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Commento 670 di >>Isabel Archer
18/2/2004


Corsi e ricorsi storici
Domus, n. 51, marzo 1932.
"Morte e vita della tradizione".
E opinione comune che modernit significhi mortificazione della tradizione.
La tradizione mortificata invece dai pigri profittatori di essa. Da qui la decadenza delle arti, proprio per opera inconsapevole di fedeli della tradizione, che poi la vanno a ficcare, gelosi a comodo loro, anche dove (come in tante attivit e tecniche doggi) tradizione non esiste, o dove (come in certe nostrane industrializzazioni che datano dalla fine dellottocento, vedi tappeti) la tradizione sarebbe limitazione o contraffazione di modelli esotici.
La tradizione, per noi, pi che nella forma mutabile, nella gloria delle arti, nella mira degli spiriti: il carattere che deriva allespressione artistica dalla natura di una razza sicuramente incancellabile; non questo snaturamento da temere, da temere solo la decadenza di quelle viventi energie che creano via via gli elementi della grande tradizione.
Ora, se essa ha da essere per noi un prestigio da servire perch sia conservato ed accresciuto, alle sole energie viventi, cio moderne, che la tradizione stessa infallibilmente si raccomanda.
Senza lapporto di queste energie, proprio quelle arti, che parrebbero pi salvaguardate dalle pure forze della tradizione, sicuramente decadono; e decadono non per mancanza di modelli, di regole, di musei e di trattati, ma per mancanza dellintervento di artisti doggi. Questi artisti hanno in s le forze ed il destino di ci che si chiamer la tradizione, essi soli ne sono i depositari.
Acutamente stata notata gi questa fatal presenza in alcune opere nostre moderne. Ed essa viva non nelle fabbriche ma solo negli artisti che quelle opere han create: nei laboratori donde essi han tratto rivoluzionariamente queste nuove produzioni, la tradizione giaceva corrotta e tradita.
Le forze che operano nella tradizione sono occulte, di volte in volta le individuiamo anche dove non ci apparvero presenti: ma esse operano attraverso i pi vivi: la tradizione fatta solo di autenticit. Vicinissimi le sono ed ardentemente la servono non quanti se ne giovano, ma quanti invece, avendo per se e per le proprie opere alte e severe ambizioni, incorruttibile spirito, danno perdutamente alla espressione di se stessi e del loro tempo, tutta la propria energia, tutta la propria passione.

Gio Ponti


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Commento 666 di >>Irma Cipriano
16/2/2004


