Hopeless Monster (Night at the museum)
Oggi il 3/9/2017
Storia e Critica
Hopeless Monster (Night at the museum)
di Ugo Rosa - 8/11/2010
"Di filosofia non neppure il caso di parlare; si moltiplicano in compenso i trattati dastrologia: pi numerosi delle ragnatele dun castello in rovina."
Johann George Hamann, Aesthaetica in nuce

Il rapporto con il nuovo ha il proprio modello nel bambino che preme i tasti del pianoforte alla ricerca di un accordo ancora mai ascoltato, inviolato. Ma laccordo c sempre gi stato, le possibilit di combinazione sono limitate, in realt tutto si trova gi nella tastiera. Il nuovo lanelito verso il nuovoSe lutopia dellarte si compisse sarebbe la sua fine temporaleCi lampante per larchitettura: se per saziet per le forme funzionali e per la loro totale adeguatezza, volesse abbandonarsi alla fantasia sbrigliata, essa cadrebbe subito nel Kitsch. Come la teoria, larte non pu concretizzare lutopia, nemmeno negativamente. Il nuovo, in quanto crittogramma, limmagine del tramonto; solo mediante lassoluta negativit di questultima larte esprime linesprimibile, lutopia.
Theodor W. Adorno, Teoria estetica

Quello che avevamo creduto il regno della rarit, delleccezionale e dellinsolito, delloriginale e dellirripetibile ci si presenta invece con i connotati esattamente rovesciati dellabbondante, del ripetibile, del comune, del prevedibile e del banale. LEccezione diventa la Regola. E la regola non prevede regole, non conosce confini, ignora ogni limite. Si fonda infatti su un accreditato e diffuso principio estetico: quello secondo il quale la sola norma del Linguaggio Poetico la violazione di una norma contro cui tutti ancora si accaniscono, ma che ormai nessuno conosce. Nellapoteosi finale della sua ubriachezza, luniverso culturale che si autodefinisce poetico nega levidenza della propria sparizione, del proprio suicidio per troppo ottimismo. La qualit pura si rovesciata in pura quantit.
Alfonso Berardinelli, Lesteta e il politico. Sulla nuova piccola borghesia.


Nel bellunanimismo (oppure nel circospetto glissare) che abbraccia questultima scenografia della Hadid c qualcosa di sinistro.
Da ogni parte esaltato il suo rango di opera darte ed in funzione di questo che alledificio volentieri perdonato ci che a unarchitettura non si dovrebbe perdonare: il fatto cio che, troppo occupata a cantare, lei per prima, le sue lodi, finisce per dimenticare la minuscola verit che non per questo che unarchitettura viene al mondo.
Certo, va riconosciuto: i benefici che allestimenti urbani di questo genere apportano a quella che si definisce limmagine della citt che le ospita sono evidenti.
Roma, in tal modo, si sistema finalmente la page con unopera che accudisce, accarezzandolo, perfino lego dellutente dei mezzi pubblici e gli mostra con bella evidenza come anche lui, che si sposta in tram, possa apprezzare lavant-garde.
Dire dunque, come sto per fare io, quello che questo edificio rappresenta per chi ritiene che larchitettura debba, in primo luogo, servire diventa puro autolesionismo: se non lo fai per invidia, allora sei un passatista ovvero, senza mezzi termini, un oscurantista (ambedue eufemismi per intendere che hai perso, insieme allultimo treno, anche la testa e sei ormai un barbone che vive fuori dal mondo e dal suo tempo).
Uniformarsi, insomma, non perch altrimenti per te c il bastone, il rogo o lolio di ricino (che sarebbe ancora una sorte non disprezzabile) ma perch questa appare ormai lunica cosa che ancora abbia senso e, se non lo fai, sei matto.
Cos come accade in ogni campo.
Dato che fuori dalluniformit, oggi non sembra esserci che il nulla.
Cos la critica italiana, che dellessere aggiornata e del non farla mai fuori dal vaso si fa un punto donore, dopo aver segnalato che chi si contenta gode, che meglio un uovo oggi che una gallina domani, che a caval donato non si guarda in bocca e che ogni lasciata persa, ha, con lerudizione e la forza iconoclasta che tutti le riconosciamo, approfondito il suo giudizio con riflessioni come: lerba del vicino sempre pi verde, ogni scarrafone bella mamm soja e il mondo bello perch vario.
Dopo queste ponderate considerazioni, e appurato che a noi chi ce lo fa fare, la critica non sembrerebbe ulteriormente interessata alla questione del Museo nazionale delle arti del XXI secolo recentemente inaugurato a Roma (con uno di quei deliziosi nomignoli che, come Miuccia, Pigi, Bobo o Papi tengono in s come uno scrigno prezioso tutta lItalia doggi Maxxi).
