Che buona la gassosa
di Silvio Carta
- 12/2/2004

Qual è la differenza che passa tra un concorso di progettazione
dove partecipano 450 studi ed uno dove sono stati invitati solo 6 gruppi?
Mi spiego meglio: se voi doveste esaminare 450 progetti (magari 3 tavole per
ognuno in formato A0), avreste veramente la voglia di analizzare a fondo un
migliaio di tavole? Entrare nell’idea di fondo di ciascuno? Studiare se quell’idea
si rapporta veramente, come dovrebbe, ad entità come infrastrutture (in senso
architettonico) e ambiente?
Oppure preferireste chiudere tutto, spegnere la luce ed andare a mangiare
una pizza, visto che è venerdì e magari è anche arrivata l’ora di cena? Allora
chiedo cosa guarderete? Io ho l’impressione che le tavole verrebbero sfogliate
velocemente e senza particolare interesse generale, come accade per chi sfoglia
un giornale di cui si interessa poco e non vede l’ora di vedere l’ultima pagina.
L’atteggiamento è quello di continuare a vedere progetti con una attenzione
decrescente ma che oscilla. Il lettore si risveglia dallo stato comatoso in
cui oramai versa solo quando una immagine degna di Andy Warhol lo trascina
violentemente di nuovo alla realtà. Ho scritto Warhol, non Raffaello. Perché
AW è accattivante, è una entità dominante, un tono forte sull’armonia cromatica
e costruttiva cinquecentesca.
Risulta quindi agli atti che in qualche caso l’abito conta più del monaco,
sono abbastanza banale?
Posso fare di meglio. Avete presente Valeria Marini? Cosa vi è rimasto più
impresso: i vestiti di scena o il suo decolté?
Di Roberto Gervaso è più facile ricordare le sue opinioni sul barocco romano
o quel farfallino a pois che ostenta? (anche se nessuno ha ancora capito il
motivo..)
Ma c’è una cosa che mi sconcerta di più: gli abiti dal monaco mi piacciono
davvero tanto. Guardo come una donna è vestita, guardo le finiture di un palazzo,
guardo la cornice di un quadro. Penso che sia una questione mentale.
Mi
sono chiesto il perché. Ho trovato un concetto che ora cercherò di illustrare.
A quanto mi pare le proiezioni del nostro io sono diventate talmente consistenti
da essere materiali, fisiche, visibili. Hanno prodotto un involucro talmente spesso
che ci identifica e in cui, volentieri, ci riconosciamo. Le persone ci ammettono
attraverso il nostro guscio, fatto di scarpe, di titoli e di persone di cui ci
circondiamo. Ben intesi: noi siamo ben altra cosa rispetto a questa shell autoprodotta;
tuttavia abbiamo messo in secondo piano il nostro reale essere per adeguarci ad
un mondo dove o sei nel trend o muori di fame. Giacomo Leopardi che traduce dal
greco ingobbito nel buio della sua libreria di famiglia è morto.Ci siamo talmente
abituati allo schermo che abbiamo tanto voluto che il solo pensiero di apparire
in pubblico senza abiti di scena ci fa sentire nudi. Un progetto senza render
esasperati, degni del più abile dei fotoritoccatori, è un progetto nudo, per tanto,
di esso, ci vergogniamo. Non ci penso neanche a presentare ad un concorso un progetto
realizzato a mano e acquerellato, sarebbe un inutile eccesso di zelo. Cosi come
vorrei vedere se Palladio potesse tornare in vita per il solo tempo di un concorso
di idee e presentasse il suo progetto per un monumento ai caduti delle Twin Towers.
Come verrebbe giudicato? Meglio o peggio di Zaha Hadid (senza nulla togliere a
nessuno) ditelo voi.
Siamo in una fase in cui anche non essere alla moda è una moda. Il perché?
Ma semplicemente perché il guscio di qua sopra ce lo siamo fatto per tutelarci.
Devi per forza prendere posizione, con o contro la corrente di turno non è
fondamentale, l’importante è dimostrare, mi correggo: l’importante è apparire.
