Ultimi 50 commenti
Commento
14759
di Giancarlo Leone
del 27/01/2019
relativo all'articolo
Sui concorsi di architettura
di
Sandro Lazier
Regolarizzare le idee mi incute terrore. Educhiamo i non Architetti all’Architettura.
Commento
14758
di Claudio Aldegheri
del 26/01/2019
relativo all'articolo
Sui concorsi di architettura
di
Sandro Lazier
Sono Claudio Aldegheri condivido quanto hai scritto e riportato; anch'io ho un'esperienza pluriennuale (di oltre 40 anni!) sui concorsi.
Si, avendo partecipato a un centinaio di concorsi posso dire che dal primo - fatto da studente di liceo nel 1974 - all'ultimo del 2014 c'è stato un notevole cambio d'impostazione.
Nel 1982 ho vinto e realizzato il mio primo concorso da architetto: devo dire che trattandosi di un cimitero, completamente nuovo, non ci sono state difficoltà premesso che ce n'era bisogno; il Sindaco ha rispettato il progetto vincitore (era addirittura di idee!); e nonostante le solite storie "politichesi" all'italiana, il Sindaco sempre più convinto lo ha portato a termine (in realtà non solo lui, ma anche le Amministrazioni dopo di lui, e anche questo è un fatto importante. Nessuna Amministrazione successiva ha mai messo in discussione l'incarico).
Nel 2012 ho vinto (con Tecnicoop, ora MaTe) un altro concorso di progettazione per un ampliamento cimiteriale (con tempio crematorio) a Prato. Ma poi, per la solita storia dei fumi per i forni crematori, sotto elezioni, nessuno ha voluto sostenere il progetto e poi, con il successivo cambio di Amministrazione, l'incarico della progettazione non è più stato dato.
La principale trasformazione nei concorsi che noto è la seguente: con la convizione - direi forse l' "esistenza" - del Committente (pubblico in questi casi) si raggiunge più facilmente l'obiettivo della realizzazione.
Serve molto rispetto per chi progetta e per il risultato: che può subire variazioni, ma non per l'incarico!
Attualmente la (brutta) politica si è malamente impadronita di tutto ciò che concerne la progettazione: e quindi le contestazioni intorno ai concorsi - spesso preparati e istruiti malissimo dagli uffici competenti - sono sempre più utilizzati per strumentalizzazioni politiche e per ottenere voti e non certo per migliorare l'ambiente costruito e non...
Ma credo che questo ragionamento vada ulteriormente approffondito
Commento
14754
di Massimo Pica Ciamarra
del 25/01/2019
relativo all'articolo
Sui concorsi di architettura
di
Sandro Lazier
D.
(23) L’insieme di queste indicazioni segnala l’urgenza di una forte azione semplificatrice. Non una “Bassanini” dei concorsi: lo slogan sarebbe equivoco perché la legge che porta questo nome, nata per snellire e semplificare dichiarazioni e certificazioni, ha imbottito il suo sano intento iniziale con dovizie di ulteriori provvedimenti impropri, tra l’altro ha ulteriormente favorito progetti senza confronti perché interni alla pubblica amministrazione.
L’azione semplificatrice - che non solo per abolire l’anonimato richiede alcuni riscontri anche a livello europeo - dovrebbe elevare i limiti degli incarichi fiduciari, finché l’arbitrarietà dei giudizi nelle gare produce - come spesso accade - solo perdite di tempo per competizioni in realtà non tali. Per incarichi senza particolare incidenza sulla qualità degli spazi urbani, si potrebbero utilizzare gare con le garanzie prima delineate: sempre che chi le lancia possa motivare perché rinuncia a confronti qualitativi. I concorsi restano quindi il sistema base: le opere pubbliche - anche se di modesta dimensione - hanno infatti fra i loro compiti primari quello di introdurre nuove qualità nei contesti ed i concorsi di progettazione - semplificati, resi agili e rapidi, accessibili - possono riacquistare credito. Con opportune garanzie possono tornare ad essere, come nei principali paesi europei, strumento della collettività per perseguire la qualità, per scegliere come risolvere nel modo migliore un problema; nello stesso tempo possono determinare straordinari laboratori di ricerca e palestre formative per i più giovani.
(24) Quindi come slogan - “concorsi” - non basta più.
L’INARCH intende pervenire con rapidità ad un sistema di garanzie per renderli agili, veloci, ben programmati e ben valutati, non onerosi per chi vi partecipa, strumenti e premesse per un ambiente migliore. (25) Intende anche impegnarsi perché questi principi trovino spazi nei programmi del prossimo governo.
Commento
14755
di Massimo Pica Ciamarra
del 25/01/2019
relativo all'articolo
Sui concorsi di architettura
di
Sandro Lazier
C.
Questo caos impone sostanziali riforme, non protezionismi corporativi: è interesse della collettività evitare sprechi di risorse e di tempo, perseguire qualità elevando i requisiti e rispettando le regole.
(9) Ecco perché la sezione Campania dell’INARCH ha promosso un confronto di idee in vista del più ampio incontro del prossimo 27 gennaio a Roma: pervenire ad un efficace sistema di garanzie nella pratica progettuale. Obiettivo non denunciare, ma lanciare proposte, magari distinte in due gruppi.
Nel primo, cinque questioni generali che ribadiscono i presupposti del come affidare gli incarichi di progettazione nel rispetto del principio della concorrenza e soprattutto dell’interesse collettivo: la qualità non è obiettivo o valore aggiunto, ma condizione imprescindibile in ogni intervento.
(10) 1.1. qualità della domanda Affidare un incarico o bandire un concorso non sono l’escamotage per liberarsi di un problema. Occorre farli precedere da confronti di idee, partecipazione; soprattutto per fissare le basi della domanda, perché sia chiara e condivisa. Poi occorrono tecnici competenti (la figura del programmatore é quasi ancora sconosciuta in Italia) per sviluppare la domanda ed assistere le amministrazioni ed i RUP nella formazione del Documento Preliminare da cui prende avvio qualsiasi progetto. Nella prassi i Documenti preliminari spesso sono banalizzati: non svolgono il sostanziale ruolo immaginato quando sono stati introdotti. Se qualità è rispondenza a requisiti espressi, è sostanziale infatti che la domanda sia intelligente e compiuta.
Questione di fondo, a scala del tutto diversa, è quella dei concorsi che eludono le domande sostanziali e riducono il confronto ad elementi secondari.
