Lo spazio dell'uomo
        
 di Sandro Lazier
	 - 9/7/2001
	
 
		 
	Lo spazio è estensione: possibilità di muoversi e spostarsi per tutte le ragioni possibili ed immaginabili. Muoversi è non essere limitati e obbligati in ambiti e percorsi scontati, automatici, ripetitivi, perch muoversi è soprattutto osservare, curiosare, scoprire, quindi conoscere. La conoscenza è, dai tempi dell'illuminismo, liberazione dalle paure figlie dell'ignoranza, è riscatto sociale, è uguaglianza effettiva. Muoversi è soprattutto libertà di scegliere cosa vedere, cosa conoscere. Vivere è scegliere, sempre, e non si sceglie se non si conosce. Non c'è quindi libertà senza conoscenza e non c'è conoscenza ell'isometria 
di piani tutti uguali: basta uno sguardo; tutto è sempre uguale. 
Se lo spazio vissuto è principalmente il contenitore delle libertà individuali, lo spazio vissuto è quindi la materia prima dell'architettura per l'uomo.
 
Gli architetti - che manipolano lo spazio dell'uomo 
e per l'uomo - hanno il dovere morale di promuovere la libertà 
di spazio, abbandonando ogni velleità creativa fine a se stessa 
che limiti e condizioni la vita delle persone.
La loro massima aspirazione deve essere quella di favorire la diversità spaziale, perch gli uomini sono tutti diversi, hanno desideri diversi, vivono e si muovono in modo diverso. Essi hanno il diritto di vestire, parlare, esprimersi come vogliono, liberamente; quindi hanno il diritto di abitare lo spazio liberamente.
Nessuno, infatti, ha più il diritto di costringere l'umanità 
dietro facciate composte da un disegno autocompiacente, obbligando gli 
ambienti nel residuo ambito servo di un'idea assurda di architettura che 
da sola si nega.
Nessuno ha più il diritto di rinchiudere le persone dentro celle in scatole ordinate e pianificate, siano esse figlie del funzionalismo razionalista, decotto o rinvigorito dal folclore più raffinato, oppure dalla follia falsificatrice e anch'essa oppressiva della metafisica postmoderna.
Nessuno, infine, ha più il diritto di imporre il rigore e l'autorità 
del tradizionalismo costruttivo schiavo di linee rette e squadrate e muri 
a piombo. Si vive meglio e più liberamente nella complessità 
e nel "gotico" di strade storte e pendenti. 
L'economia costruttiva della linea retta non è stata che pretesto 
per il furto di troppi speculatori, peraltro soccorsi e confortati da 
un sistema urbanistico-normativo equivoco e astratto come la geometria 
elementare che lo determina, tanto che la devastazione fisica, morale 
e sociale del territorio non è più condannabile come figlia 
dell'arbitrio perch è stata rigorosamente, presuntuosamente 
ed incoscientemente pianificata. Lo scatolame edilizio che ha aggredito 
e mortificato le città gotiche sono la prova evidente del fallimento 
della dittatura dell'ortogonalità, della linea retta, del piano 
e del piombo. Le città ortogonali non risolvono n il problema 
della viabilità n quello della pura vivibilità: 
non servono alle automobili e, tanto meno, alla vita delle persone. Lo 
spazio urbano, banalizzato dalla prepotenza di assi viari, fughe prospettiche, 
allineamenti e livellamenti, ha meno dignità del disordine improvvisato 
dell'ultimo degli insediamenti nomadi.
Il "nomadismo" architettonico, la spontaneità, la casualità sono la sola possibilità di conciliazione con la conoscenza della complessità del mondo; non ci sono alternative se non quella di un nostalgico ritorno all'ordine gerarchico e classista del passato, fatto di padroni e servi, di pochi privilegiati che possono fare e molti che devono subire; fatto, soprattutto, di piccoli tiranni tutori della storia, 
della tradizione, della religione, del perbenismo famigliare e, alla fine, 
della razza.
Rinnegare il proprio passato non è rinnegare la storia. Essa avviene 
comunque: storicismo e antistoricismo, infatti, sono la nostra storia. 
Il problema è un altro: dominarla o subirla? Tradire l'esistenza, 
l'individuo, il libero arbitrio, la volontà perch servi 
di un'idea meccanica che determina le vicende umane o proiettare la propria 
vita, la propria volontà di vita, nella mischia quotidiana determinandone la cronaca? La storia è, soprattutto oggi, cronaca; storia di volontà, troppe volte imposte, meschinamente imposte con l'alibi della cultura.
 
	
	(Sandro Lazier
	 - 9/7/2001)
	
	
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