA CERTEZZA LATENTE NEL NOSTRO QUOTIDIANO AFFOGATO D'IMPEGNI ED IPERTESO: POCHI DI NOI UTILIZZANO QUALCHE SECONDO DELLA GIORNATA PER PENSARCI. VIVIAMO NEL DANNO CHE INCONSAPEVOLI PROVOCHIAMO IN QUANTO ESSERI UMANI: UN DANNO POLIMORFICO E INARRESTABILE; UN GRIGIORE PERENNE CHE CI COPRE LA VITA. VITA CHE SCORRE INQUINATA. VITA CHE E' OPACIZZATA DA MILIONI DI CARCASSE DI ERRORI E DELITTI... ANTITHESI, TRA LE TANTE, SAREBBE LA CARCASSA MENO IMPORTANTE; SAREBBE LA VITTIMA ARBITRARIA MENO PREZIOSA.
UNA LEGGERA E MOMENTANEA AMAREZZA MI COGLIEREBBE, MA, SAREBBE IL TEMPO DI UN CLIC. LE AMAREZZE CHE INTORPIDISCONO LO SPIRITO SARANNO PER NOI TUTTI, SEMPRE E COMUNQUE, ALTRE.

LUNGA VITA AGLI ANTITHESIANI.

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Commento 301 di Carlo Sarno del 22/03/2003


Papa Giovanni Paolo II
"Mai pi la guerra, Signore"
-Preghiera per la Pace -
Dio dei nostri padri,
grande e misericordioso,
Signore della pace e della vita,
Padre di tutti.
Tu hai progetti di pace
non di afflizione,
condanni le guerre
e abbatti l'orgoglio dei violenti.
Tu hai inviato il tuo figlio Ges
ad annunziare la pace
ai vicini e ai lontani,
a riunire gli uomini
di ogni razza e di ogni stirpe
in una sola famiglia.
Ascolta il grido unanime dei tuoi figli,
supplica accorata di tutta l'umanit:
mai pi la guerra,
avventura senza ritorno,
mai pi la guerra,
spirale di lutti e di violenza,
minaccia per le tue creature
in cielo, in terra e in mare.
In comunione con Maria,
la madre di Ges
ancora ti supplichiamo:
parla ai cuori dei responsabili
delle sorti dei popoli,
ferma la logica della ritorsione
e della vendetta,
suggerisci con il tuo Spirito
soluzioni nuove,
gesti generosi e onorevoli,
spazi di dialogo e di paziente attesa
pi feconde delle affrettate scadenze
della guerra.
Concedi al nostro tempo
giorni di pace.
Mai pi la guerra. Amen.




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Commento 302 di Bob Dylan del 26/03/2003


Venite voi signori della Guerra
Voi che costruite tutte le armi
Voi che costruite gli aeroplani che portano la morte
Voi che costruite le grosse bombe
Voi che vi nascondete dietro a spessi muri
Voi che vi nascondete dietro alle scrivanie
Io riesco a vedere oltre le vostre maschere

Non avete fatto mai nulla
Tranne che costruire per distruggere
Voi giocate con il mio mondo
Come se fosse il vostro giocattolino
Voi mi mettete in mano una pistola
E vi nascondete perche non vi veda
E correte piu lontano
Quando volano gli ultimi proiettili

Come Giuda
Voi mentite e dissimulate
Una Guerra mondiale non puo mai essere vinta
Ma voi volete che io ci creda
Ma io vedo attraverso I vostri occhi
E vedo nel vostro cervello
Cosi come vedo attraverso lacqua
Che corre via dal mio lavandino

Voi preparate I grilletti
Perche qualcun altro spari
Poi vi sedete e state a guardare
Quando il conto dei morti cresce
Vi nascondete nelle vostre tenute
Mentre il sangue dei giovani
Scorre dai loro corpi
E e sepolto nel fango

Voi avete sollevato la paura peggiore
Che non puo mai essere scacciata
La paura di mettere dei figli
Al mondo
Per aver spaventato il mio bambino
Mai nato e senza nome
Voi non valete
Il sangue che scorre nelle vostre vene

Cosa so io
Per parlare cosi
Direte che sono giovane
Direte che sono uno stolto
Ma ce una cosa che so
Per quanto io sia piu giovane di voi
Neppure Gesu
Perdonerebbe mai quello che voi fate

Lasciate che vi chieda una cosa
Vi piace davvero cosi tanto il vostro denaro?
Vi comprera il perdono?
Pensate davvero che potrebbe?
Credo scoprirete
Che quando la morte riscuotera il suo tributo
Con tutti I soldi che avete fatto
Non riuscirete a ricomprarvi lanima

E spero che voi muoriate
Spero che muoriate presto
Io seguiro la vostra bara
Nel pallido pomeriggio
Vi guardero mentre verrete calati
Nella vostra fossa
E staro sulla vostra tomba
Finche non saro certo che siate
Morti.