(11) 1.2. unità del progetto Oltre a quello di aver introdotto i DPP, la Merloni ha l’indubbio merito di aver portato ad unità il progetto: non più architettura, strutture, impianti, sicurezza, manutenzione, …, ma progetto come insieme integrato. La legge però non evita i danni (economici, temporali, culturali) dovuti al separare il progetto in fasi, cioè alla possibilità di individuare soggetti diversi come responsabili di progetto preliminare, definitivo, esecutivo o direzione lavori. Molto positivamente è stata introdotta la figura del Responsabile Unico del Procedimento, ma non si è compresa l’esigenza del Responsabile Unico del Progetto. Nella prassi - ignorando che quella della concezione è la fase sostanziale - è invalsa l’abitudine di frettolosi progetti preliminari sviluppati all’interno, a base di successivi affidamenti all’esterno.
A questo si aggiunge un sistema normativo che non lascia l’effettivo controllo delle realizzazioni agli autori: “miglioramenti”, “direzioni lavori”, … : il ruolo dell’architetto non è lo stesso nei vari paesi europei.
(12) 1.3. uffici tecnici Gli incentivi (introdotti dalla Merloni, poi incrementati dalla Bassanini) non devono alterare i ruoli. Programmi, verifiche, controlli, non possono essere svolti dallo stesso soggetto che progetta. Peraltro i progetti interni agli UT prescindono da alternative e confronti: cioè tradiscono la collettività nel suo strumento primo per perseguire la qualità. Sarebbe utile trasformare gli incentivi agli UT in premi per la velocità delle procedure. (13) Oggi, diversamente dagli altri paesi dell’euro, i tempi burocratici sono anche tripli rispetto a quelli di progetto ed esecuzione nel loro insieme; dimenticando peraltro che, per loro natura, i progetti sono “beni deperibili”.
(14) 1.4. velocità Nell’edilizia sembra ignorato il valore del tempo, come l’esigenza dare tempo alla progettazione, un tempo congruo e non derogabile. La progettazione - per scegliere fra alternative e definire il futuro prodotto in “realtà virtuale” - richiede tempi dello stesso ordine di grandezza a quelli della realizzazione. I principali ostacoli alla velocità degli interventi sono le incertezze normative e la complessità delle procedure di approvazione: da qui lentezze delle trasformazioni, lentezze dello sviluppo, oneri finanziari ed economici, svalutazione dei progetti, ritardi tecnologici, ricadute negative sull’apparato industriale e, non secondario, sulla formazione dei progettisti e dei quadri tecnici.
(15) 1.5. risorse Occorre mettere a disposizione degli interventi edilizi risorse adeguate ai risultati attesi. Le differenze che si misurano fra i vari paesi dell’euro non hanno giustificazioni, se non in deformazioni mentali. Non si spiega altrimenti perché - ad esempio - gli indici di costo di autostrade, ferrovie, fognature sono analoghi nei vari contesti, mentre quelli edilizi divergono, e significativamente.
Queste note questioni sollecitano azioni politiche attente, sistematiche e consapevoli.
Le proposte del secondo gruppo sono attuabili con azioni più semplici, riguardano un sistema di garanzie, nella pratica dei concorsi di progettazio
Commento
14756
di Massimo Pica Ciamarra
del 25/01/2019
relativo all'articolo
Sui concorsi di architettura
di
Sandro Lazier
B.
Data l’età, sono un buon testimone. Negli anni ’50 come collaboratore, dai primissimi anni ’60 come concorrente: finora centinaia di concorsi, molti all’estero. Posso testimoniare che, fino a 10 anni fa, non ho mai visto un ricorso. Qualche volta si aveva notizia di un bando troppo tardi. Ricordo solo una protesta vistosa: la consegna di un plico anonimo, un’unica tavola con su scritto “ah, l’avessi saputo in tempo!...”. (4) Con la legge Merloni, oggi ormai il numero dei ricorsi supera quello delle gare e dei concorsi. (5) Le stesse procedure di ammissione conducono a battaglie (legali) fra i concorrenti, generano ricorsi, riserve, … firme, autocertificazioni, autentiche, fideiussioni. Solo per essere ammessi a partecipare, occorre dichiarare fatturati, esperienze precedenti distinte per “tipologia” (senza pensare che chi - ad esempio - ha già progettato ospedali, visto come sono, è bene che dia spazio ad altri), numero dei dipendenti, presenza di un laureato da meno di 5 anni, … Un coacervo di dati che avvilisce tutti ed ostacola i più giovani.
(6) Fino al ’98, in Francia come in altri paesi anche extraeuropei, i partecipanti ad un concorso erano ascoltati a turno dalla commissione giudicatrice: esposizione e domande, un utile confronto prima del giudizio. Con le regole europee - è davvero indispensabile rivederle - si è reso obbligatorio l’anonimato dei concorrenti, quasi che un buon membro di giuria non sappia distinguere la firma insita nei linguaggi dei concorrenti, specie in un concorso ristretto.
Molti fattori hanno fatto si che ormai anche in Italia cresca il numero dei concorsi di progettazione: non mancano esempi positivi, (7) ma troppo spesso - anche in concorsi di rilievo - elementi irritanti. A Napoli lo dimostrano i due ultimi, quello per il Parco di Bagnoli, dove nessun concorrente è stato capace di rientrare nella griglia delle regole e quello per “un punto di ristoro” nel Museo di Capodimonte dove, secondo la giuria, benché selezionato in base al prestigioso pedigree, nessun concorrente è stato capace di proporre una soluzione accettabile. Lo stesso è successo l’anno scorso per il water-front di Formia. A Firenze, un concorso fra pochi esponenti dello star-system internazionale non è riuscito a generare una piccola pensilina per il Museo degli Uffizi. Poi vi sono le commistioni fra concorrenti e giurie (tempo fa, un apposito sito internet era costantemente alimentato da strane coincidenze nelle aggiudicazioni ...); poi vi sono giurie che sembrano disattendere le regole del bando: oltre al famoso il caso di Padova, dove questo dissenso risultò formalmente esplicitato, recente il caso del concorso di Firenze / piazza Brunelleschi. Poi vi sono casi in cui sono gli stessi enti banditori che disattendono le regole del bando (Università di Foggia) o non giudicano le gare (Università di Pescara). Così ancora concorsi banditi e mai (!) giudicati; quindi grandi concorsi giudicati ma falliti, fra cui quelli per il Borghetto Flaminio a Roma - dissolto - e quello per la sede della Regione Calabria a Catanzaro, poliennale vicenda che sta per concludersi con il rischio di produrre, a firma del locale UT, un monumento all’inefficienza ed all’insulsaggine umana da quasi cento milioni di euro.
