2/2/2007
caro Mazzucconi,
Anzitutto la ringrazio per il commento a quel vecchio e ingenuo articolo sulla funebre rivista "Aion". Conosco bene il suo progetto per il centro di Firenze, come non ricordare la presesntazione al suo volume " L'idea della Citt" di Giovanni Klaus Koenig (un poeta per Firenze), e gli interventi di Agnoldomenico Pica e Bruno Zevi.
Firenze una delusione continua, da decenni paralizzata, lettaralmente strangolata da affaristi strozzini, da un centro sinistra della peggiore specie. Occorre ribellarsi a questo meccanismo perverso, gli architetti si parlano addosso, i critici sono sempre pi neutrali.
Che facciamo?
La contatter prestissimo e la ringrazio affettuosamente.
giovanni
http://www.nitrosaggio.net/bartolozzi/index.htm
|
|
21/9/2005
Ringrazio Ugo Rosa per aver sollevato l'attenzione sull'appello pubblicato dal Corriere della Sera, e per averlo fatto con la sincerit di chi ha vissuto venticinque anni di professione.
Ringrazio anche Diego Caramma per l'interessante e condivisa nota scritta la scorsa settimana.
Credo che si sfiori il paradosso. Anche se il contenuto dell'appello non dovrebbe stupire, considerando che i firmatari sono i relatori (e gli organizzatori) dei convegni fiorentini sulla "Identit dell'architettura Italiana".
|
|
30/4/2002
In risposta al commento n106
Caro Fausto,
credo ci sia una bella differenza tra trattare male Monestiroli e fare una riflessione critica sul lavoro di un architetto. Naturalmente questa pu essere condivisibile o meno, come del resto si coglie dal tuo commento.
Inoltre qui non si tratta di trovare dei difensori di sto povero cristo. Io non ho accusato nessuno e antithesi non un tribunale ma uno strumento di crescita e di confronto.
Sicuramente larchitettura arte. Tuttavia a differenza di questa ha qualcosa in pi: gli individui la devono vivere. Un quadro di Mondrian o di chiunque altro si pu apprezzare, contemplare, analizzare in diverse chiavi di lettura, studiare, criticare Ma finisce l. La gente non centra, non lo fruisce, non lo attraversa, non ci trascorre la vita e, soprattutto non interviene sulla citt per trasformarla.
Un architetto nel progettare un edificio non pu solo tener conto del fatto che larchitettura arte e quindi fatta su vettori astratti. Questi vettori astratti dovranno concretizzarsi, e andranno a concretizzarsi sulla citt e sul paesaggio, che fortunatamente non sono dei grandi musei.
Inoltre, introducendo lidentit tra arte e architettura tocchi un aspetto estremamente delicato che ci porterebbe, a mio avviso, fuori strada. Almeno secondo quello che mi proponevo danalizzare scrivendo larticolo su Monestiroli.
Allora, piuttosto che portare il contadino davanti ad un quadro di Mondrian, (tralaltro mi sono permesso di scomodare Mondrian per un altro motivo), io porterei il contadino, per esempio, dentro la chiesa dellAutostrada e in generale dentro uno spazio strutturato mediante un linguaggio comprensibile al popolo, dunque al contadino, allavvocato, allimprenditore, al postino e a tutti.
E naturale che lopera darte non abbia bisogno di una didascalia che la svergini nel suo mistero. Ma gli spazi da vivere devono essere fatti per luomo. Non per laldil ma per la vita terrena, quotidiana, e quindi senza alcun mistero.
Credi che il linguaggio adottato da Monestiroli sia comprensibile al popolo?
Il mio dubbio questo! Io credo di no, perch alla gente non interessa la pianta a croce, o il muro bucato, o lasse dellantica centuriazione romana sopra al quale si trova ledificio, ma interessa uno spazio dentro al quale poter trascorrere la vita e che rispecchi la societ. Uno spazio libero da qualsiasi regola. In questa chiave va, infatti, letta la reazione di un contadino davanti un quadro dellultimo Mondrian.