Titotlo originale: Masters of War
Bob Dylan, "The freewheelin' Bob Dylan", 1963

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Commento 303 di Pierluigi Di Baccio del 04/03/2003


L'Iraq al centro della crisi mondiale: per farla finita con il mondo arabo.
(di Selim Nassib)

Quali che siano i pretesti addotti dall'America per attaccare l'Iraq (e per instaurare sullo slancio la democrazia nella regione), questa guerra possibile soltanto a causa delle condizioni deplorevoli del mondo arabo. caduto il muro di Berlino, l'Unione sovietica solo un lontano ricordo, il pianeta entrato in una nuova era, ma il mondo arabo rimane disperatamente uguale a se stesso. Che i regimi dispotici vi siano largamente dominanti, non ha nulla di particolarmente originale. Altre regioni del pianeta hanno vissuto periodi pi o meno prolungati di tirannia. Ma qui gli anni passano senza che le societ arabe generino nel loro seno movimenti di massa a favore della libert, della democrazia, della modernit. Monarchie anacronistiche e regimi militari pi o meno camuffati continuano ad occupare il potere, incontrando come unica opposizione consistente i movimenti di ispirazione islamista. L'unica libert di scelta che sembrano avere gli arabi quella fra diverse forme di oppressione.
In Occidente, alcuni traggono la conclusione che l'islam in quanto tale contenga un germe anti-democratico, e come prove d'appoggio si citano alcuni versetti del Corano. Secondo questa atmosfera, che va ben oltre gli ambienti razzisti, l'arretratezza degli arabi sarebbe dovuta agli arabi stessi, alla loro mentalit, alla religione che hanno inventato e diffuso, alla loro mancanza di cultura politica, e via dicendo. A tutto questo gli arabi ribattono che loro non c'entrano per niente, e che stato l'Occidente (il colonialismo, l'imperialismo, Israele) ad averli cacciati deliberatamente dalla modernit. Anche loro offrono frasi liberticide, tratte per dalla Bibbia e dai Vangeli, facendo capire che le crociate e l'inquisizione non erano poi tanto diverse dall'islamismo attuale. Soprattutto ricordano che, nel suo periodo aureo in Andalusia, l'impero arabo era stato un modello incomparabile di tolleranza, di scienza e di cultura. Fine del discorso.
Ma che sia colpa loro, colpa degli altri, o un po' l'una e l'altra cosa comunque essenziale rispondere a questo interrogativo: perch gli arabi da tanto tempo danno l'impressione di essere rinchiusi nel loro (glorioso) passato, e di non poter accedere al tempo presente?
un problema tutt'altro che retorico, visto che minaccia la pace del mondo. Qualche mese fa un quotidiano francese pubblicava l'articolo di un esperto americano, che affermava che il pianeta non poteva tollerare pi a lungo la paralisi della sua principale regione petrolifera.
Prevedeva che questa situazione di squilibrio sarebbe diventata inevitabilmente esplosiva e che l'Europa, di conseguenza, avrebbe dovuto riorientare la sua strategia militare per dotarsi dei mezzi necessari per intervenire nel mondo arabo. Confusamente, il presidente George W. Bush sta mettendo in pratica questa teoria, ma a titolo preventivo (cio sparando lui per primo).
In uno dei suoi video, Osama bin Laden affermava, con un giro di frase passato inosservato, che il mondo arabo era in declino da ottant'anni. Perch ottant'anni? Basta un rapido calcolo: risaliamo all'inizio degli anni '20, alla fine della prima guerra mondiale, al crollo dell'impero ottomano, all'intervento di inglesi e francesi nella regione. A quel tempo gli arabi erano usciti da quattro secoli di tutela turca, per essere ormai governati dagli infedeli. Il che spiega l'osservazione di bin Laden: non c' salvezza al di fuori del governo musulmano (il califfato).
Ma, a prescindere da quel che pensa tale individuo, gli arabi hanno digerito molto male quel passaggio da un'epoca all'altra. Prima vivevano, pensavano, andavano e venivano in uno spazio arabo senza frontiere, integrato all'impero ottomano. Il loro sovrano poteva ben dire di essere musulmano, ma era straniero, turco; il che era piuttosto umiliante per una comunit che aveva una cos elevata idea del proprio passato e della propria identit. E tuttavia, la comunit araba si adattava a tale dominio. La Sublime Porta (un bel nome, a met tra il secolare e il trascendentale) poteva anche, eventualmente, dar prova di grande crudelt, ma aveva comunque il merito di lasciare in pace i suoi sudditi, e di lasciare che gestissero da s i loro affari, purch gli fornissero in contropartita uomini e denaro. Una volta pagate le imposte e inviati i figli nell'esercito, gli arabi di Beirut, di Damasco o di Gerusalemme erano a posto, pi o meno. Il potere politico risiedeva altrove, non dovevano preoccuparsene loro. Raggruppati in famiglie, clan, comunit, regioni, alleanze, erano arabi di Palestina, del Libano, della Siria, senza che il loro paese d'origine costituisse per loro una nazionalit. Gli intellettuali arabi, da parte loro, erano consapevoli che l'impero ottomano declinava irrimediabilmente, a tutto vantaggio di un Occidente dalla superiorit e dalla bramosia quanto mai manifeste. Per raccogliere la sfida avevano avviato, fin dalla fine del XIX secolo, un grande movimento di rinascita culturale e politica, la Nahda, in cui si fondeva la volont di riformare l'islam, di trasformare la societ e di ritrovare le fonti vive che avrebbero finalmente permesso agli arabi di far parte del mondo moderno. In termini politici, finalmente tutto ci si traduceva nella necessit di liberarsi del dominio ottomano.