Visto, dunque, che sembrano avere finito, adesso pu passare la nettezza urbana, ma prima che arrivi il furgone, pur sempre il turno di quelli che, come me, frugano nellimmondizia.
Siccome da qualche parte dobbiamo pur cominciare, allora cominciamo dalle parole che qualche tempo fa scrisse Pio Baldi, direttore per i beni culturali della Campania e presidente della fondazione che gestir il Maxxi nei tempi a venire:
Ledificio di Zaha Hadid talmente straordinario, che abbiamo deciso di inaugurarlo due volte - dichiara Pio Baldi - la prima, vuoto come non sar mai pi, animato dallinstallazione coreografica di Sasha Waltz. La seconda, nella primavera del 2010, con le opere darte che dialogheranno a volte armoniosamente, a volte per contrasto - con le forme estreme dellarchitetto Hadid.
A volte armoniosamente e a volte, voi capite, per contrasto, perch, insomma, non se ne esce: se non sei vivo, allora, vuol dire che devi essere morto.
Ma se, per ipotesi, questi cazzo di quadri non si volessero fare esporre e opponessero resistenza? In tal caso si ricorrer alle maniere forti, come precisa in unaltra incantevole intervista lo stesso Pio Baldi facendosi prestare le parole direttamente dallispettore Callaghan:
In tal caso li appenderemo al soffitto oppure li stenderemo sul pavimento.
E quando parla uno che oltre a dirigere presiede, allora bisogna sempre prenderlo sul serio perch alle parole forse seguiranno i fatti.
Piuttosto che incamminarmi verso lombra minacciosa proiettata da questa profezia biblica, per, io vorrei volgermi indietro alla prima delle due straordinarie inaugurazioni con cui stata varata questarca che trasporta al suo interno, a due a due, tutte le bellezze e le bont dello zeitgeist.
Codesto sarcofago che custodisce letica e lestetica dei tempi nostri non stato inaugurato, cos come dovrebbe capitare alle sale espositive, con una mostra, bens facendo da scenografia a un balletto: http://roma.corriere.it/roma/...
E il sarcofago, come si pu vedere, era effettivamente privo della mummia, vuoto come non sar mai pi dice il nostro Pio Baldi (e non si pu fare a meno di cogliere una nota di rimpianto nelle sue parole).
Vuoto, perch nulla infastidisse con elementi estranei lintenso rapporto coreografico tra danza e scenografia (Sasha Waltz ha gi usato il Museo di Berlino di Libeskind per una sua coreografia e, siccome non c due senza, tre e lei non mica scema, vedrete che alla prossima toccher a un qualche sarcofago di Koolhaas).
Pu darsi che il caso abbia giocato un ruolo determinante in questa inaugurazione coreografica, io non lo soma so che non poteva esserci un cominciamento pi gravido di destino e presago di futuro.
E neanche di pi profondamente giusto.
Giusto perch conforme a ragione e adeguato al nomos delledificio.
Giusto in quanto espressione del suo carattere pi profondo ed eco della sua voce pi propria.
Giusto, insomma.
La consacrazione della cosa dunque avvenuta nel migliore dei modi.
Perch nulla, meglio di unazione coreografica, poteva consacrare un allestimento scenografico concepito e edificato al fine di ospitare azioni coreografiche.
Qualcuno, se non qui altrove, deve averlo capito.
E ha provveduto.
Dopo aver ascoltato la voce profetica di colui che ha presieduto e diretto Die Weihe des Hauses, ascoltiamo ora la voce pi modesta, ma non per questo meno degna dascolto, di chi costituisce il punto terminale di quelle profezie: lorecchio attento e perspicace cui esse sono dirette. Quello dellutente medio di architettura e mostre darte.
Ecco un commento (da internet) che ho scelto per la concisione con cui squaderna tutti quei concetti dordinanza senza i quali, sospetto, il genere non avrebbe mercato:
Nel tono usato dall'autore dell'articolo sul Maxxi ci si riferisce a un articolo nel quale lautore, molto sensatamente si era permesso, senza per questo mettere in dubbio neanche per un momento lartisticit del malloppo, di avanzare dei dubbi sulla funzionalit dellinsieme e sui suoi costi di gestione - si intravedono le tipiche paure e perplessit che gli italiani abbiamo nei confronti del nuovo. Architetture rivoluzionarie come il museo di Bilbao di Gehry o altre opere di Zaha Hadid, creano in molti (architetti sopratutto), un moto di ribellione a quello che un modo contemporaneo di intendere l'architettura. Infatti viviamo in anni in cui dinamismo e velocit, grazie anche alla tecnologia, fanno parte del nostro quotidiano. E quindi giusto che ci sia trasferito anche nell'architettura. Ma molti architetti sono stati "addestrati" a costruire il mondo con statici cubi o solidi elementari, quindi spesso non capiscono le nuove dinamiche forme delle nuove costruzioni. La gente invece dimostra di apprezzare queste novit architettoniche, e si vede dal successo di nuovi musei e strutture culturali. Quindi io dico che bisognerebbe mettere da parte certe chiusura mentali dovute a limiti "visivi" e a lasciarsi trasportare dalle fluide correnti della nuova architettura che poi sono simili ai nuovi flussi dinamici delle nostre esistenze.