IN RISPOSTA A VILMA TORSELLI.
Innanzitutto vorrei chiarire che il discorso direttamente sfociato in un ambito prettamente linguistico e filosofico. Si parla dunque di Interpretazione e quindi di Ermeneutica. Credo che le cose stiano pi o meno cos. Se discutiamo di Traduzione penso per prima cosa che non si possa parlare assolutamente di Falso bens al massimo di Tradimento, cosa del tutto differente. Ma il tradimento insito in ogni cosa che facciamo allora, perch non potremo mai essere altro da noi stessi.
Lilluminismo aveva dichiarato che in claris non fit interpretatio, ovvero le cose sono normalmente comprensibili e latto di Interpretare avviene solo quando si di fronte a qualcosa di oscuro. Ma viene da s che oramai questInterpretazione oramai obsoleta nella nostra cultura. Di fatti Schleiermacher , partendo da un contesto prettamente antropologico e difficilmente non condivisibile, affermava che Gli altri sono essenzialmente un mistero per me, di modo che ogni loro espressione, non solo quella consegnata allo scritto, ma altres ogni comunicazione orale dotata di significato, pu essere fraintesa. Questo avviene tra persone di stessa lingua e, pi o meno, cultura. Figuriamoci quando si comunica e si produce pensiero tra lingue diverse e culture differenti!
Da questo, come dir poi Dilthey, viene che ogni comprendere sia interpretare.
Ma Interpretare significa per noi, oggi, intendere il senso e non di gi esprimerlo. Il linguaggio trascendentale, che piaccia o meno. Ci non vuol assolutamente significare che una parola, o meglio un sinonimo valga per un altro, anzi. Ma se teniamo conto della difficolt a Interpretarsi anche tra esseri che parlano la medesima lingua.! Il traduttore lunico mezzo che abbiamo per poter avvicinarci a ci che altro da noi e che non possiamo comprendere. Inoltre cosa non da poco se pensiamo che in moltissimi casi autore e traduttore lavorano insieme quando c da trasporre unopera in altra lingua. Ci ovviamente non avviene se lautore morto anni prima che avvenisse latto della traduzione. In questo caso vorrei citarLe uno scritto di Umberto Eco riguardo la Traduzione, scritto quando il suo editore aveva a lui proposto di tradurre il Montecristo di Dumas: .. Dumas non era forse autore che lavorava in collaborazione? E perch no, allora, in collaborazione con un proprio traduttore di cento anni dopo? Dumas non era forse un artigiano pronto a modificare il suo prodotto secondo le esigenze del mercato? E se il mercato gli chiedesse ora una storia pi asciutta, non sarebbe il primo ad utilizzare tagli, accorciature ellissi? Il traduttore pu snellire, aiutare il lettore a seguire pi velocemente le vicende, quando per istinto avverte che la lungaggine, il giro di parole, non hanno alcuna funzione n trattengono alcun profumo dal tempo. [] Non si tratta di guadagnare spazio, ma di rendere la lettura pi agile, di saltare di fatto quello che il lettore automaticamente salta con locchio. E in questo si aiutati non solo da ridondanze che il francese impone e litaliano evita, talora come regola e spesso come norma ( per esempio molti soggetti, e i possessivi), ma anche dal fatto che certe espressioni cerimoniali, consuete e nella lingua e negli usi della societ francese dellepoca devono sparire nellitaliano proprio per ragioni di fedelt allo spirito del testo. Tanto per fare un esempio, un ringraziamento in un dialogo tra due persone di bassa condizione suona in francese come merci monsieur, ma in italiano deve diventare un semplice grazie, perch un grazie, signore farebbe sospettare un rapporto di ossequienza che non nellintenzione dellautore n nelle connotazioni della lingua. Si potrebbe obbiettare che questo fenomeno si verifica in ogni traduzione italiana da qualsiasi testo francese: ma in un libro come questo dove i merci, monsieur si sprecano per le ragioni gi elencate, il risparmio conta ed incide sulla leggibilit. Io aggiungo: unoperazione del genere viene sempre fatta in narrativa, proprio per questioni di rispetto per la lingua ( anzi, per entrambe le lingue ) e di volont di significato che lautore ha voluto dare alla sua opera. E se ci accade per la letteratura e anche per le opere scritte in genere, accade ancora di pi per ci che concetto espresso in forma e colore, spazio e luce come pu essere per larchitettura e per larte in generale, visto che queste sono codici ancor meno codificati della scrittura. Se non si traducesse, o neanche ci si provasse, la maggior parte delle opere che oggi abbiamo non esisterebbero perch chi scrive impara anche da tutti gli autori che egli ha letto, di qualsiasi lingua fossero. Se non ci fosse la traduzione- per esempio se Joyce non avesse letto Svevo- magari non avrebbe scritto determinate cose. Noi oggi non potremmo leggere gli scritti di Wright o di Van Doesburg se non conoscessimo bene linglese o lolandese. Magari non sono del tutto fedeli, anzi, sicuramente non lo sono. Ma a quale prezzo avremmo pagato questa presunta fedelt?
Ma di certo io di questo non so nulla, quindi smetto di parlarne.


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16/2/2004 - Vilma Torselli risponde a Irma Cipriano:
E' vero, il discorso scivolato in ambito prettamente linguistico, come la sua scolastica trattazione ben evidenzia, e le confesso che a me personalmente non interessa pi di tanto. Oltretutto quello che intendevo esporre nel mio scritto (mi illudevo che si capisse), semplicemente il concetto che il trasporto acritico "trans loca et tempora" di linguaggi del passato un'operazione passiva che non pu che nuocere alla cultura in generale.
Ci che sostengo inoltre, e da cui non mi sposto, che la traduzione pu alterare talvolta in modo molto significativo il senso del testo, potendo tuttavia ognuno scegliere di correre il rischio di recepire concetti "non del tutto fedeli", pur di recepirli.
Dico per che bisogna essere coscienti della possibilit di mistificazione ed esercitare il dubbio, una delle prerogative che pi incisivamente distinguono l'uomo dagli animali. Tutto qua.


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Commento 664 di >>Irma Cipriano
16/2/2004


Sembra incredibile, ed io per prima me ne stupisco, ma per una volta sono totalmente daccordo con Di Baccio. Non posso difatti assolutamente accettare che si dica che la traduzione falsit.
Certo, un'opera tradotta non dar mai la stessa lettura dell'originale. Ma oltre alla linguistica in s ci sono anche i contenuti, parte assolutamente non da trascurare. E se un traduttore bravo e scrupoloso, credo che possa solo dare un ottimo contributo all'opera in questione. Se cos non fosse ci sarebbe del tutto preclusa ogni tipo di cultura che non corrisponde alla nostra. E questo sinceramente lo trovo aberrante. Non posso credere che qualcuno vorrebbe una situazione di questo genere. L'abilit dell'uomo sta anche nel riuscire a trasmettere agli altri idee, pensieri, forme, immagini che per forza di cose non ci appartengono e non possono appartenere a tutti, sia per questione di incomunicabilit linguistica e formale, o pi genericamente culturale. Se cos non fosse sguazzeremo nella nostra stagnante autocelebrazione .