Senza parlare delle gare mai giudicate e di quelle mal giudicate (a Napoli, la ristrutturazione della sede della Stazione Zoologica Anton Döhrn; a Torino, il caso dell’Officina Grandi Lavori da trasformare in Urban Center) ed astutamente gestite per vanificare le sentenze di TAR e Consiglio di Stato, con risarcimenti ai 2°classificati fino al 20% dell’importo di gara.
(8) Gli amministratori pubblici - che non sempre colgono la sostanziale differenza fra gare e concorsi - consapevoli che sono i TAR a decidere, per ridurre i tempi ed evitare contenziosi se possono, evitano sia le gare che i concorsi: Napoli è uno straordinario banco di prova di sotterfugi, incarichi diretti, consulenze a progettisti non solo stranieri e di fama, sussurri ed indicazioni a privati. In questa direzione aiutano sia la Merloni che la Bassanini, leggi che hanno incoscientemente esaltato gli incarichi interni agli uffici tecnici delle pubbliche amministrazioni, incarichi non solo estranei alla sbandierata ricerca di qualità, ma che agevolmente possono degenerare in aggiramenti di norme e mercati paralleli.
Commento
14757
di Massimo Pica Ciamarra
del 25/01/2019
relativo all'articolo
Sui concorsi di architettura
di
Sandro Lazier
(1) UN SISTEMA DI GARANZIE NELLA PRATICA PROGETTUALE
A.
Maastricht è una città olandese di medie dimensioni, fino ai primi anni ‘90 nota più che altro per l’università, il carnevale e per aver dato i natali a Rubens. Oggi è famosa per i trattati che hanno dato impulso all’Unione Europea. Unito a quello della sussidiarietà, il principio della concorrenza è sostanziale, a scala mondiale, europea, nazionale e locale. (2) È alla base dello sviluppo: favorisce aggregazioni, integrazioni, organizzazioni, complessità. Chi domanda individua le prestazioni da soddisfare. Se si tratta di un prodotto, chi dovrà realizzarlo è prescelto confrontando parametri misurabili, purché risponda ai requisiti richiesti o ne dimostri miglioramenti. Se invece si tratta di attività intellettuali, prevalgono giudizi complessi, non misurabili, quindi confronti e giudizio critico.
In Italia questi semplici principi sono stati deformati: la cosiddetta legge Merloni - il nome richiama più i frigoriferi che gli edifici, i prodotti di serie più che i prototipi - presuppone un progetto esecutivo astratto, concepito fratturando i rapporti con il committente, i produttori di componenti ed il costruttore. Una legge quindi che mortifica il ruolo dell’impresa e tende a ridurre il confronto al costo di esecuzione.
(3) Il mondo imprenditoriale si sta ben difendendo, ampliando gli spiragli dell’appalto concorso e dell’appalto integrato, dal 2006 attraverso i “dialoghi competitivi”. Il settore della progettazione invece è rimasto impantanato fra attività intellettuali ed attività d’impresa, confuse perché è la stessa la legge che consente di ricorrere a gare od a concorsi, vale a dire di scegliere o il progettista o il progetto.
Oltre a generare fratture fra committenza / progettista / produttore di componenti / impresa di costruzioni (di questo molto, se non tutto, si è già detto) la Merloni ha reso conflittuali questi soggetti. Uno stato di conflitto che riguarda di volta in volta i singoli interventi: pur lasciandoli tutti sempre più consapevoli dell’urgenza di dover insieme uscire dalla trappola infernale che li coinvolge. Sembra concentrarsi su tematiche dei progettisti, ma l’incontro di oggi non persegue interessi corporativi: quel che ormai impregna il mondo della progettazione ostacola la qualità, dilata a dismisura i tempi fra ogni domanda di trasformazione e le realizzazioni conseguenti, è negativo per la collettività nel suo insieme.
Commento
14748
di roberto munari
del 10/01/2019
relativo all'articolo
Labics - Palazzo dei Diamanti
di
Sandro Lazier
Buongiorno.
In casi come questi sarebbe "bellissimo" redarre un contromanifesto di chi è in accordo con il progetto: cittadini, architetti e altri intellettuali, che certamente ci sono.
Solo per dimostrare ai "politici" di turno, che alla fine decideranno come gestire il progetto, che ci sono anche "altri" che non strillano, ma sono silenziosamente d'accordo con il progetto.
Non lasciamo questa Nazione a persone altrettanto ignoranti dei firmatari dello "strillo".
Commento
14749
di roberto melai
del 10/01/2019
relativo all'articolo
Labics - Palazzo dei Diamanti
di
Sandro Lazier
Ripropongo qui il commento che ho pubblicato ieri sul sito Amate l'architettura.
http://www.amatelarchitettura.com/2019/01/i-concorsi-di-architettura-nel-paese-di-pulcinella/?fbclid=IwAR0qajbqcO-ZVqFBydQLUsNPMMHA_coj0CEE75pOZIfZTrpMXPYocV2sZAg
Aggiungo che condivido appieno il ragionamento svolto da Sandro Lazier con cui mi complimento, per quel che vale.
"Sono totalmente d'accordo con quanto affermato dall'anonimo collega con cui mi complimento per la sinteticità dell'argomentazione
Aggiungo che quando sono venuto a conoscenza del bando mi sono stupito e indignato per la scelta di ampliare un'opera quattrocentesca di tale qualità architettonica.
Ritenevo che non fosse possibile farlo a priori e che gli spazi necessari ad un miglior funzionamento dell'attività museale avrebbero potuto essere più facilmente reperiti all'interno dello stesso Palazzo dei Diamanti utilizzando gli spazi del Museo del Risorgimento in via di ricollocamento in altra sede.
Detto per inciso ho partecipato al concorso con un giovane architetto talentuoso grazie al quale siamo stati ammessi alla seconda fase e questo mi ha permesso non dico di appropriarmi ma quantomeno avere conoscenza diretta della problematica progettuale.