Dal tono e dalla terminologia del nostro soggetto arguisco che si tratti di architetto o aspirante, ma direi che la sua professione non di primaria importanza, come non lo la sua competenza specifica.
Ci su cui desidero indirizzare la vostra attenzione il fischio di pallottole come Fluido, Dinamico, Velocit, Nuovi Flussi Dinamici dalla cui emissione, senza neppure lo sforzo di prendere la mira, deriverebbe una conclusione critica che, se non di primo pelo, ha per tutta la tinteggiatura adatta a farla sembrare appena uscita della catena di montaggio.
E, vi prego di notare, tutte quelle parole sibilano come scudisciate dirette a dare una lezione indimenticabile al malcapitato intenzionato a negare che la cosa in questione, insomma, sia un capolavoro dellarchitettura, o ci si avvicini assai.
Ora io vinvito a una rapida scorribanda su internet alla ricerca di pareri nettamente contrari.
Temo che faticherete a trovarne.
Io, almeno, non ci sono riuscito.
A parte qualche sporadico (e sempre timidissimo) tentativo di richiamare lattenzione sul fatto che il presepio costato 150 (centocinquanta) milioni di euro e che, a quanto pare, gestirlo coster un fottio, ferma restando la fluidit, si va da concetti come opera capace di trasformare la nostra idea di architettura a opera in grado di tradurre limmaginazione in immagine e limmagine in architettura da un modo unico di relazionarsi al contesto fino allerotismo puro di spazi in grado di infondere piacere.
Quasi sempre ci si estasia sulla bella sensualit dellinsieme e sul flusso di emozioni che ne deriva.
Tutto questo di estremo interesse e, paragonato alla crociata portata avanti senza alcun timore del ridicolo (ricordo, en passant, il proclama di un personaggio al di sopra di ogni sospetto di competenza come Alemanno sullabbattimento delledificio di Meier e la raccolta di firme per un referendum che avrebbe dovuto farne uno sfacelo) quando si tratt di ergersi contro la follia modernista costituita dal museo dellAra Pacis, potrebbe apparire sorprendente, o per lo meno strana.
In realt non penso che questo cambiamento di temperatura sia spiegato solo dalla differenza dei contesti (il museo dellAra Pacis sta un pochino pi al centro dellaltro).
Roma daltra parte (come Venezia e ogni altra Sacra Citt dItalia tanto quanto linfimo buco di provincia) ha in pieno centro una miriade di porcherie che sono state costruite, a fianco a fianco a Intoccabili ed Eterni Monumenti dello Spirito, negli ultimi decenni da ingegneri, geometri e architetti di ogni risma senza che nessuno ci facesse caso.
Credo invece che a giocare il ruolo decisivo siano proprio le diverse caratteristiche formali dei due manufatti e, ad ogni modo, proprio lindagine su questo che dovrebbe, mi pare, interessare una critica degna di questo nome.
Prendiamo le reazioni di un medesimo personaggio (anche lui esente, per cos dire, da ogni responsabilit e del tutto privo di competenza in materia ma proprio per questo rappresentativo dellopinione media, e dei media, intorno a questi argomenti) sulle due architetture.
Ecco il signor Sgarbi che tuona da Il Giornale del 22 aprile 2006 sul progetto di Meier:
Punta Perrotti! Punta Perrotti! Punta Perrotti! E questo il grido a cui i cittadini di Roma affidano i loro auspici per una soluzione futura, non troppo futura, che ripari allo scempio dellAra Pacis, inaugurata ieri con insolente e beffarda coincidenza con il Natale di Roma Il tono, come si vede, quello dellappello Dannunziano per riprendersi Fiume in armi, e la soluzione futura sarebbe, ovviamente, quella finale: labbattimento, costi quel che costi, di quella che definita, facendo ricorso a unimmagine potente, una pompa di benzina texana (si noti lefficace battuta da barzellettiere Berlusconiano, quellumorismo sul mericano che, in quanto tale, o zio Tom oppure John Wayne, anche se nella fattispecie pi Newyorker di Woody Allen e sembra il professore con la pipa e le toppe ai gomiti di una Campus novel).
Per quanto invece riguarda il centro di arte contemporanea della Hadid, DAnnunzio se ne rimane al Vittoriale e il tono si fa comprensivo e colloquiale, con (perfino) qualche venatura di lusinga: http://tv.repubblica.it/...
In questo caso, il noto personaggio televisivo non preconizza alcuna soluzione finale (la funzionalit delloggetto andr semmai verificata nel tempo, il che vuol dire che gli si augura lunga vita) ma si premura immediatamente di accettare lincarico, offertogli la carte, di consulente per le acquisizioni del museo!
