No ad una estetica convenzionale
di Sandro Lazier
- 10/4/2001

Nell'articolo "L'architettura corre un pericolo
mortale" G. Carnevale mi pone una domanda: <<…ma
la mediocre architettura imbarbarita, dagli architettini e dagli ingegneruzzi,
non parlo dei geometri che sono ancora più suscettibili, cosa è
per Lazier?>>
Tengo a precisare che tutto quanto ho detto a proposito dell'architettura
che il testo di Carnevale condanna, non va riferito al gergo architettonico
tout-court. Non intendo certo avallare l'idioma dei balordi, dei dementi,
degli stolti o degli stupidi. Voglio semplicemente dire: ci stanno pure
loro e, in democrazia, essi hanno voce. Mi batterei se non l'avessero.
Il problema che intendo sollevare è un altro.
Chi decide cosa è buona architettura e cosa non lo è se
non ci sono regole per produrla?
Carnevale sostiene che ogni buona architettura ha le sue regole e in questo
riesco in parte a concordare. Ma queste "regole" le posso solo
dedurre a posteriori, a giochi fatti, a testo scritto. Con queste "regole"
posso effettivamente solo leggere, non scrivere. Scrivere e leggere, quindi,
non sono atti simmetrici. Mentre per leggere mi occorre la conoscenza
di una qualche sintassi, per scrivere posso fare appello esclusivamente
alla mia tensione e propensione, diciamo, comunicativa. Se ho confidenza
con le parole e il loro modo di stare insieme riuscirò a costruire
frasi apprezzabili; se conosco solo quattro vocaboli e frasi fatte potrò
comunicare solo la mia mediocrità. Il ricorso a modelli (frasi
fatte) architettonici, non importa se buoni o cattivi, secondo me non
porta da nessuna parte. Selezionare le parole, dire quali bisogna usare
e quali eliminare, quali frasi sono corrette e quali no, appartiene al
pianeta della retorica, non certamente a quello della poesia. Soprattutto,
non appartiene al mondo della poesia contemporanea che pesca parole ovunque,
nei posti peggiori e nelle condizioni peggiori. La tensione e la potenza
della poesia è tale che oggi incontriamo il sublime in ciò
che prima era solo miseria, sporcizia, volgarità. Ciò che
è volgare oggi domani può essere superbo, chi può
dirlo? Ciò che rimane costante, che universalizza la poesia, sono
la tensione estetica e, secondo me, anche etica che la presiedono; una
tensione cui tutti possono accedere a condizione di rinunciare a modelli,
categorie di gusto, regole di bellezza o quanto abbia pretesa di fornirci
un impossibile strumento di misura oggettivo.
Questo è l'aspetto che contesto nei confronti dell'accademismo:
la pretesa di un formalismo creativo, di un'estetica convenzionale, di
una ragione resa formale.
(Sandro Lazier
- 10/4/2001)
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