E proprio grazie a questa presunta consapevolezza ritengo di poter dire la mia su una soluzione, quella del progetto vincitore, che mi ha sorpreso positivamente per diversi motivi:
a) perchè è la prova che, contrariamente a quello che pensavo, è possibile immaginare un ampliamento a Palazzo dei Diamanti non banale o come semplice addizione modernista eroicamente intesa, tutta protesa ad affermare la diversità dei tempi; e ad inquinare, o addirittura, soverchiare la preesistenza storica come sovente accade o è accaduto;
b) per l'intelligenza dimostrata dagli autori nell'uscire dai limiti all'area di concorso immotivatamente imposti dal bando di gara; e per averlo fatto non tanto per un'esigenza accessoria o meramente funzionale ma per una scelta "strutturale" da cui scaturisce la logica insediativa e, al tempo stesso, l'architettura del nuovo manufatto;
c) per aver adottato un linguaggio contemporaneo -non in stile, mimetico o citazionista- discreto e non spettacolare; un linguaggio che non ha timore di proporre qualcosa di già visto, una corte porticata, declinata tuttavia in modo asciutto e controllato, in grado di stabilire un rapporto di continuità con una preesistenza tanto titolata;
d) per non aver aggiunto un elemento conflittuale e di aver stabilito invece una sottile dialettica di reciprocità con la preesistenza che ripropone quel legame che c'è sempre stato in passato tra parti di uno stesso edificio costruite in epoca diversa, senza cadere nel frustro e acritico refrain in base al quale si sostiene che nei contesti storici ci si dovrebbe esprimere con la massima libertà perchè così è sempre avvenuto in passato.
e) infine perchè, sempre ai miei occhi e non evidentemente a quelli di tanti titolati intellettuali e architetti che hanno sottoscritto l'appello dei f.lli Sgarbi, ha dimostrato la "forza" del progetto di architettura e del suo insopprimibile valore di "ricerca", in grado come in questo caso di dimostrare una tesi difficile come quella alla base dell'arrischiata e, forse non consapevole, scelta dell'Amministrazione Comunale."
Commento
14746
di giuseppe mongelli
del 28/12/2018
relativo all'articolo
Auguri A.D. 2019
di
Sandro Lazier
Condivido nuovamente. Molte volte, al ponte in disuso, si affianca quello nuovo lasciando vivo il ricordo della precedente opera: Roma, Ponte Rotto; vecchie opere di Eiffel amorevolmente conservate a fianco delle nuove !! ecc....
Commento
14745
di giuseppe mongelli
del 28/12/2018
relativo all'articolo
Auguri A.D. 2019
di
Sandro Lazier
Condivido, penso anche che, l'ultimo capitalismo aggressivo, (per non morire), abbia costretto la Democrazia rappresentativa ad investire enormi capitali per far eleggere il Candidato, e che solo gli interessi di pochi gruppi potenti, possano essere rappresentati ....va da sé che!
Quell'uno per cento che dicesi detenere una percentuale smisurata dei Capitali, mai rinuncerà ai paradisi fiscali, e pertanto mai contribuirà ai bisogni, in modo proporzionale alle propri possibilità.
Il commercio delle armi e la droga sono le attività più remunerative in proporzione alle persone impiegate. Gli utili enormi produrranno grandi Capitali che ... saranno investiti anche per difendersi "Democraticamente" ... va da se che!
Commento
14744
di vito mancuso
del 27/12/2018
relativo all'articolo
Auguri A.D. 2019
di
Sandro Lazier
condivido in pieno. le parole giuste al momento giusto. con all'orizzonte l'Etna.
complimenti e auguri per il nuovo anno.
Commento
14742
di Francesco Parisi
del 22/12/2018
relativo all'articolo
Requiem per Genova,
e forse per tutto il paese
di
Sandro Lazier
Avevo guardato con non troppa attenzione il progetto di Piano.
Adesso, dopo la lettura di questo articolo, riflettendoci, credo che Piano avrebbe dovuto
fare di più...impegnarsi come non aveva mai fatto prima per confrontarsi con Morandi.
Ma se questo era il suo primo istinto, poco condivisibile forse, da Grande Saggio avrebbe dovuto vincere il proprio Ego e finalmente impegnarsi per la ricostruzione di quello che è un capolavoro riconosciuto dell'architettura contemporanea, piuttosto che proporre il suo progetto. Un capolavoro da tutti osannato prima, lasciato all'incuria e demonizzato poi, dopo il crollo, tanto da dover essere assolutamente demolito e non meritare più alcuna difesa.
Troppa vanità...
Commento
14731
di vilma torselli
del 11/09/2018
relativo all'articolo
Centro/periferia: il grande gelo
di
Vincenzo Ariu
Roland Barthes scrive di “un senso cenestetico della città, il quale esige che ogni spazio urbano abbia un centro i cui andare, da cui tornare, un luogo compatto da sognare e in rapporto al quale dirigersi e allontanarsi, in una parola, inventarsi ….. il centro delle nostre città è sempre pieno: luogo contrassegnato, è lì che si raccolgono e si condensano i valori della civiltà: la spiritualità (con le chiese), il potere (con gli uffici), il denaro (con le banche), le merci (con i grandi magazzini), la parola (con le «agorà»: caffè e passeggiate). Andare in centro vuol dire incontrare la ‘verità’ sociale, partecipare alla pienezza superba della ‘realtà’.” Il senso della cenesteticità della città è di origine culturale, viene conservato e trasmesso con l’evoluzione e perpetrato attraverso l'immagine del centro come la parte migliore della città, la più degna di essere tramandata e anche se quanto esterno raccoglie significati che il centro rifiuta o reprime, li riconosce tuttavia come indispensabili all’esistenza stessa di un centro che non avrebbe identità senza le relazioni binarie che lo connettono ai margini. “Il punto centrale del centro-città [………] non è il punto culminante di alcuna attività particolare, ma una specie di "fuoco" vuoto dell’immagine che la collettività si fa del centro. Abbiamo dunque, anche qui, un’immagine in qualche modo vuota che è necessaria per l’organizzazione del resto della città” scrive ancora Barthes.
Oggi, in un mondo in cui lo spazio fisico sta perdendo importanza a favore della mobilità virtuale, forse non è necessario che le periferie si ‘emancipino’ e diventino ‘centro’ per acquisire pregio, ma è necessario che scoprano la loro vocazione di entità priva di preciso significato e al tempo stesso capace di accoglierli tutti, serbatoio di risorse e di potenzialità impensate che non va necessariamente reintegrato nella logica produttiva e funzionale della città per avere un senso, non un disturbo a cui rimediare o un problema da risolvere, ma una realtà urbana che può fare dei propri difetti un valore.