Questopera appare anche a lui (che, stando alla Hadid, aveva scambiato i pilastri per allestimenti artistici): a suo modo straordinaria.
E appare tale perch innegabilmente artistica, semmai solo il suo esserlo troppo a meritare un rimbrotto.
Nel caso del Museo dellAra Pacis, invece, le cose non stavano cos.
L, a fare difetto, era infatti proprio il gradiente di artisticit.
In quel caso, infatti, larguta definizione del giornalista darte fu, come s letto, una pompa di benzina texana.
Il fatto che quel Nuovo che nella scenografia della Hadid solo rappresentato viceversa presente, e dunque fastidioso, dirompente e provocatorio, nel progetto in apparenza assai pi pacato, di Richard Meier.
Ed questo, e non certo la rappresentazione patinata di un nuovo fasullo, scenografico, conformista e sostanzialmente inoffensivo come quello del Maxxi, che fa andare in bestia un filisteo come Sgarbi.
Sarebbe difficile comprendere, altrimenti, la violenza delle crociate contro il progetto di Meier (che certo non difetta di sobriet e, semmai, fin troppo compassato) a fronte delle polveri bagnate con cui (non) si sparato questa volta.
Daltra parte non un vezzo tardo romantico il girare vorticosamente, degli autori e dei tifosi (anche quelli non del tutto sprovveduti) intorno a una parola come emozione (flussi emozionali, sensazioni ineffabili, dinamismi sensuali ecc.).
Questa parola, che per ogni forma darte rappresenta una corda sospesa su un abisso, sulla quale occorre saper camminare con capacit che non si acquisiscono certo a furia di sentimentalismo, in architettura diventa una polpetta avvelenata.
Basta leggere i resoconti giornalistici e le entusiastiche cronache dei blogger per verificare fino a che punto ci simmerga nel vortice delle emozioni: lo spazio di questi allestimenti (si parla sempre di spazio e questo per ragioni che non credo sarebbero piaciute n a Wright n a Zevi, ma solo perch parlando di spazio piuttosto che di muri, fenestrature, giunti, attacchi e dettagli che si pu dare, appunto, spazio alle emozioni, le quali difficilmente possono appigliarsi al telaio di una finestra e se lo fanno sembrano fuori luogo come quei babbi natale appesi ai balconi delle palazzine) lo spazio, dicevo, sempre fluido e complesso e ambedue questi aggettivi non sono usati, com sempre avvenuto, in maniera problematica riportandoli alla qualit delloggetto, bens sono ipostatizzati in giudizi di valore: uno spazio vale perch fluido e complesso e il resto secondario ma, pi spesso, irrilevante.
E infatti non sono riuscito a leggere un resoconto di questa cosa (da Casabella in gi) che non mi spiegasse quanto, questa cosa, fluida. Diamine, deve essere talmente fluida che lintelligenza non pu che scivolarvi sopra, smettere ogni funzione critica e sciogliersi in apologia idiota.
E sorprendente vedere come critici di architettura accreditati vadano in giro attraverso questo stupido accrocco sussiegoso, monumentale, inutile e follemente fatuo senza lasciare al buon senso quel tanto di spago per consentirgli di vedere ci che hanno sotto gli occhi: che questa dannatissima cosa non funziona e non funzioner mai se non a furia di raffia e silicone.
Magnifico affare per quello che costata.
Andr benissimo per il vernissage e come scenografia del balletto.
Meglio di niente.
Poi ci sar sempre il buontempone disposto a tirar fuori il Guggenheim di Wright: I soliti parrucconi! Pure l si disse che non era possibile appendere i quadri!.
La qual cosa una sciocchezza perch nel Guggenheim di Wright il rigore geometrico del percorso espositivo trapassa in funzionalit senza neppure una sbavatura, laddove qui non c passamano che non sbrachi nel melodrammatico tentativo di mutare ogni stecca in un do di petto.
E, senza offesa per nessuno, mi piacerebbe essere Dio per fare risuscitare un momentino Frank Lloyd Wright e chiedergli cosa ne pensa di questo paragone.
Scommetto che ci sarebbe da divertirsi.
La cosa pi rilevante che non c nessuno, proprio nessuno, tra quelli che frequentano studi e facolt di architettura (disegnatrici, segretarie e dame di compagnia) che faccia a meno, dopo la visita incantata, di tirar fuori le emozioni e i sentimenti.
Si conferma tristemente quello che scriveva Santayana:
Linclinazione al sentimento e alla suggestione evocativa, di cui fiero il nostro tempo, a scapito della bellezza formale, indica unassenza di cultura cos reale, ma inconfessata, come quella del barbaro che gozzoviglia in magnifica confusione.