Mondrian si svincola totalmente da ogni regola, componendo nella pi totale libert, usando colori primari e mediante il pi elementare contrasto: il nero su sfondo bianco. Ma la cosa pi interessante che lo spettatore - contadino o imprenditore che sia, preferisco, infatti, parlare di individuo - pu godere della stessa libert nellinterpretare quel quadro. Infatti, un individuo (qualunque sia la sua estrazione sociale) si pone davanti a quel dipinto con una libert interpretativa dettata dal suo stato danimo, dal suo stato emotivo, emozionale, culturaleEcco caro Fausto cosa ci vedr un contadino in un quadro dellultimo Mondrian. Credo tuttavia che affinch ci accada, (come ci hanno insegnato le nostre maestre!!) non bisogner trasportarlo di peso dentro il museo, ma baster sensibilizzarlo culturalmente.
Probabilmente sbaglier ma questo che penso e sono disposto a discuterne.
|
|
26/4/2002
in risposta al commento numero 98
Caro Matteo,
Condivido solo in parte quanto dici.
Non credo, infatti, che da M. si possa imparare lestrema coerenza.
Penso che nella vita si debba essere coerenti rispetto a dei principi, a dei valori comuni e non rispetto a simboli, idee o intuizioni che sono passeggere e modaiole, soprattutto in architettura. Questa, infatti, a differenza di altre discipline, svolge un ruolo sociale non indifferente, anzi direi fondamentale. La grande difficolt degli architetti, credo, sia proprio quella di essere culturalmente ferratissimi e sensibili nel percepire i cambiamenti della societ. Allora come pu M. restare impassibile al continuo mutare della societ?
Naturalmente non discuto sulla legittimit dellidea di progetto di M., giusto che ognuno esprima le proprie idee. Sono punti di vista diversi, ed proprio la diversit, che stimolando il confronto tra questi due opposti modi di vedere larchitettura, consente di fare un passo in avanti. Non mi proponevo, infatti, di gettare sul fango le idee di M.; me ne guarderei bene dal farlo.
Secondo me la coerenza intesa come dici tu nel caso di M. unimpresa estremamente romantica.
Faccio un esempio che servir a chiarire il mio punto di vista a tal proposito: pensiamo per un istante al lavoro di Mondrian. Nei suoi primi dipinti il tema ricorrente la natura e in particolare lalbero. Alla fine della sua carriera Mondrian arriva ad una sintesi che impedisce totalmente il riconoscimento delloriginaria matrice naturalistica. Naturalmente tra queste due estremit bisogna includere una serie di influenze come i primi soggiorni a Parigi Mondrian trascorreva, dunque, intere giornate a sovrapporre e giustapporre strisce di cartoncini neri. Mi viene dunque spontaneo associare il percorso evolutivo di Mondrian ad una traiettoria parabolica, in ogni modo non lineare. Questo percorso di crescita parabolico, si riscontra nella stragrande maggioranza di architetti, si guardi Le Corbusier, Aalto, Michelucci, Eisenman, Gehry, Ito, Libeskind e molti altri. Ma attenzione, questo percorso di crescita non lineare, spesso contorto, sinuoso e difficile da capire, che porta a risultati diversi rispetto alle prime esperienze, non segno di incoerenza. Tuttaltro. E semmai un segno di crescita, di crisi, devoluzione, in positivo o negativo che sia. Allora non posso giudicare Monistiroli coerente solo perch nei suoi progetti imprime una forte tensione morale, o perch si mantenuto, per tutta la sua carriera professionale, fermo e stabile sulle stesse idee. Ne prova il confronto tra i suoi progetti (a distanza di anni), gli scarti e le differenze soprattutto linguisticamente sono inesistenti. Penso che la coerenza non si misuri su queste basi.
Sono inoltre convinto che il continuo rinnovarsi, non preclude la forte tensione morale, anzi la rafforza.
Continuer dunque a condannare gli interventi fumosi e celebrativi di molti colleghi perch stimolano linerzia, lindifferenza e la stasi, e siccome un architetto non pu accontentarsi di arrivare solamente ad un modellino bene porre dubbi, piuttosto che gloriarsi delle poche certezze.
|
|
10/4/2002
Premetto che il commento, forse troppo lungo e noioso, frutto di piccole riflessioni che, traendo spunto dallo scritto del professor De Sessa, tentano di esprimere la straordinaria capacit di rinnovamento del pi grande architetto europeo, e di rispondere, deviando leggermente il discorso, alla domanda che De Sessa si pone in fondo al Suo scritto.
Per una strana coincidenza, da qualche giorno, non faccio altro che pensare a Le Corbusier, essendo tornato da una vacanza in Francia e avendo fatto tappa a Poissy.
