L'architettura: chi è?
di Sandro Lazier
- 1/6/2000

Un grande signore decise di arredare la sua casa e commissionò
in particolare il disegno di una sedia. Attratti dal prestigioso incarico
vennero i più noti architetti. I più scadenti e superficiali proposero
uno stile, un linguaggio codificato, magari con qualche riferimento al
passato ed alla memoria, unimmagine astratta, finta ed esclusivamente
ingombrante. I più cauti pensarono ad un modo di stare seduti
che fosse soprattutto comodo e rilassante. Il più intelligente non propose
nulla : venne a verificare se era il caso di sedersi.
Non credete che questa storia rifletta la condizione dellarchitettura
contemporanea ?
Ci danniamo quotidianamente nella ricerca di un linguaggio ma per parlare
di cosa ?
Ci doliamo del gran fracasso eclettico - qualcuno vorrebbe imbavagliare
i matti, altri vorrebbe celebrarli come santi - ma tutto questo per che
cosa?
La domanda è : larchitettura oggi, chi è?
Se è solo un vestito, un paramento da cerimonie, una sovrastruttura ininfluente
buttiamola e non perdiamo altro tempo.
Oppure verifichiamo se è esigenza vera delluomo, se è effettivamente
autonoma, se ha importanza nel contesto della contemporaneità, senza linsopportabile
fiato sul collo del passato, della storia, del mito e di tutto ciò che
in una parola andrebbe sepolto come storicismo.
Personalmente diffido molto della storia che sta sui libri.
Infatti, da un punto di vista molto pragmatico, credo che il racconto
dellarchitettura fino alla modernità sia soprattutto storia di pochi,
potenti, ricchi e colti che hanno avuto risorse per fare qualcosa.
Questo qualcosa, ovviamente, è stato espressione del compromesso ideale
tra la rappresentazione del potere e del privilegio dei dominanti e le
ambizioni costruttive di quei personaggi, alcuni geniali, che la vocazione
ha promosso architetti.
Gli altri, i molti, impotenti e senza significato sociale, hanno avuto
modo di fare quasi nulla.
Di questi ultimi ci rimangono dei segni, i tessuti urbani, gli agglomerati
spontanei, anonimi e non codificati e, proprio per questa ragione, ignorati
e disprezzati dal monumentalismo di tutti i tempi.
Dagli architetti del passato abbiamo ereditato soprattutto la presunzione
professionale la quale ci porta spesso a dimenticare che la modernità
ha emancipato idealmente i molti dando loro la coscienza del fare.
Lemancipazione sociale, quindi le risorse finanziarie generalizzate
che procurano effettivamente libertà dazione, è storia recente e
da questo momento sono iniziati i primi veri problemi dellarchitettura,
della sua funzione e della sua stessa definizione.
E indubbiamente vero che, contrariamente alle altre forme espressive,
essa è fortemente compromessa con lo sviluppo sociale ed i soggetti che
dispongono delle risorse indispensabili per realizzarla.
Quando i soggetti che hanno capacità di esecuzione diventano molti, spesso
privi di cultura tradizionale, necessariamente vanno in crisi gli strumenti
critici che dovrebbero avere funzione di verifica rigorosa.
Coloro che giudicano in virtù di una formazione ortodossa sono sempre
i più intolleranti verso le libertà linguistiche dei molti : essi sono
propensi alla omogeneità stilistica, non amano la diversità e la confusione.
Per questo motivo lamentano la volgarità e la sgradevolezza della produzione
edilizia di massa e non saccorgono, da un lato, che il loro giudizio
fa riferimento ad un soggetto, larchitettura, che intesa in senso
tradizionale non esiste più; dallaltro che i modelli della produzione
massificata sono la volgarizzazione degli stili proprio di tale concezione
architettonica, mancando i riferimenti ad unautentica espressione
di nuova condizione sociale.
La verità è che non ha più significato misurare i valori con gli strumenti
della critica tradizionale (di tipo fondamentalmente qualitativo e contemplativo)
ma occorre rivedere le capacità di giudicare in un senso strategico,
quindi non governato da paradigmi aprioristici, escludendo ogni possibilità
di regole generali per giungere ad obiettivi ambiziosi.
Sono crollati gli obiettivi, o meglio sono diventati molti, simultanei
e spesso contraddittori.
Infatti, ad esempio, non è assolutamente vero che nei posti migliori vivagente
più libera e appagata.
Allora occorre una ricerca svincolata e la soluzione dellincognita
architettura diviene un problema di metodo : la progettazione non può
più avvenire prima, definita e dettagliata (non si conoscono le regole),
ma solo durante, aperta a tutti gli stimoli che devono integrarsi
nel tempo di realizzazione di un evento. Solo in questo modo è possibile
affrontare la complessità dovuta alla simultaneità degli obiettivi.
Questo modo di operare si chiama, appunto, strategia : una battaglia che
avviene sul campo e non certamente a tavolino.
So che questo metodo progettuale non piace agli architetti i quali, dal
rinascimento in poi, hanno pomposamente assunto la propria personalità
quale luogo centrale del progetto, intridendo le loro opere di psicologismi
e personalismi stilistici che poco hanno a che vedere con la realtà filosofica
e sociale del mondo contemporaneo.