Al contrario della barbarie autentica, per, questa da cui siamo afflitti adesso si agghinda come un cicisbeo e non riesce a trovare un barlume di autenticit neppure quando si stravacca e, dopo la gozzoviglia, d inizio alla gara di rutti. Perch a ogni inconveniente si premura di appendere un cartellino: Trattasi di simbolo, consultare il depliant acquistabile in foyer.
Perci siamo qui a prendere appunti.
Questa mia opera dice la Hadid, la cui genialit trova sfogo anche nel campo del pensiero puro, tanto che Time la pone al primo posto tra pensatori pi influenti del pianeta giunge a cavallo tra fluidit e astrazione.
Non possiamo dargli torto; che si tratti di unopera che giunge a cavallo salta agli occhi e che per fissarla in mente ci si debba barcamenare tra astrazione e (come dicevamo) fluidit cosa che non vale neppure la pena di sottolineare.
I pilastrini inclinati, per esempio, un pochino sono fluidi e un pochino sono astratti ma, in ogni caso, sono meravigliosamente originali (quasi) e, suppongo, servono a far s che questopera si collochi a perfezione nellurbanistica romana.
Daltra parte, come dice quel raffinato esegeta di Pio Baldi, se non sinserisce armoniosamente sinserir per contrasto e se non zuppa, allora, pan bagnato dal che si deduce che sbagliare impossibile e anything goes, tutto fa brodo.
In tutto questo flusso di sensazioni fluide, per, ci che va perso, insieme alla forza strutturante della funzionalit architettonica (che costituisce la spina dorsale senza la quale essa non esiste) la capacit dellarchitettura di formarsi e formare il mondo in vista delluomo, nonch lumilt necessaria a qualsiasi relazione con laltro che non sia di dominio.
Quel che rimane non solo inadeguato, ma anche, in barba alla violenza con cui si pretenderebbe di farlo esprimere, incapace di comunicare altro che la sua volont scenografica. Questo luogo ci si propone con la stessa cortigianeria leziosa di un rocaille rococ (forse non sono del tutto fuori luogo i richiami al barocco fatti da qualche simpaticone): luogo deputato al vernissage e, sospetto, sostanzialmente pensato per questo.
In tal senso i pilastrini vezzosamente inclinati che accolgono il visitatore non sono semplice fuffa come si sarebbe portati a credere. Essi sono piuttosto lululato di riconoscimento del branco e in essi c molto peggio che semplice idiozia: c la marea montante del vuoto mentale.
In questo genere di produzioni il sensazionalismo non un optional, ma ci che consente di provocare nellutente oramai anestetizzato quel sussulto emotivo che d a lui e a chi glielo provoca la sublime impressione di comunicare e di avere accesso allestasi dellespressione artistica.
Cos lutilizzatore finale, che non sarebbe in grado di notare alcuna differenza tra unarchitettura di Kahn o di Mies e la bella villa che gli ha disegnato il cugino geometra, qui non pu fare a mano di riconoscere lopera darte.
Tale riconoscimento per non ha alcuna valenza pedagogica (quellutente persister nellaffidare la sua villa alle cure del primo geometra che gli promette uno sconto sullaccatastamento) ma sar fondamentale al rendimento commerciale delloggetto riconosciuto.
Perch larte una bella cosa, ma il mercato il mercato.
Allora ecco che lopera darte non pu pi continuare a essere quello che sempre stata per secoli, cio luogo di apertura infinita alla conoscenza paziente e ambito della sua ineffabile e sempre fuggevole concretizzazione. Deve trasformarsi e diventare tale da poter essere divulgata presso il lettore di rotocalchi e il telespettatore e da lui immediatamente riconosciuta, inequivocabilmente, come Opera dArte.
Allora che unopera darchitettura sia arte senza darlo troppo a vedere (com sempre accaduto alle architetture e, segnatamente, a quelle del novecento: Tessenow, Loos, Mies, Le Corbusier, Wright, Aalto ecc.) non pi tollerabile. Potr, in tutta tranquillit, intendiamoci, non esserlo (in fin dei conti sono cazzi suoila privacy): ma dovr assolutamente sembrarlo con tutte le sue forze.
Notevole, in questottica, la questione (da qualcuno timidamente sollevata) relativa alla contestualizzazione delledificio della Hadid.
Intanto va detto che la giuria che ha giudicato il concorso deve essersi regolata, quanto a questo, sulla fiducia. I disegni erano infatti costituiti dal solito impasto di diagrammi scivolosi che sembrano avere passato al frullatore Tamara de Lempicka rimettendola in gara sotto forma di filamenti vagamente luminosi. Quelle scemenze tardo futuriste, insomma, assai appetite da chi, mostrando di apprezzarle, pu far finta di trottare al guinzaglio dei tempi.
La relazione era ancora meglio.
Un oscuro decotto in cui galleggiavano, presenze inquietanti, titoletti come Space Vs. Object, Institutional Catalyst, Walls/Not walls, purtroppo immediatamente spiegati a seguire con uno scilinguagnolo concepito apposta per gettare nel panico ogni forma dintelligenza.