La periferia come terrain vague, organismo di frontiera e di confine, punto di contatto fra due identità diverse ma non opposte, una sorta di post-metropoli dove si è spontaneamente modificato il rapporto tra urbano e suburbano, non necessariamente a struttura unitaria, omogenea e concentrata ad imitazione di un ipotetico ‘centro’, ma un insieme di luoghi autonomi e singolari, senza ordine gerarchico né con il centro né tra loro.
Commento
14719
di vilma torselli
del 04/08/2018
relativo all'articolo
Centro/periferia: il grande gelo
di
Vincenzo Ariu
La nostra cultura occidentale ci impone “un senso cenestetico della città, il quale esige che ogni spazio urbano abbia un centro i cui andare, da cui tornare, un luogo compatto da sognare e in rapporto al quale dirigersi e allontanarsi [.…..] il centro delle nostre città è sempre pieno: luogo contrassegnato, è lì che si raccolgono e si condensano i valori della civiltà: la spiritualità (con le chiese), il potere (con gli uffici), il denaro (con le banche), le merci (con i grandi magazzini), la parola (con le "agorà": caffè e passeggiate). Andare in centro vuol dire incontrare la "verità" sociale, partecipare alla pienezza superba della "realtà".” (‘L’impero dei segni’, Roland Barthes, 1970)
Il senso della cenesteticità della città è di origine culturale e viene conservato e trasmesso con l’evoluzione e perpetrato attraverso l'immagine del centro come la parte migliore della città, la più degna di essere tramandata, tanto che l’uomo tendenzialmente propende a costruire a somiglianza del costruito rappresentato dal centro, e anche se quanto esterno raccoglie significati che esso rifiuta o reprime, li riconosce tuttavia come indispensabili all’esistenza stessa di un centro che non avrebbe identità senza le relazioni binarie che lo connettono ai margini. “Il punto centrale del centro-città (ogni città possiede un centro) [………] non è il punto culminante di alcuna attività particolare, ma una specie di "fuoco" vuoto dell’immagine che la collettività si fa del centro. Abbiamo dunque, anche qui, un’immagine in qualche modo vuota che è necessaria per l’organizzazione del resto della città”, scrive ancora Barthes.
Questa interazione, in un mondo in cui lo spazio fisico sta perdendo importanza a favore della mobilità virtuale, forse non deve necessariamente essere conflittuale, sta emergendo un modello sociale a vocazione connettiva basato su comunità metaterritoriali slegate da ogni identità collettiva di appartenenza, una 'comunità connessa’ in cui le informazioni si aggregano per le loro funzioni e non le loro posizioni, acquisendo di volta in volta significato dal loro modo d'uso.
L’informazione è per sua natura ‘equidistante’, superando una serie di stereotipi contrapposti quali centro/periferia, prossimità/lontananza, concentrazione/frammentazione, si può provare a considerare le periferie non come luoghi (o non-luoghi) generici e senza identità, ma come luoghi con dinamiche sociali e spaziali specifiche, non necessariamente in rapporto gerarchico o antitetico con il centro città, in grado di veicolare significati autonomi, nuovi, diversi.
Commento
14699
di mario coscia
del 05/04/2018
relativo all'articolo
Merchants’ National Bank
(1914)
di
Ugo Rosa
inviterei questo saputello
(UGO ROSA)
a leggere quello che frank lloyd wright stesso
scrisse del suo "caro maestro."
p.s. dispiace, oltretutto, leggere delle offese gravissime rivolte a sullivan
da questo perfetto sconosciuto.
" questo perdente "
" la sua tartarughesca esistenza di fallito e di perdente "
MA COME SI PERMETTE !
http://www.organicarch.it/index.php?contenutoID=313
http://www.organicarch.it/index.php?contenutoID=312
http://www.organicarch.it/index.php?contenutoID=311
Commento
14684
di Guidu Antonietti
del 09/02/2018
relativo all'articolo
Piccolo Manifesto per il 2018
di
Sandro Lazier
HOMMAGE AU BERNIN
« Tel, j’eusse été mauvaise enseigne d’auberge.
Puis l’orage changea le ciel, jusqu’au soir.
Ce furent des pays noirs, des lacs, des perches,
Des colonnades sous la nuit bleue, des gares. »
Arthur Rimbaud
Alexandre VII pape humaniste commanda au Bernin (Gian Lorenzo Bernini, dit Le Bernin ou Cavaliere Bernini ) la colonnade de la place Saint-Pierre (1656 -1667), qui s’écarte depuis la basilique comme deux bras qui accueilleraient la foule. Un plan elliptique influencé par les découvertes contemporaines en astronomie. L’usage de l’ellipse se généralisera pour devenir un lieu commun de l’architecture baroque.
Commento
14680
di vilma torselli
del 21/01/2018
relativo all'articolo
OcchioPinOcchio
di
Ugo Rosa
La predominanza dello sguardo, ipocrita, bugiardo, prepotente e ingannatore che sia, ha ragioni soprattutto evolutive ed è iniziata quando un nostro lontano antenato si è faticosamente drizzato sulle zampe posteriori scoprendo, da quella insolita altezza, nuovi, sconfinati orizzonti in cui spaziare (con lo sguardo), ricavando una visione del territorio infinitamente più ampia e più ricca di informazioni 'osservabili' utili per la sua sopravvivenza. Voglio dire che "la parte del leone" l'occhio non se la è presa, gliele abbiamo data, privilegiando una scelta evolutiva che, pare fino ad oggi, è stata la più utile (quand'anche non necessariamente la migliore) per la nostra sopravvivenza.
Certo, il naso si è allontanato dal suolo e l'odore dell'humus si è fatto più debole, la localizzazione data dai suoni è passata in secondo piano a fronte della precisione della visione e forse è da allora che è cominciato l'adattamento selettivo per l'utilizzo dei nostri miseri cinque sensi, orientandosi alcuni verso la coscienza rappresentativa e cognitiva, altri verso quella affettiva.
Così un neonato riconosce la madre dall'odore che emana, dal sapore del cibo che gli fornisce, dal suono della voce, dal contatto fisico di un corpo caldo, finendo solo in seguito per privilegiare il canale visivo che allo stato attuale, ci fornisce circa l'80% delle informazioni sul mondo che ci circonda.
Quanto a Goethe, più fonti gli attribuiscono queste considerazioni: "Usare occhiali non ha un effetto costruttivo per gli uomini. Quando vedo attraverso le lenti, sono un altro uomo. Non mi piaccio più. Vedo più di quanto sia necessario vedere. Il mondo visto eccessivamente nitido non va d'accordo con il mio io nella sua globalità."