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16/2/2004 - Vilma Torselli risponde a Irma Cipriano:
Ciò che, secondo le più recenti teorie della traduzione o traduttologia, che è una vera e propria scienza, non è possibile rispettare quando si attua una traduzione è il concetto di "equivalenza", che sembrerebbe di fondamentale importanza in un'operazione che Catford J. C. A. definisce "sostituzione di materiale testuale in una lingua [...] con materiale testuale equivalente in un'altra lingua ".
In estrema sintesi, è parere condiviso da molti studiosi del campo che decidere cos'è un equivalente è estremamente difficile, perché ci si scontra con il problema della mancata corrispondenza di categorie grammaticali (parti del discorso) tra lingue (specificatamente russo, francese e inglese), problema evidenziato dal classico esempio: My father as a doctor - Mon père était  docteur - u menja Otec byl doktor .
Io so ben poco di questa scienza, e forse lei ne sa meno di me, ma è evidente che, comunque si voglia definire il termine "equivalente", l'inglese "a" non ha equivalenti, ed infatti nel testo russo non c'è equivalente traduttivo dell'articolo indeterminativo inglese. In casi come questo, che lei capisce essere estremamente frequenti, l'equivalenza può essere stabilita solo ad un rango più alto, ossia di gruppo .
"Sul piano scientifico, ciò dovrebbe indurre a creare un modello diverso, che non si basa sulla parola come unità traduttiva minima, ma su frammenti di testo maggiori. Questo, purtroppo, non avviene", sono parole di Bruno Osimo, docente di traduzione, che riprendono Catford quando dice: "Le voci della source language che occorrono spesso di solito hanno più di un equivalente nella target language nel corso di un testo lungo".
Concludo con altre parole di Osimo che mettono in evidenza quel tanto di arbitrario che sempre c'è in una traduzione e che, in misura minima o consistente, falsifica il significato originario del testo tradotto:"........ quando in una traduzione incontriamo la parola X, nel 60% dei casi la traduciamo con la parola Y. Sempre che non vari il tipo di testo. Sempre che non vari l'argomento. Sempre che non vari l'autore. Sempre che non vari l'epoca storica. Sempre che non vari il registro. Sempre che non vari la collocazione.....".
Insomma, nel passaggio da un prototesto ad un metatesto intervengono sempre delle variabili ineliminabili che non impediscono certo l'osmosi culturale, ma che ancora una volta ci invitano ad affrontare criticamente ciò che la storia, la tradizione e la traduzione ci tramandano.



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Commento 662 di >>Pierluigi Di Baccio
15/2/2004


Gentile Vilma Torselli,
mi sembra pacifico che noi due la pensiamo in maniera alquanto diversa. Non condivido infatti la sua radicale negazione di utilit e valore all'attivit della traduzione: lei forse eccede in formalismo nel momento in cui pretende dalla traduzione una oggettivit e neutralit intrinsecamente impossibili.
E' per me ovvio e nient'affatto scandaloso che tradurre un testo, una lingua altra, operazione culturale prima ancora che tecnica: l'interpretazione personale non solo inevitabile ma necessaria, nella cornice comunque di un atteggiamento scientificamente filologico. Accanto alle regole sintattiche, alle questioni fonetiche, persiste sempre e comunque il compito arduo di rendere accessibile appieno il significato del testo, che spesso si compie oltre la sua valenza semantica primaria.
"Il rischio incombente quello della soggettivit della traduzione, che diviene cos una interpretazione personale e quindi un falso. Personalmente credo che la traduzione non possa che nuocere ad unopera letteraria, che nasce legata alla sua lingua"... Lei parla di Falso laddove semplicemente si tratta di essere consapevoli che la sensibilit del traduttore componente indissolubile e anzi valore aggiunto, che bisogna saper riconoscere e valutare.
La responsabilit forse in chi legge piuttosto che in chi scrive: siamo noi a dover sapere che quando leggiamo una poesia come "Aspettando i barbari" di Costantino Kavafis nella traduzione di Filippo Maria Pontani in realt leggiamo per il 40% Pontani e non Kavafis. E' quel 40% che possiamo agilmente riconoscere leggendo la stessa poesia nella traduzione di Eugenio Montale...
L'opera di traduzione dunque permette, anzi richiede, il contributo attivo di sensibilit e scienza del traduttore che in ci finisce per esprimere una parte della propria originalit: alla luce di questo scorretto dire che la "traduzione avrebbe ritardato lo sviluppo e lespressione dei caratteri architettonici autonomi di una cultura indipendente e libera".
Ricordiamoci d'altronde che la letteratura latina nasce come traduzione di originali greci e questo non le impedisce di svilupparsi in maniera autonoma e originale, sviluppando anche nuovi generi letterari rispetto alla tradizione ellenica.