Fino a pochi giorni fa, credevo che villa Savoye fosse semplicemente una scatola, sospesa tra terra e cielo e tagliata da una lunga finestra a nastro.
Ammetto dessere ancora oggi sbalordito da quanto ho visto dentro la scatola. Percorrere la villa Savoye unesperienza indimenticabile, formativa, consente in pratica di scoprire la concezione spaziale che vi racchiusa, ingabbiata. Lo spazio magistralmente concepito, dentro e fuori si fondono in uninsolita simbiosi apparentemente celata dalle quattro facciate e quasi temporalizzata (grazie alla rampa). Gli ambienti sono incastrati in modo da creare una sequenza dascensione verso il tetto giardino, punteggiata da viste antiprospettiche e dalla continua percezione, mediante finestre vetrate e lucernari, del verde circostante. Salendo la parte finale della rampa, in prossimit del tetto, viene quasi voglia di gridare e saltare.
In sostanza un vero e proprio capolavoro che incarna in modo esemplare e completo i famosi cinque punti. Ho quasi la sensazione, che a livello spaziale, la villa Savoye, rispetto alle precedenti opere, abbia qualcosa in pi dei famosi cinque punti, che anticipi, in qualche modo, ed esclusivamente sotto laspetto spaziale, i cambiamenti futuri.
Naturalmente, questa una sensazione personale, dovuta probabilmente allentusiasmo nellaver scoperto e toccato con mano la villa Savoye.
Certamente dal punto di vista linguistico, e non solo, il cambio di direzione, o meglio, la sterzata evidente. Basti pensare, allo choc che provoc Ronchamp a tutti i seguaci di L-C (e negli anni 50 erano veramente tanti) e ai critici del periodo.
Bisogna anche tener conto della novit e della diversit del tema edilizio che caratterizza Ronchamp rispetto alle precedenti opere: non pi lotti predefiniti e ville per banchieri, pittori, artistima un luogo di preghiera, svincolato da programmi rigidi e soprattutto immerso nel verde, tra vallate e colline. Un altro aspetto, inoltre, pu offrire uninteressante chiave di lettura, soprattutto per un architetto veramente sensibile e ferratissimo nellassorbire i mutamenti della societ: gli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale.
Com' noto, infatti, L-C trascorre questi anni, tra i Pirenei e Parigi, in una sorta disolamento, lavorando ai piani urbanistici, al modulor, facendo qualche viaggio e soprattutto dipingendo, attivit questultima che accompagner tutta la sua carriera. Stranamente, in questo periodo di relativa pausa, i dipinti di L-C riproducono mostri biomorfi. Il cambio di direzione si coglie, infatti, con uno scarto sostanziale, anche da questi ultimi dipinti che si presentano ben diversi dai primi geometrici, colorati, puristi e dunque idonei a rappresentare, mediante forme pure, let della macchina.
A questo punto potrebbe essere utile e nel nostro caso risolutivo, il concetto di modernit inteso come continuo tentativo dazzeramento del linguaggio. Senza dubbio L-C, dopo un periodo di crisi, dovuto allisolamento, alla guerra, agli insuccessi dei suoi piani urbanistici, a quelli del modulor e dei concorsi di New York e di Ginevra, azzera completamente il linguaggio rinnegando, soprattutto a Ronchamp, tutte le teorie elaborate precedentemente. Ronchamp potrebbe essere dunque riletta come il frutto di un lungo periodo di crisi, per L-C molto formativo; allo stesso modo, un altro azzeramento potrebbe essere rivisto nel 58 con il Padiglione Philips, seguito ad una serie di lavori che mostrano, ancora una volta, un tono pi sereno rispetto alla successiva esplosione di Bruxelles.
Sarebbe interessante osservare, da una certa distanza, tutta la carriera di L-C, per esempio partendo dalla Villa Schwob del 1916, fino al padiglione Philips del 1958. Basterebbe, confrontare questi due edifici, visualizzando, naturalmente, tutte le tappe intermedie, per rendersi conto di quante volte L-C si sia messo in discussione, generando un processo evolutivo che dovrebbe far rabbrividire tutti coloro che si fossilizzano per tutta la vita, o per buona parte, dietro un mucchio di teorie e di formule che, nella loro illusoria e apparente universalit, ignorano il continuo avanzamento della societ.