Ma non basta più non mettersi gli occhiali, perché oggi ogni riflessione sulla nostra identità passa attraverso il selfie, che innesca un processo cognitivo, emozionale e relazionale attorno ad un racconto autobiografico dove l'io soggetto-spettatore e l'io oggetto-rappresentato coincidono. E non ci sono scappatoie.
Commento
14675
di Alberto Cuomo
del 09/12/2017
relativo all'articolo
Merchants’ National Bank
(1914)
di
Ugo Rosa
Nutrivo sospetti sul rapporto di Wright con Sullivan. Non conoscevo questo progetto. Grazie a Ugo Rosa per quanto scrive e per come scrive.
Commento
14673
di Guidu Antonietti
del 08/12/2017
relativo all'articolo
Deformazione culturale
di
Sandro Lazier
SOLILOQUE DE L’ARCHITECTE
https://fr.wikipedia.org/wiki/Soliloquie
Ca y est j’ai décidé
J’arrête l’Architecture,
je viens de racheter une boutique de fausses antiquités romaines
A Palerme !
Qui m’accompagne ?
Sauf si soudain l’envie me reprenait
D’exercer mon ancien métier :
accordeur de Piano…n’est-ce pas Rogers ?
Le thé est servie sur la terrasse …
De quoi discuter de la pertinence d’un bon choix d’ensoleillement …
Plein sud évidemment… quoique que le couchant, c’est bien aussi ..
Et si nous allions au concert ?
Rock, Jazz, ou musique baroque …
Andrea Palladio traçait bien ses esquisses
en compagnie de Claudio Monteverdi …
En préalable je vais tondre la pelouse ...
Une façon comme une autre de tracer des lignes dans l'espace ...
Ma façon à moi de faire du Land Art...
Oui, Architecte devant sa page blanche ...
Vu que je ne suis né pas très loin de la tour de Pise
je me dis que celle de Babel a de beaux jours devant elle …
Oui, c’est bien en Italie que l’on a inventé la fonction oblique.
Et de tour sans fin, moi … je n‘ai jamais eu besoin …
Sur un coin de table,
j'ai toujours un bloc notes carré
qui me permet à certains instants de dessiner
ou d'écrire comme bon me semble.
Ces instants privilégiés où je prends le stylo et ou je dessine
sont de véritables minutes de détente et d'évasion.
Dans ces instants, la main guide l'esprit...
le temps que l'esprit reprenne la main.
J’ai toujours pensé que le palmier était bien plus qu’un arbre d’agrément,
Un graphisme jaillissant du stylo,
Qui ferait un beau contrepoint à une maison bleue …
La question c’est qu’il est bien plus facile de répandre de l’azur
Sur une façade simple
que de faire pousser un chamérops dans le désert…
Constructivisme…déconstructivisme ?
Au temps des cathédrales on y avait déjà pensé !
Non ?
L’Architecture est invariable …seul change ceux qui la font !
De nos jours ils ne sont plus anonymes …enfin presque plus !
Ce qui a changé c’est la manière de la communiquer !
D’ordinaire les Architectes
Dessinent peu les aménagements urbains de détails …
En France surtout…
Les ingénieurs des services techniques des villes traçant simplement
la plus courte logique de leurs réseaux avec l’aléatoire comme seul parti…
une exigence valant une autre…
C’est le regard qui en rétablissant la poétique du hasard des sols,
sait son essentielle reconstitution …
Je signe systématiquement mes bâtiments,
les maîtres d’ouvrage n’apprécient pas toujours …
Mais ils ne peuvent s’y opposer c’est inscrit dans la loi,
La qualité d’auteur d’un projet est imprescriptible.
Je ne l’ai encore jamais fait de façon autographe
J’y songe pourtant …
Serais-je appeler en justice pour dégradation d’édifice ?
Un nom qui commence par star et qui finit comme sark,
Une qui étoile qui brille un prédateur qui réussit,
L’homme identifié aux objets consommés …
Philipe Starck
Oui c’est ça nommer… se nommer…
Au fait Design cela veut dire dessin tout simplement…
Pourquoi les objets design sont souvent over design ?
Mon rêve serait d’organiser une expo de meubles quakers
Seulement conçus… mais sans dessin justement …
Certaines toiles de Chirico,
Qui sont manifestement provoquées par des sensations d'origine Architecturale,
Peuvent exercer une action en retour sur leur base objective,
Jusqu'à la transformer…
Elles tendent à devenir elles-mêmes des maquettes.
D'inquiétants quartiers d'arcades pourraient un jour continuer,
Et accomplir l'attirance de cette oeuvre.
Amitiés cher Sandro
Guidu
Commento
14674
di Sandro Lazier
del 08/12/2017
relativo all'articolo
Deformazione culturale
di
Sandro Lazier
Mai così attuale.
"Inseparabile dalla fede architettonica è la fede in alcuni principi generali di ordine politico e sociale. I seguenti principi costituiscono per noi le premesse ideali dell'Architettura Organica:
1) La libertà politica e la giustizia sociale sono elementi inscindibili per la costruzione di una società democratica. Tutti i fascismi, insieme a tutte le istituzioni che li hanno favoriti e che potrebbero farli rinascere, sono perciò da condannare.
2) E' necessaria una costituzione che garantisca ai cittadini la libertà di parola, stampa, associazione, culto; l'eguaglianza giuridica di razza, religione e sesso; il pieno esercizio della sovranità politica attraverso istituti fondati sul suffragio universale. Per nessuna ragione è giustificata l'oppressione delle libertà democratiche.
3) Accanto alle libertà democratico-individuali, la costituzione deve garantire al complesso dei cittadini le libertà sociali. Crediamo perciò nella socializzazione di quei complessi industriali, bancari ed agrari, i cui monopoli sono contrari agli interessi della collettività.
Crediamo nella liberazione delle forze del lavoro e nella fine dello sfruttamento del lavoro per fini egoistici.
Dobbiamo tendere ad una cooperazione internazionale dei popoli opponendoci a tutte quelle forme di miti e di risentimenti nazionalistici e autarchici che sono state cause e caratteristiche del fascismo.
Chiedere libertà e giustizia per la propria patria è giustificato nella misura in cui questa libertà e questa giustizia si identificano con la libertà e la giustizia per tutte le patrie...".