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15/2/2004 - Vilma Torselli risponde a Pierluigi Di Baccio:
Il fatto che le sembri "pacifico che noi due la pensiamo in maniera alquanto diversa" mi conforta molto, significa che è possibile sviluppare pacificamente, appunto, una dialettica serena e costruttiva seppure all'interno della pluralità e della diversità delle opinioni.


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Commento 657 di >>Pierluigi Di Baccio
14/2/2004


La lettura dell'articolo di Vilma Torselli mi suggerisce due riflessioni:
1. sulla TRADUZIONE
Non mi pare corretto affermare che la traduzione rappresenta una operazione "che in campo culturale rischia sempre di essere [...] inutile dietrologia e [...] sterile rassegnazione intellettuale". L'autrice dimentica che l'esercizio della traduzione ha rappresentato e rappresenta uno sforzo creativo e cognitivo di dimensioni a volte sovrumane, e mi riferisco certo all'ambito letterario e della poesia, laddove grandi traduttori si sono rivelati di fatto e prim'ancora grandi scrittori o poeti loro stessi. La traduzione, fin dai tempi dei Settanta che tradussero la Bibbia dall'aramaico al greco della koin, atto fondamentale per la circolazione delle idee e la crescita di intere civilt: non sviliamola, dunque. Tradurre non copiare, partecipa appieno di quel senso del passaggio ragionato e della conversione, anche traditrice, da un prima a un dopo.
Saremo tutti d'accordo, spero, che la tra-duzione in ambito nord europeo degli stilemi del rinascimento italiano stata foriera di eventi architettonici fondamentali per la storia delle citt europee (Parigi, Londra, etc.), non certo indice di "rassegnazione intellettuale".
2. sulla DIALETTICA OPPOSITIVA
Per tradurre bisogna conoscere ci che si traduce, per tradire bisogna conoscere ci che si tradisce: creare il nuovo, senza conoscere il vecchio, impresa impossibile. La tradizione tesoro di conoscenza, come dice Vilma Torselli, solo se non si relega la Storia a figlia illegittima, negletta e dimenticata. Lo scontro artificioso e banalizzante fra il culto della frattura da una parte e il culto della continuit dall'altra produce a parere mio solo una vittima, la conoscenza.


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14/2/2004 - Villma Torselli risponde a Pierluigi Di Baccio:
1. sulla Traduzione
ci che mi pare contestabile, nellattivit di traduzione, proprio lo sforzo creativo e cognitivo di dimensioni a volte sovrumane poich, essendo spesso i grandi traduttori.. grandi scrittori o poeti loro stessi il rischio incombente quello della soggettivit della traduzione, che diviene cos una interpretazione personale e quindi un falso. Personalmente credo che la traduzione non possa che nuocere ad unopera letteraria, che nasce legata alla sua lingua non solo concettualmente ma anche letteralmente e foneticamente , se invece la traduzione la migliora, bisogna sospettare.
Ricordo un mio vecchio professore di greco che ci faceva tradurre Omero e poi confrontare la nostra traduzione con quella di Vincenzo Monti (gran traduttor dei traduttor dOmero, che traduceva dalla traduzione latina non conoscendo il greco), facendoci cos scoprire versi onomatopeici che in origine non lo erano affatto, metafore inventate, significati addomesticati, povero Omero!
Non sono certa che la tra-duzione in ambito nord europeo degli stilemi del rinascimento italiano stata foriera di eventi architettonici fondamentali per la storia delle citt europee se penso, per analogia, a Palladio ed alla traduzione in inglese dei suoi quattro libri dellarchitettura, che hanno introdotto nel nuovo continente stilemi non tanto europei quanto francamente palladiani.
Ebbene, mi chiedo cosa sarebbe accaduto se anzich Palladio, per caso avessero tradotto, che so, il Vasari: oggi la Casa Bianca sarebbe probabilmente in stile rinascimentale e anche in questo caso una malaugurata traduzione avrebbe ritardato lo sviluppo e lespressione dei caratteri architettonici autonomi di una cultura indipendente e libera che avr bisogno dellopera dirompente di Wright per configurarsi ed affermarsi.
Chiss che anche il Nord Europa non abbia perso loccasione per articolare un suo originale linguaggio architettonico, come sarebbe accaduto senza il condizionamento degli stilemi del rinascimento italiano!

2. sulla dialettica oppositiva
.. non mi pare che si debba discutere, non ho mai negato che la tradizione vada conosciuta, analizzata e criticamente revisionata, senza proporsi aprioristicamente lintenzione di operare una frattura o una fusione con il passato.



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