L’età dell’elettronica e l’arte di modernizzare
di Luigi Moffa
- 5/2/2005

La ricerca della modernità è la sfida più alta che
l’architettura si prepone. Se è vero che l’architettura deve rendere chiara
lettura dei tempi che vive mostrandone in tutta la sua forza l’autentico spirito
che ne contraddistingue la fase attuale da quella precedente, lo sforzo consiste
nella capacità di decifrare le mode e la società che vivono il tempo in cui si
innescano. L’architetto, quindi, e l’artista in generale, deve saper leggere,
decifrare, scremare, digerire, assimilare ed in ultimo rappresentare le
mutazioni che creano le condizioni di stacco tra due differenti epoche, qualora
tale stacco si renda evidente e leggibile.
Il terreno è fertile, lo scenario ampio, aperto ed al
momento illimitato, perché tutto accade senza la piena consapevolezza dell’uomo
in quanto individuo. E, colpa della semi incoscienza di ciò che accade
quotidianamente, l’architettura vive una fase di stallo in cui si crede
nell’esistenza di progressi che nella realtà del concreto sono solo lievi e
soprattutto lenti. L’uomo è per sua stessa natura restio ad adattarsi ai
cambiamenti che l’ambiente esterno stimola, e quando questi irrompono con troppa
violenza si sviluppa una sorta di autodifesa che tende ad etichettare come un
male ciò che provoca sofferenza.
La futura generazione di architetti sarà una generazione
che meglio si presterà a descrivere i cambiamenti. Sarà dotata di una naturale
apertura mentale grazie alla quale potrà produrre, e senza grosse fatiche,
l’architettura dell’età elettronica. Perché loro non dovranno assimilare
nulla di nuovo, in quanto cresceranno assieme ad essa, vivranno con lei e per
lei. Il rifiuto dell’età dell’elettronica va di pari passo con il disperato
aggrapparsi ai dogmi funzionali vecchi ormai di un secolo. Secolo in cui
l’architettura non ha seguito un passaggio fondamentale: “Sono i flussi e non
gli ingranaggi il motore del Ventunesimo secolo”1. Il
fascino del funzionamento della macchina e del suo renderlo manifesto come
marchio di un certo tipo di architettura deve lasciare il posto, perché ormai
obsoleto già da tempo, al fascino dell’informazione, al suo continuo mutare, ed
alle interconnessioni, alle interazioni di queste con l’uomo: “Il ZKM -
Zentrum fur Kunst und Medietechnologie di Koolhaas -, che vive l’età
dell’elettronica, è un organismo complesso, fondato sull’interazione fra le
diverse attività interne e fra queste e il mondo esterno. Suo fine è gestire
informazioni producendone anche di inattese”2. Una percezione
multisensoriale che allarga gli orizzonti e i vecchi confini tra diverse
discipline alla ricerca di un unicum spaziale in cui eventi tridimensionali,
umani, si confondono, si relazionano con eventi bidimensionali, virtuali,
scolpiti o proiettati. E viceversa, naturalmente.
Stanno mutando in forme totalmente nuove i concetti
fondanti l’architettura: spazio, luogo, limite, statico e dinamico, stanziale e
nomade. Mutano i sistemi di riferimento, i sistemi di misura, il “…senso
della distanza. Smarrire il senso della distanza significa non saper più
distinguere il vicino e il lontano, ciò che ci appartiene e ciò che ci è
estraneo; significa indifferenza; dunque, condanna alla perdita della
possibilità di entrare in relazione con le cose. Relazionarsi infatti equivale a
“misurare” tra sé e le cose intervalli di tempo e di spazio più o meno grandi.
Noi “passeggeri” siamo sempre più indifferenti: ai cambi di mezzo, di paesaggio,
di stato, cosi come agli incanti del luogo o ai suoi genì. […] Perduta è la
nostra capacità di percepirne le voci, di ravvisarne lo spirito. Ma se è proprio
viaggiando che la distanza si è “consumata”, è altrettanto viaggiando che si può
cercarvi un rimedio. […] Nel viaggio non vi è genius loci, semmai un genius
itineris, il cui regno è l’impermanenza, la provvisorietà, un tempo ed uno
spazio dinamici, effimeri”.3 E più precisamente: “L’elettronica
stimola il nomadismo, cioè la disponibilità a essere sradicati dai luoghi, a
vivere viaggiando, sia attraverso spostamenti materiali (auto, treno, aereo) sia
per mezzo degli strumenti di comunicazione (radio, televisione, Internet,
telefono, teleconferenza)”4.
Tutto è in viaggio: l’uomo e l’informazione. Ciò che
mancano sono i luoghi in cui questi si incontrano e legano reciproche relazioni.
Luoghi dove l’informazione viene creata e venduta ad un pubblico sempre più
esigente. Luoghi di accumulo, all’interno dei quali la gente trova piacevole e
fattibile relazionare. Devono essere multiculturali in modo da poter accomunare
più gente possibile pur con interessi diversificati, e devono essere luoghi di
frizione all’interno dei quali si stimoli la contaminazione tra più soggetti.
Contaminazione di qualsiasi tipo e natura. Ad imporlo è lo stesso famigerato
mercato globale per mezzo del quale tutti siamo diventati indistintamente – o
quasi – abitanti su questa terra.
1-2-4 da HyperArchitettura di Luigi
Prestinenza Puglisi
3 da Il “genio” del viaggio di
Marco Braghi, Casabella n. 695
(Luigi Moffa - 5/2/2005)
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