(Bruno Zevi - Fondazione dell' APAO 1945)
Commento
14672
di vilma torselli
del 29/11/2017
relativo all'articolo
Cartella L - sezione museo
di
Antonio Mastrogiacomo
Come spesso accade quando si parla di 'mode', culturali e non, l'Italia sta cercando di adeguarsi al modello americano, efficacemente rappresentato, uno per tutti, dal Guggenheim, una griffe come Prada e Armani diffusa nel mondo, a New York a Bilbao a Venezia a Berlino (dove è in joint-venture con Deutsche Bank), vera e propria multinazionale dell’arte che gestisce la totalità delle opere del ‘900 e parallelamente un enorme bilancio per ciò che riguarda l’indotto (vendita di cataloghi, riproduzioni, gadget firmati, shop museum, guggenheim store, café museum ecc.), una delle multinazionali dell’arte in mano a famiglie americane ricche e potenti che, mettendo a frutto le proprie opere private, gestiscono autonomamente oltre ai vari Guggenheim, il Getty Museum, il Whitney Museum, il Metropolitan ecc. per iniziativa di singoli individui ai quali la comunità, diversamente che in Italia, non ha delegato alcun compito rappresentativo.
Nulla di male che il museo, oltre che cultura, produca anche reddito e servizi, anzi, tuttavia, come commenta Salvatore Settis in una vecchia ma ancora attuale intervista su Repubblica, non va dimenticata la "profonda differenza ontologica tra musei italiani e statunitensi” secondo la quale “i musei americani non hanno alcun legame storico con il luogo in cui sorgono, a differenza dell'Italia dove formano invece un tutt'uno con la città, il villaggio, il paese. Gli Uffizi appartengono a Firenze così come Firenze è rappresentata dagli Uffizi. Il Metropolitan, il Getty sono delle "astronavi" che potrebbero vivere ovunque negli Stati Uniti …. ”. (http://www.repubblica.it/2003/j/sezioni/cronaca/musei/settis/settis.html).
Quindi sì a ristorazione, bar, oggetti ricordo, gadget, cataloghi, volantini e quant'altro, ma soprattutto iniziative e nuove idee per la valorizzazione del "nesso museo-territorio", per non omologare il nostro paese unico e bellissimo, fatto di realtà molteplici ed tutte diverse, alla imperante McDonaldizzazione che non ci rappresenta e non ci meritiamo.
Commento
14670
di Raffaele Cutillo
del 23/11/2017
relativo all'articolo
Passaggi di riconversione simbolica:
il caso di
di
Andrea Bulleri
Ottimo testo, Andrea. Un tema che andrebbe allargato anche alla statica in_esperienza italiana al riguardo. Complimenti.
Commento
14665
di vilma torselli
del 31/10/2017
relativo all'articolo
Architettura al MAXXI, utopia o realtà?
di
Ambra Benvenuto
Come dire: meglio l'utopia della realtà, meglio la versione disneyzzata tipo "minitalia" piuttosto che una realtà che, al banco di prova, si rivelerebbe deludente e inadeguata. Questa spiazzante virtualizzazione del mondo alla quale google maps ci ha introdotto, con viaggi impossibili nell'infinitesimale già appannaggio della letteratura fantasy del '900, mi sembra un pessimo segnale sia per gli architetti che per i fruitori della loro architettura, almeno fino a che non sarà possibile la miniaturizzazione degli utenti come in un celebre film degli anni '60.
Commento
14659
di Giulio
del 20/10/2017
relativo all'articolo
Preludio
di
Ugo Rosa
Potremmo dire che l'architettura vale meno di niente....... ma allora l'architettura vale più di tutto
L'architettura é un tutto alla ricerca di quel niente che per sua natura non può esserci
Commento
14536
di Mario Galvagni
del 27/07/2017
relativo all'articolo
Galvagni, Gaudì e la ricerca
di
Sandro Lazier
L’Architettura costruita
Bruno Zevi nella sua vita di studioso invitava a pubblicare sulla rivista “L’Architettura cronaca e storia”da lui fondata e sui suoi libri soltanto edifici costruiti. Nessun progetto non costruito.
Le ragioni sono che, l’osservatore vivendo gli spazi interni dell’edificio percepisce la dimensionalità delle tre coordinate spaziali, mentre vivendo gli spazi esterni egli percepisce la coordinata temporale. La coordinata temporale è quella che plasma lo spazio esterno e , percorrendolo ci coinvolge emotivamente.
Commento
14522
di MARCO
del 09/05/2017
relativo all'articolo
Pritzker Architecture Prize 2017
di
Sandro Lazier
Ottimo articolo molto coinvolgente.
http://www.calcolostrutture.net/
Commento
14445
di andrea pacciani
del 09/01/2017
relativo all'articolo
Il progetto di Fuksas per il Centro Congressi Ital
di
Sandro Lazier
"contenere sale ed auditorium in una configurazione informale rispetto all’involucro stereometrico che la ospita".
Ciò non accade nell'edificio di Fuksas poichè stereometriche sono gli spazi interni delle sale e dell'auditorium per cui il formalismo della nuvola è assolutamente gratuito e manierista; pertanto nulla di nuovo per questa triste architettura fatta da un inutile groviglio di putrelle...
Siamo fermi ai capricci di un re sole dell'architettura moderna, poco cambia da questo progetto di casa elefante:
https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Elephant_fountains#/media/File:Ribart_Elephant_triomphal.jpg
9/1/2017 - Sandro Lazier risponde a andrea pacciani
Stereometrici gli interni della nuvola?
Dalle sezioni non direi proprio.
Commento
14431
di Massimo Pica CIAMARRA
del 30/12/2016
relativo all'articolo
Auguri per il 2017
di
Sandro Lazier
Caro Sandro, grazie per la chiarezza delle tue valutazioni. Le condivido in pieno. Non concordo però sulle cinque righe conclusive, convinto che la logica globale in atto non spinga verso omologazioni, bensì debba far riflettere su differenze ed identità senza cadere in nazionalismi o caricature strapaesane. A scala globale vanno condivisi temi e principi, ma -ad esempio- l’attenzione alle questioni ambientali e climatiche si declina diversamente nelle varie regioni del pianeta. Cultura, comportamenti, forme di socializzazione, aspirazioni, non sono le stesse dovunque: tutto spinge il costruire al di fuori di ogni ipocrisia disciplinare. Urgono profondi rinnovamenti. S’impone paziente lavoro, ricerca, stratificazioni di innovazioni, anche molto diverse nei vari contesti.
30/12/2016 - Sandro Lazier risponde a Massimo Pica CIAMARRA
Grazie Massimo per il tuo intervento. Capisco cosa vuoi dire e cosa contesti.