Stante che tale emancipazione non poteva avvenire sotto il vessillo dell'Islam (in quanto l'impero turco era anch'esso musulmano), doveva necessariamente avvenire in nome di un nazionalismo arabo in gestazione, che radunasse musulmani, cristiani e laici.
Abilmente manovrato dagli inglesi (tramite Lawrence d'Arabia) e dai francesi, questo desiderio d'indipendenza si rivel abbastanza forte da far sollevare gli arabi al momento giusto contro i loro padroni musulmani, contribuendo alla caduta dell'impero ottomano. Ma il grande stato arabo indipendente promesso come contropartita, con tutta evidenza, non arrivato puntuale all'appuntamento, e la Gran Bretagna ha aggravato la situazione promettendo di favorire la creazione di una patria nazionale ebraica in Palestina. Raggirati, vinti, feriti, gli arabi si sono messi in cammino verso la modernit tanto agognata, carichi di amarezza.
Ben presto, sono state tracciate frontiere sulle loro terre, sono stati creati paesi diversi. Hanno dovuto abbandonare la loro rappresentazione di se stessi, quella di sudditi di un sovrano, per accoglierne un'altra, quella di cittadini di uno stato-nazione (sotto mandato britannico o francese). Perch il mandato? Ufficialmente per guidare per mano questi giovani paesi all'indipendenza loro promessa, per formarli, inquadrarli, dar loro istituzioni democratiche e farli entrare gradualmente nel tempo moderno.
Dalla Nahda alla Nakba Anche in un quadro cos frammentario e restrittivo, il vento sollevato dalla Nahda continua ancora a soffiare. Saad Zaghlul, modernista e liberale, padre dell'indipendenza egiziana, inquadrava formalmente la sua azione in tale contesto. Negli anni '20, il grande scrittore egiziano Taha Hussein osservava che Oriente e Occidente erano due rami di un medesimo tronco: la civilt greca. Grazie all'Andalusia araba, questa eredit era arrivata fino all'Occidente, che si era sviluppato abbeverandosi alle sue fonti. In compenso, il ramo orientale non aveva potuto crescere, a causa dell'occupazione straniera (turca e britannica) e adesso il mondo arabo doveva recuperare il tempo perduto e procedere a tappe forzate verso un modernismo d'Oriente in grado di proporsi come partner del modernismo occidentale.
Non tutti erano d'accordo con Taha Hussein: vi era anche chi riteneva che la Nahda, il Rinascimento arabo, implicasse un ritorno alla lettura pi rigorosa dell'islam. Ma l'interpretazione progressista era quella dominante. Nel complesso, il mondo arabo si mostrava particolarmente desideroso di integrarsi nel mondo.
I motivi per cui non riuscito a farlo sono certamente molti e diversi.
Ma il motivo privilegiato dagli arabi stato la homeland nazionale ebraica, il progetto britannico integrato dalla Societ delle nazioni al mandato della Gran Bretagna sulla Palestina. Israele non era ancora stato creato, e gi la sua realt virtuale era una rivale fatale presso l'Occidente tanto amato. Era necessario vestirsi, coltivarsi, votare, sottoporsi ad assemblee elette, rispettare il diritto come in Europa (alla quale ci si diceva tanto vicini) e nello stesso tempo bisognava subire senza batter ciglio (sotto la guida di dirigenti pi o meno venduti ai britannici) quel che si presentava come la scandalosa negazione del diritto e una spoliazione rampante della Palestina.
Nel 1948, allorch viene proclamato lo stato di Israele, gli arabi hanno l'impressione di essere spinti per l'ennesima volta fuori dal mondo. Il vergognoso compromesso firmato con Hitler da Hadi Amin el-Husseini, allora leader dei palestinesi durante la seconda guerra mondiale, li ha completamente screditati. In tale contesto, tutte le simpatie e il senso di colpa internazionali sono andate naturalmente agli sventurati superstiti dell'Olocausto, e non rimasto nulla alla popolazione palestinese, i tre quarti della quale erano stati praticamente costretti all'esilio per effetto della nascita di Israele.
All'antico risentimento arabo di essere stati ingannati all'indomani della prima guerra mondiale, si aggiunto allora un risentimento ancora pi bruciante. Partito dalla Nahda, il Rinascimento, il primo grande tentativo arabo di far parte del mondo, si spezzato i denti sulla Nakba, la catastrofe palestinese.
stato un terremoto che nel giro di dieci anni ha spazzato via la maggior parte dei regimi e delle monarchie del tempo, ritenuti responsabili della sconfitta della Palestina. Il punto di partenza stato l'Egitto, paese in cui la rivoluzione fa salire al poter

Tutti i commenti di Pierluigi Di Baccio

 

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