Questa pietanza, condita di frasi fatte e filosofemi da liceale incallito che ha letto la prefazione del libro di testo del fratello universitario e ci campa di rendita fino allesame di stato, ha, comera prevedibile, sbaragliato ogni resistenza.
Ma per i giurati tutto, evidentemente, funzionava a puntino, il quartiere Flaminio aspettava da sempre questo manicaretto e sulla via Guido Reni non si sarebbe potuto concepire di meglio.
A me viene da ridere.
Non (tanto) per levidente dabbenaggine di chi abbocca quando La Hadid assicura, ammiccando, che The Center for Contemporary Art address the question of its urban context by maintaining an indexicality to the former barracks e va a consultare il dizionario per capire che cazzo significa indexicality scoprendo che vuol dire esattamente il contrario di quello che dicono i disegni, chiarissimi da questo punto di vista (e quello che allora poteva capire anche un cieco lo confermano oggi i boccheggiamenti di questo pesce mezzo asfissiato tra le baracche militari che sembra non vedere lora di tirarsene fuori definitivamente). No, questo fa parte della stupidit dei concorsi fasulli nei quali se non vince una superstar non abbiamo concluso niente (sto cominciando a rivalutare gli incarichi diretti: almeno la smetteremmo di fornire un alibi culturale ai soliti noti e ce la potremmo prendere con un politico ignorantevuoi mettere la soddisfazione?)
Quello che invece sorprende ancora una volta la codineria ipocrita con la quale ciascuno tenta di giustificare lingiustificabile senza assumersi la responsabilit n di quello che dice n di quello che fa.
Un architetto, quando si trova davanti al luogo del suo progetto, non inizia un processo di semplice lettura, comincia invece una danza che si muove dialetticamente tra lavere e il dare, tra il leggere e lo scrivere: va immaginando il progetto e, nel medesimo tempo, va immaginando quel luogo che, pure, ha sotto gli occhi come chiunque altro.
Il progetto, dunque, non un prodotto della lettura del luogo (concezione schematica e infantile che per anni, tuttavia, stata spacciata da pi di un professore come verit incontrovertibile) esso nasce, piuttosto, insieme al luogo stesso, cos come questo va dipanandosi (quasi come una pittura su rotolo) sotto gli occhi dellarchitetto.
Visione del luogo e visione del progetto devono essere una cosa sola e, in fondo, per un architetto non ci sono luoghi che preesistano ai suoi progetti.
E il mondo stesso che, per lui, vede la luce con larchitettura e lui non ne pu prescindere in nessun modo. Ed per questo che nessuna architettura pu fare a meno del suo luogo. La capacit dellarchitetto consiste nel lasciarli nascere insieme ma di farlo in modo che quel luogo e quellarchitettura appaiano una cosa sola.
E sempre stato cos e, per larchitettura, lo sar sempre. Per questo le grandi architetture vedono la luce insieme al loro luogo: non prima e neanche dopo.
Per le scenografie, invece, le cose stanno in maniera molto diversa.
E ogni volta sono esterrefatto da come si finga di non vederlo.
Esse, propriamente, non hanno alcun luogo, sono atopiche e non devono rispondere ad altro che alla immaginazione dellallestitore: e quello il loro vero luogo.
La fantasia la fa da padrona.
E non si tratta di errore o trascuratezza.
Deve essere precisamente cos.
Perch esse inventano un luogo che non esiste n mai esister se non, appunto, in un qualche immaginario; e, daltra parte, per rispondere al meglio al loro destino, devono proprio inventarlo dal nulla oppure vedrebbero insopportabilmente limitato il loro carattere produttivo, la loro poiesis.
La scenografia diventa infatti ci che (e, in teatro, sa essere arte) solo quando si libera fino in fondo da ogni remora mimetica o figurativa, cio da ogni luogo.
La differenza diviene lampante nel rapporto con la luce: larchitettura vede la luce e, accogliendola, ne accolta, la scenografia la flette, piegandola ai suoi fini che sono quelli della rappresentazione.
Larchitetto, dunque, conversa con la luce sapendo bene che la luce trascende di gran lunga ogni sua pretesa totalizzante, mentre lo scenografo la usa, illusionisticamente, in vista della sua rappresentazione.
In questa scenografia, per esempio, le lame parallele che corrono in alto sotto i lucernari servono a poco altro che a creare (anche tramite la declinazione della luce naturale) leffetto scenografico di fluidit che , dichiaratamente, il tema dellallestimento. Gli stessi intradossi di scale, ballatoi e travi, resi luminosi a furia di neon, hanno questo scopo e non importa se si tratta di una trovata degna di un centro commerciale o di un supermercato di periferia: leffetto prima di tutto.