( a chi o a cosa o addirittura il come è un'altra faccenda.)
Una bella
tavola di progetto (certo, è ovvio, non parliamo degli esecutivi, quella è roba
da ingegneri..) è una tavola accattivante, dinamica, che riesce ad interagire
con gli stimoli della nostra mente abituata alla psicologia dettata dalla pubblicità
(quasi nulla ci meraviglia più). La grafica è in un layer sopra quello del concettuale
(che a volte è anche spento); il superficiale (ma forse scopro l’acqua calda)
sta sopra il fondamentale. I “saranno famosi” e Costanzo sono più ascoltati di
qualunque altro signore. Ma finché si tratta di TV, ben venga l’inutilità, però
noi parliamo di Architettura (o almeno spero), che è una cosa un po’ diversa.
Ad un certo punto faccio l’egoista: uso a mio piacimento tutto ciò; la superficialità
mi serve per capire.
Una tavola ben strutturata, ben proporzionata per colori e scale di grigi
vince 9 su 10 volte su un buon progetto (che io, purtroppo per me, distinguo
ancora dal suo vestito). Come un abbigliamento alla moda e un buon trucco
fanno vincere 9 su 10 una ragazza banale su una bellissima ma disinteressata
all’estetica pura.
La mia conclusione è questa: che la gente sbadata si prenda pure tutte le
ragazze ben vestite e mascherate che trova in giro, io aspetto per la bella
vestita di sacco. E siccome siamo gente che non ha paura, ben venga la moda,
ci investa pure il trend e la pubblicità, ci affascinino pure i progetti che
ammiccano all’impossibile, mi leghino pure all’albero maestro mentre sento
le dolci voci delle sirene. La gassosa è buona, attira e ci piace da morire,
ma noi abbiamo bisogno di acqua per campare. Forse un mio amico ha ragione:
lasciate fare, sono tutti esercizi mentali, il progetto vero verrà da solo,
verrà da sé.
(Silvio Carta
- 12/2/2004)
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Commento 656 di Roberto Felici del 14/02/2004
Bravo Silvio Carta!
Quello che dice é clamorosamente giusto e giustamente clamoroso!
Da poco, nella mia città, si é concluso l'iter concorsuale per la riprogettazione di un grossissimo isolato proprio a ridosso del centro storico.
Le confido che ho avuto, pur da architetto, non poche difficoltà ad interpretare i cinque progetti finalisti, immersi in un turbine di renderings con flotte di persone e foreste di alberi che occultano le facciate progettate, con piante rovesciate, specchiate, in trasparenza o in dissolvenza (non proprio facilissime da leggere...), con sezioni coperte da slogan o da concetti talmente astrusi da voler risultare appositamente incomprensibili!
Io penso che comunque questo modo di porsi faccia parte di una nostra specificità sociale, quella di voler essere sempre all'ultima moda, tremendamente glamour da poter essere inseriti nella più attuale rivista di moda o nell'ultimo saggio di arte moderna (per non dire nell'ultima pubblicità televisiva). Così, come per vendere un cesso di automobile devo far ricorso ai maghi della grafica e della pubblicità, così per "vendere" il mio progetto lo devo infiocchettare di immagini tremendamente irreali o con impaginazioni degne di un depliant commerciale che scavalcano, aggrediscono e oscurano la stessa progettualità. Il problema é che fior di progetti, magari poco appariscenti nell'impaginazione delle famigerate tre tavole vengano messi da parte senza tanti rimpianti.
Purtroppo, la stragrande maggioranza di noi giovani "apprendisti stregoni" é tagliata fuori o quasi da questa tipologia di concorsi, per scarsità di mezzi e di risorse o per reale timore di presentare tavole che, proporzionalmente all'attualità, sembrino fatte dieci anni fa per un esame di composizione.
E' un vero peccato, perché l'esercizio concorsuale sarebbe per noi un momento di crescita professionale concreto e forse, ci aiuterebbe nella professione spicciola, quella di "architetti condotti", come dice argutamente ridendo un mio esperto collega.
La ringrazio per aver posto un problema che credo sia importante per molti.
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