Storia e Critica 2 - Verità storica e verità dei fatti
di Sandro Lazier
- 1/8/2001

Credo che un punto di partenza debba
essere chiaro: nessuno di noi vuol mettere in discussione la realtà
e verità dei fatti storici che sono provati e documentati in modo
rigoroso.
La critica e la riflessione che voglio sollevare riguarda il modo di tenerli
insieme, di raccontarli e scriverli all'interno di una struttura che abbia
un qualche nesso con la nostra necessità di dare giudizi.
E' un fatto vero che durante il primo novecento sono stati costruiti edifici
privi di decorazione e attenti sostanzialmente al funzionamento degli
spazi interni e dei suoi elementi costruttivi. Altra cosa è sostenere
che tutti questi edifici possano essere compresi nella definizione "architettura
funzionalista" e occupino una precisa posizione nella linea temporale
che rappresenta il nostro attuale modello di storia, con un prima e un
dopo, dove il dopo è nuovo solo se esclude il prima. L'assenza
di decorazione, nel nostro caso, diviene sinonimo di modernità
e l'attenzione per l'ornamento diventa gesto arcaico e gratuito; anche
quando nessuno dice che l'ornamento del funzionalismo è nella privazione
di ogni ornamento e che il fine di questa privazione è patrimonio
di quei pochi che della decorazione hanno goduto i privilegi.
Questa abitudine di costruire la verità storica - linearmente,
senza contraddizioni - non è diversa dal modo con cui si realizza
il romanzo ottocentesco: un inizio, una trama evidente, una fine, tutto
coerentemente costruito e strutturato. Non è diverso, inoltre,
dal modo con cui si narra la mitologia greca, dove la verità dei
fatti sfido chiunque a ritenere fondata. Ma il nesso che relaziona questi
fatti, veri per quanto riguarda la storia, o falsi per quanto riguarda
i miti e le leggende, è l'autentico movente della nostra volontà,
quindi coscienza, quindi capacità di giudicare.
La nostra coscienza ha bisogno di una trama che tenga insieme il passato
e la possibilità di un futuro possibilmente migliore e, per questa
necessità, il mito è molto meglio di un insieme di fatti
realmente accaduti. Meglio ancora quando il mito riferisce fatti e accadimenti
veri, ma la sostanza non cambia: la tradizione è racconto, la storia
non è altro che racconto.
Ma che tipo di racconto?
Se vogliamo dare credito alla destrutturazione tentata dai postmoderni
- per i quali fatti e accadimenti storici possono venire utilizzati liberamente
per realizzare nuovi racconti senza data - non siamo immuni dalla condizione
di dipendenza dalla narrazione, malgrado il racconto del tutto nuovo scritto
con vocaboli vecchi. Ci troveremo impantanati in una sorta di storicismo
senza storia in cui l'unica evidenza è la falsificazione della
medesima.
Se, invece, la dislocazione dei fatti e la decontestualizzazione che ne
succede viene intesa non in forma ristrutturata (quindi come nuovo racconto)
ma tali fatti vengono assunti quale prova evidente di un modo altro di
raccontarne il nesso, probabilmente ci si affrancherà dalla deformazione
caricaturale e dalla falsificazione cui sembrano destinati gli stessi
fatti ogniqualvolta ne decidiamo l'attualità.
In tale senso penso alla "Controstoria dell'Architettura" di
B. Zevi. Con la parola controstoria Zevi pone in luce il problema non
della storia ma del modo di raccontarla. I fatti sono veri, gli edifici
citati esistono tutt'ora (quasi tutti), ma il nesso che determina il racconto
non è il loro succedersi articolato nel tempo ma la necessità
di riscrittura, di azzeramento linguistico, di nuova consapevolezza in
cui l'autore o gli autori si sono abbandonati prima di poterli realizzare.
Consapevolezza che ogni opera comunica linguisticamente e che, quindi,
necessita di riscrittura. Ho detto abbandonati perché ogni azzeramento
presuppone crisi, rinuncia, abbandono. Abbandono, soprattutto, del conciliante
e rilassante racconto di una umanità la cui vicenda, per qualcuno,
parrebbe già scritta, come se già esistesse la trama e mancassero
solo gli eventi.
Ma torniamo al racconto. Luigi Prestinenza Puglisi dice
la critica operativa essere rispetto alla storia <<…non la
ricostruzione di ciò che è stato in sé e per sé
ma è dare direzione alla nostra vita…>>. Ma il rischio,
anche qui, è quello di trovarsi nel bel mezzo di una trama già
scritta. Se la possibilità di scegliere - fatti ed eventi del passato
che diano direzione al racconto che vogliamo fare - rimane all'interno
di un racconto tramandato (per esempio le storie dell'architettura secondo
vari autori) non si esce dall'incongruenza. Malgrado le diverse chiavi
di lettura che gli autori mi propongono non potrò dedurre da queste
consapevolezza diversa da quella che il racconto storico conserva. Questo
perché la storia per sua natura è memoria, conservazione,
leggenda.
La consapevolezza del presente, della rivoluzione informatica e del suo
modo di intendere relazioni e interrelazioni, del concetto di simultaneità
e di quello di complessità non ha possibilità di essere
compreso nel senso storico della conservazione. Dunque anti-storia, o
contro-storia o altra-storia nello sforzo di superamento della tradizione.
Ovvero modernità.
(Sandro Lazier
- 1/8/2001)
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