Perch non importa niente se la forza di un muro, a teatro, fatta di cartapesta, n se dietro quella piramide c il fil di ferro, n muro n piramide sono in questione.
In questione la reazione del fruitore alla scarica di adrenalina.
Perch la scenografia deve puntare dritta alleffetto e non curarsi daltro perch sa benissimo che qui non , ne sar mai, in questione la vita bens la sua semplice rappresentazione.
Sta qui la forza dirompente della domanda loosiana sulla nascita e la morte in una camera da letto art nouveau, dietro la quale c la comprensione del senso profondo dellarchitettura e la consapevolezza e lorrore per la sua spoliazione, non una semplice idiosincrasia nei confronti degli arredamenti di Olbrich o di Van de Velde.
E lo stesso vale per la decorazione identificata come un crimine e per la violenta requisitoria contro i materiali finti, tutte cose equivocate spesso come moralismo: mentre anche qui la vera questione riguardava il senso dellarchitettura, non il suo essere pi o meno comme il faut.
Non si tratta di unarchitettura meno volgare o pi onesta, ma di unarchitettura che, in primo luogo, sia tale. Perch larchitettura non ci che appare n ci che ci pare, essa ci che (anzi, se parlasse la nostra lingua, potrebbe perfino dirci Io, carini, non sono e non sar ci che volete che io sia: io sar quel che sarcome ha detto di se stesso qualcun altro).
Questo genere di allestimenti, invece, nonostante le petizioni di principio (del tutto prive di qualsiasi supporto sensatamente verificabile, perch ogni disegno le contraddice e redatte, per lo pi, ad hoc e a uso di giurie di concorso sempre assai disponibili) non solo non tengono in alcun conto della struttura urbana nella quale occasionalmente trovano posto ma, addirittura, ne presuppongono la mancanza e, qualora essa tenacemente resista, devono (non per cattiveria o per stupidit, ma solo per poter semplicemente essere quello che sono e vogliono essere) fattivamente contribuire alla sua nullificazione. Devono in altri termini, per sopravvivere come opere darte e per rappresentarsi come tali, ignorare quella struttura urbana che si configurata sedimentando lentamente, accettando le secolari trasformazioni dellarchitettura, che a sua volta accettava a priori quella struttura. Perch adeguarsi a quel fondale richiede, per forza di cose, un rispetto e una pazienza che annullerebbe larbitrariet nervosa e iridescente di cui esse non fanno solo un vanto ma che individuano giustamente come loro carattere primario.
Lallestimento iperattuale non pu prevedere, infatti, alcuna forma di compromesso verso qualcosa che lo trascenda perch esso si pone come elemento di decisione assoluta alla quale tutto il resto si deve adeguare. Perci ridicolo mettersi a discutere di contestualizzazione poich, per contestualizzarsi, occorre relazionarsi e per relazionarsi necessaria disponibilit al dialogo e capacit di mettersi in discussione e di mettere in discussione ogni stile preconfezionato per il mercato dellarte. Larchitettura moderna aveva, nella sua rinuncia allo stile, fatto della capacit di relazionarsi uno dei suoi capisaldi, forse il pi importante, perch, attraverso quella rinuncia, si apriva al possibile e al dialogo con il presente.
Con liperattuale si cassa questapertura e si capisce il perch: lindividuazione, la personalizzazione, il marchio di fabbrica sono diventati prioritari e non possono essere messi a rischio. Senza quel logo, infatti, non esisterebbero n Zaha Hadid, n Koolhaas, n Libeskind, come non esisterebbero Armani, Versace e Kelvin Klein.
Nessuna contestualizzazione pensabile se, come primo gesto di ogni progettazione, io devo autenticarmi come creatore originale contro quel contesto nel quale fatalmente potrei mettere in gioco la mia stessa originalit (se il mio gioco non fosse truccato).
La stessa cosa vale per la funzione.
Il Kimbell di Kahn, il museo a crescita illimitata di Corbu e il Guggenheim di Wright funzionano perch, nella mirabile diversit che li contraddistingue, nascono, tutti e tre, in funzione. Non prendono a pretesto una committenza intimidita e molle per imporre creativit a bizzeffe, essi si costruiscono costruendo una funzione, si configurano concretizzando il loro compito che diviene il loro nome e il loro destino.
Certo anche il loro stile, infine, inequivocabile ma raggiunto e non imposto.
In questo genere di allestimenti, viceversa, la funzione (nome, cifra e destino dellarchitettura e unica sua ragione di esistere) agonizza e muore male, perch tutto (e deve essere, perch ne va della sopravvivenza del loro logo, di gran lunga la cosa pi importante, lunica che li stare sul mercato) finalizzato a nasconderla.