Nemmeno lalibi di una pretesa armonia può rifiutare il confronto
con il frastuono delle libertà che si moltiplicano.
Ha ragione Zevi che condanna la simmetria come astrazione banale di una
realtà statica e mummificante e promuove lasimmetria e la dissonanza
come evento dinamico, come partecipazione attiva al momento liberatorio.
Anche il linguaggio, nel momento in cui i contenuti del progetto affiorano
nel dinamismo del fare, riacquista valore determinante e conseguente.
Esso si libera dalla condizione aprioristica che rende scollato e astratto
qualsiasi intervento nato in suo subordine.
Esso rimane comunque un punto di arrivo, non di partenza.
Ha ragione Zevi quando introduce il rumore, tradizionalmente ritenuto
volgare. Ogni libertà concede sempre un margine di volgarità. Se questa
assume dignità estetica ne consegue una sua rivalutazione in termini etici.
Ha enormemente ragione Zevi quando introduce il caso.
Il caso, disordine, caos, o come lo si vuole definire, è la scoperta rivoluzionaria
di questo fine secolo.
Finalmente non spaventa più nemmeno la scienza e la filosofia razionalista
che della sua contrapposizione con lordine e la simmetria ha fatto
lo strumento concettuale di glorie e dolori dei nostri tempi.
Lirrazionalità connaturata al caso è divenuta parte del processo
conoscitivo dei fenomeni naturali per cui ha tolto significato alla razionalità
intesa come unica istanza di conoscenza.
Nel momento in cui la razionalità non è più contrapposta alla irrazionalità
ma ne è particolarità cessa ogni contrapposizione logica e finalmente
è possibile disfarsi di tutta la dialettica storicista Hegeliana prima
e Marxista poi.
Grande liberazione ovvero riconquista del concetto di razionalità spoglio
da ogni dogmatismo speculativo terribilmente dannoso e riconquista della
irrazionalità nellambito della conoscenza reale, non metafisica,
non trascendente.
Coloro che hanno celebrato i funerali del movimento moderno con argomenti
fanatico-spiritualisti - lo storicismo non è distante da tale definizione
- hanno perduto lunico movente credibile dietro al quale nascondono
la loro ingenua credenza : lirrazionalità.
Il caso ha quindi un doppio beneficio :
-ridimensiona le ambizioni del ra-zionalismo ortodosso
-ridimensiona ogni atteggiamento mistico, spiritualista o metafisico.
La domanda :quale architettura ? a questo punto, è sciocca.
Come si può definire una cosa che non esiste più in termini tradizionali
ma che è soggetto che diviene?
Si sa bene da dove si parte ma non è possibile sapere dove si arriva.
(Sandro Lazier
- 1/6/2000)
Per condividere l'articolo:
Commento 265 di Carlo Sarno del 26/01/2003
Caro Sandro , dici bene :"... La verità è che non ha più significato misurare i valori con gli strumenti della critica tradizionale (di tipo fondamentalmente qualitativo e contemplativo) ma occorre rivedere le capacità di giudicare in un senso “strategico”, quindi non governato da paradigmi aprioristici, escludendo ogni possibilità di regole generali per giungere ad obiettivi ambiziosi. Sono crollati gli obiettivi, o meglio sono diventati molti, simultanei e spesso contraddittori. Infatti, ad esempio, non è assolutamente vero che nei posti migliori vivagente più libera e appagata. Allora occorre una ricerca svincolata e la soluzione dell’incognita architettura diviene un problema di metodo : la progettazione non può più avvenire prima, definita e dettagliata (non si conoscono le regole), ma solo “durante”, aperta a tutti gli stimoli che devono integrarsi nel tempo di realizzazione di un evento. Solo in questo modo è possibile affrontare la complessità dovuta alla simultaneità degli obiettivi. Questo modo di operare si chiama, appunto, strategia : una battaglia che avviene sul campo e non certamente a tavolino...".
Oggi occorre un nuovo modo di vedere e considerare l'architettura , non più partendo da posizioni aprioristiche e vincolate ad uno starsystem propagandistico e ghettizzante . La cultura , mai come nel mondo contemporaneo , sente l'esigenza di un pluralismo aperto e capace di accogliere la crescita e trasformazione poliedrica della società .
Non si può continuare a vedere l'architettura contemporanea con gli occhi del passato , si rischia di bloccarla in schematizzazioni o formulazioni stilistiche che creano soltanto vuote diatribe e hanno come unico risultanto solo di allontanare sempre più l'architettura dalla vera vita democratica e libera .
A tal riguardo mi viene in mente l'architetto Glenn Murcutt , un progettare "strategico" - per dirla come te , Sandro - che apre il fare dell'architettura al divenire della vita , recependo in se tutti gli stimoli interni ed esterni , in una architettura organica capace di restituire la complessità della vita senza forzature o plagio .
L'architettura deve abbracciare l'esistente come sostanza e non più inseguire futili mode per futili spazi dove vivono esseri unidimensionali.
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