Ci, a mio modo di vedere, implica un atteggiamento veramente coerente rispetto al mestiere dellarchitetto e il concetto di modernit consente di soffermarsi, non tanto sul motivo del generoso cambio di direzione, di cui Ronchamp forse il segno pi evidente ma non lunico, quanto sul filo conduttore sommerso e non evidente. Tale filo, sidentifica, infatti, con la continua speranza di poter cambiare la societ, magari progettando, soprattutto durante la guerra, degli alloggi comodi, economici, e immersi nel verde, cos come tent di fare battendosi per la costruzione delle Unit dabitazione e in mille altre occasioni, oppure per quanto ci riguarda pi da vicino (vedi lospedale di Venezia) progettando delle stanze di degenza per i poveri uguali a quelle dei ricchi.
Dunque, un filo conduttore fortemente umano, pregno di valori, di altruismo e democrazia.
|
|
5/4/2002
Caro Sandro,
Sempre nell'articolo del Corriere Della Sera, Portoghesi amareggiato: "Sarei stato felice di partecipare e avrei detto benissimo sulla sua attivit negli anni [...] io non ero d'accordo con le sue ultime posizioni".
La cosa che pi mi preoccupa che Portoghesi e altri tendono a disconnettere e separare l'attivit di Zevi degli ultimi anni da quella degli anni '50 e '60.
Ci assolutamente falso, ne prova il fatto che alla base di tutta l'attivit di Zevi vi un profondo e innato desiderio di libert che trova riscontro in una architettura libera da ogni accademismo da ogni regola e che rispecchia la societ contemporanea in continuo mutamento.
Allora le ultime posizioni di Zevi sono perfettamente coerenti con le prime ( e questo dimostrabile in infiniti modi). Inevitabilmente la societ negli ultimi sessant'anni ha subito enormi cambiamenti che Zevi, grazie alla sua acutissima sensibilit, ha saputo registrare, mentre probabilmente il professor Portoghesi rimasto troppo legato agli anni '70.
Preciso, per correttezza, che quella stupenda frase, su che cos' l'architettura, non stata scritta da Portoghesi, ma stata pronunciata da quest'ultimo in occasione della presentazione, tenutasi a Firenze, del suo ultimo libro edito da Skira.
|
|
29/12/2001
carissimi, prof. Antonino Saggio, Sandro e Paolo,
leggo, felicissimo, lo splendido e profondo testo introduttivo del prof. Saggio per il nuovo numero su Libeskind, e anche la breve introduzione di Sandro Lazier, che vede ,giustamente, nella centesima pubblicazione della collana "Universale d'Architettura" ,fondata da Zevi, un traguardo importante nel tentativo, splendidamente riuscito del prof. Saggio e di altri docenti, di continuare , con queste pubblicazioni, il lavoro iniziato dal Maestro, portando avanti il suo messaggio architettonico.
Il 3/12, partecipando alla conferenza romana in memoria di Bruno Zevi, i relatori si ponevano una domanda: "che cosa avrebbe fatto Zevi dopo l'11 settembre? "
Tutti sembravano d'accordo sul fatto che Zevi avrebbe trasposto in architettura questa enorme e sbalorditiva trasformazione subita dal mondo intero dopo questo disastro.
Sicuramente anticipando i tempi come ha sempre fatto grazie alla sua sensibile capacit di lettura della civilt contemporanea.
E' importante, dunque, che questa introduzione di Saggio, attualizzi l'architetto Daniel Libeskind mettendo in riferimento diretto l'esperienza di quest'ultimo con quanto accade nel mondo.
grazie e auguri.
Giovanni Bartolozzi
|
|
18/12/2001
Caro Paolo,
Sono d'accordo con te.
Come ti ho gi detto ho assistito all'incontro si Saee a Firenze, stato molto interessante e ha rappresenato soprattutto per noi studenti, purtoppo pochi, un vero e intenso spiraglio di modernit.
Quanto al prof. Derossi non mi stupisce. Ho assistito, qualche mese fa, alla presentazione di un suo libro e alla presentazione parlavano oltre a lui Paolo Zermani e Adolfo Natalini.
Non ti nascondo che, come sai bene, essendo un allievo di Zevi, stato molto difficile per me assisterre a quella presentazione.
Credo che, veramente, non riescano a capire il messaggio spaziale dell'architettura e non capiscono che la storia non va mai indietro.
Amano e idealizzano il passato con un unico fine: banalizzarlo.
Personalmente ringrazio di cuore Michele Saee per la sua breve ma intensa lezione.
|
|
|