Ci che il moderno aveva eletto a programma (che una casa o una fabbrica non fingessero di essere un tempio) viene effettivamente negato e si ritorna allindifferenza beaux-arts nei confronti della funzione. Ma mentre la vecchia accademia, triangolando ancora nellambito della triade Vitruviana, riteneva necessario appoggiarsi a unimmagine ancora architettonica (cosa che, del resto, le era imposta anche da una tecnica costruttiva ancora tradizionale e, per cos dire, non emancipata) questi accademici iperattuali si liberano, grazie ad una pratica ingegneristica compiacente e follemente anabolizzata a furia di milioni, anche da questultima necessit.
Quello che essi mettono in discussione non dunque il fatto che un edificio dichiari apertamente la sua funzione bens, in modo pi radicale, che un edificio appaia tale.
Ci che essi, in altri termini, negano allarchitettura il suo presentarsi come architettura.
Essa, per giustificarsi come opera darte deve, nei loro allestimenti, rappresentarsi libera da ogni remora miseramente funzionale ma poich questo impossibile, la finzione va, almeno, mimata scenograficamente.
Rampe, scale, vetrate, pilastri e travature del tutto insussistenti dal punto di vista funzionale fluidificheranno lo spazio e lo renderanno adatto a quel godimento estatica che si qualifica come lo stadio iperattuale di quella percezione distratta individuata da Walter Benjamin.
Solo che cos facendo si violenta il nucleo pi segreto dellarchitettura e se ne asporta il senso.
La violenza con cui questi stilisti stuprano la costruzione fino al parossismo deriva sempre dal tentativo di strappare larchitettura al suo senso mutandola in qualcosaltro.
Non importa il modo, ci che conta tirarsi fuori dalla regola ferrea che impone ad ogni architettura di rispondere alla chiamata della sua funzione come ad un destino.
Questo edificio, lo sappiamo tutti, non un museo, al pi (e nel migliore dei casi) accondiscender, molto di malavoglia, ad esserlo.
Cetaceo arenato sulla spiaggia del tempo verr immesso a tranci nel mercato dellarte, e venduto a peso al migliore offerente come istallazione a scala gigantesca: come tale sar recepito, commentato e fruito.

* * *

Resta per unultima cosa, che sarebbe stata la pi facile da notare e che invece i nostri critici sembrano non avere neanche subodorato.
Questo macchinoso accrocco amaramente, definitivamente, sconsolatamente outdated.
Fuori tempo massimo e ahim, anche fuori moda (che per un oggetto di haute couture , direi, fatale). Basta collegarsi alla rete e aggiornarsi sullo stato dellarte che questarca immane ci appare come un relitto spaventoso di epoche preistoriche di cui ormai non siamo in grado di capire bene, se non per proiezione storica, nemmeno le funzioni primarie.
Se, nella massa obesa di Roma, gli si pu assegnare un ruolo (ecco un modo per contestualizzarlo) quello di funzionare a perfezione come lente dingrandimento. Infatti, non si pu negare questo straordinario risultato urbanistico-culturale: grazie a questo coso il contenitore dellAra Pacis e la chiesa di Meier oggi rifulgono di nuova luce e, nobilmente, giganteggiano sotto il sole romanolauditorium di Piano, magari, un po meno per, al confronto, ci fa pur sempre la sua porca figura.
Il suo futuro da depliant per gite turistiche, ad ogni modo, gi passato da un pezzo.
I Jetsons sono diventati Flinstones ma i critici darchitettura non se ne sono accorti e continuano, come le scimmiette meccaniche, a battere le mani.
Finir che, come al solito, dovranno togliergli le pile per farli smettere. Se ne vanno in giro con il loro bicchiere (mezzo pieno) tra i salatini del vernissage in attesa della prima portata e ancora non hanno capito che non ci sono pi scorte e le derrate sono esaurite.
Li guardo, con la loro cravatta allentata come quella di Umberto Bossi, e mi mettono addosso la stessa tristezza delle rotonde sul mare a febbraio, quando lunica cosa che ci trovi sono le cacate dei gabbiani.
Questa cosa puzza di cadavere lontano un miglio, una carcassa arenata sulla spiaggia, talmente datata che sembra gi una bestia estinta e per rendersene conto non neppure necessario essere esperti di economia politica e neppure di architettura, basta lasciar perdere Minzolini, sintonizzarsi su radio Londra e sentire che cosa sta succedendo.
Tra un po si dovranno approntare dei contenitori adeguati per le scorie edilizie (radioattive) di questi ultimi ventanni di ubriacatura iperattuale i cui costi sono stati spaventosi, dal punto di vista economico, certo, ma soprattutto da quello culturale. Se gi difficile computare iI debito pubblico i cervelli in poltiglia sfuggono a ogni tentativo di censimento: non ci sono numeri che bastino a quantificarli. E stata peggio di una guerra atomica, solo che gli architetti lhanno condotta in salotto a furia di brindisi e tartine al caviale.
E alla fine, vigliaccamente, non gli resta che sperare che a pagare il conto sia qualcun altro.

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