Vorrei però approfondire la mia tesi.
Mi piace che le diversità ambientali determinino soluzioni diverse, ma non mi piace che siano le diversità culturali a determinare le soluzioni. Questa credo sia la chiave.
Ho riflettuto molto sul fatto che tutta l’evoluzione, di cui gli aspetti storici e culturali sono l'esito e non il motore, sia fondamentalmente una faccenda che ha a che fare con la tecnica. Occorre tenere conto che le diversità culturali perdono la loro intensità nei luoghi in cui è alta la presenza della tecnologia. Lo sviluppo costante della tecnica produce, quindi, il processo inevitabile della perdita delle identità oggettive. A tale perdita irreversibile si è voluto contrapporre un canone artificioso, un salvagente dell’identità, un’equazione in cui l’aspetto culturale da variabile dipendente è diventato variabile indipendente, con la presunzione che sia un teorico impianto culturale a definire ciò che invece un tempo determinava la cultura.
Se i ruoli vengono ribaltati, e l’identità culturale diventa il promotore del cambiamento, questo non può avvenire se non guardandosi alle spalle, cercando di non perdere le forme della cultura, le uniche in grado di riconoscere, senza più badare alla sostanza. Ma occorre ricordare che non è quella cultura che ha prodotto quel passato, ma è stato quel passato che ha prodotto quella cultura.
Pensare di governare il presente con la cultura del passato è illusorio, e produce solo gli stessi guasti del passato.
Io credo, infine, che ogni essere umano abbia diritto al massimo della tecnica e della tecnologia, se questa serve alla qualità della sua vita. Se questo traguardo deve pagare il prezzo della perdita di alcune identità culturali, io sono disposto a pagarlo senza riserve e rimpianti.
Commento
14425
di Dipl. Architekt nicolo piro
del 13/12/2016
relativo all'articolo
Complessità e contraddizioni della conservazione
di
Vincenzo Ariu
L' Huffington Post 13.12.2016
Da Gentiloni una buona Politica per la
Stia però attento alla "lealtà" offertagli dal cannibale e sciacallo, imbro(co)glione, narciso e ignorante Matteo Renzi (e corte), per evitare che gli venga riservata la fine di Letta. La baggianata della crisi con in primo piano uno scialbo e zoppo pdR. Sergio MATTARELLA-BUCCELLATO, cerimonie, picchetti di (dis)onore, passarelle di cadaveri, stupidità raccontata dai media ruffiani ha un solo aspetto di positivo: la spedizione - speriamo definitiva - del pupo fiorentino nella discarica della storia di questa vuota repubblica dove, come narciso, avrà tutto il tempo per andare in cerca di pozzanghere dove specchiarsi.
Gentiloni, inoltre, che si guardi bene da comunisti velenosi come Del(i)rio ed Err a n o, e il più presto possibile provveda a sostituirli in quanto incapaci di gestire una operazione sì complessa come la ricostruzione dei luoghi colpiti dal sisma per la quale irrinunciabile deve essere il ruolo di studiosi di sociologia urbana, storia, storia dell' Urbattura medievale, ingegneri strutturisti, ingegneri tecnologici, e l' apporto oltremodo irrinunciabile di esperienze internazionali recepibili rivolgendosi ad architetti di Olanda, Germania, Danimarca, Giappone - in primis il grande architetto danese Jan Ghel - e con l' indire concorsi internazionali di progettazione, come esemplarrmente continua a fare la Germania, con punto focale proposte d' intervento nella città storica italiana medievale e alla riscoperta dei caratteri dei suo caratteri cristiani (Italia centrale) e islamici (Italia meridionale e Sicilia), avendo posto come punto di partenza una indagine accurata sull' Urbanistica greca (Polis) e romana (Urbs), vista come nucleo costitutivo della
Porti, pertanto, il Capo del nuovo (mal)Governo, Paolo Gentiloni, la cultura urbana al posto che merita e che in questa Italia cialtrone non le viene concesso, e trovi il coraggio di fare del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti il
Questa sarebbe veramente la
Un buon lavoro, pertanto, auguro a Paolo Gentiloni con l' auspicio che la Signora (architetto) possa essergli brava consigliera,
www.facebook.com/nicolo,piro.31
www.lapiazza-oce.org
Categoria: Politica
Commento
14424
di nicolo piro
del 12/12/2016
relativo all'articolo
Ennesimo terremoto con disastro annesso
di
Sandro Lazier
La nuova first lady è architetto , , , scrive la stampa ruaffiana
Speriamo che dia buoni buoni consigli al marito sulla ricostruzione (complessa) nel segno della cultura urbana dei Comuni colpiti dal sisma togliendola dalla mani dei vari Renzo Piano, "Polimi", Del(i)rio, Err a n o & derivati, coinvolgendo il contributo internazionale coniugandolo con tradizione e modernità nella ricerca di una nuova metodica di prevenzione di futuri disastri e, infine, nel tanto auspicato recupero dei centri storici.
La
Due realtà diverse e affascinanti la cui interpetrazione non può essere lasciata all' architetto Renzo Piano, al Polimi ed all' ignoranza di quella malapolitica che arruola e sfama architettti come la signora Simona Vicari e il signor Filippo Bubbico per collocarli in ministeri che nulla a che vedere hanno con la loro presunta qualifica professionale.
www.facebook.com/nicolo.piro.31
Commento
14416
di vilma torselli
del 31/10/2016
relativo all'articolo
Il progetto di Fuksas per il Centro Congressi Ital
di
Sandro Lazier
Sandro, vorrei, a margine, sottolineare, come tu stesso rilevi, che nel caso della Fallingwater, Wright sperimentava a spese del signor Edgar J. Kaufmann, proprietario dell'omonima catena di grandi magazzini, che non doveva rendere conto ad un popolo di contribuenti di ciò che spendeva.
E' chiaro come il progetto della “nuvola nella teca” (poetico gioco di ruoli che vorrebbe imprigionare ciò che non si può imprigionare) persegua l'intento di creare una "configurazione informale" in quella che Zevi avrebbe definito action architetture, perseguita con un notevole "grado di accuratezza e di profondità del progetto nel suo insieme" tanto più lodevole trattandosi di un progetto molto complesso, accuratezza e profondità necessarie e doverose, ci mancherebbe altro, dopo 18 anni di elaborazione progettuale e un esborso di euro pubblici lievitato da 275 milioni a 413 non ancora definitivi, oltre ad un prestito governativo di 100 milioni di euro.
In attesa di stabilire "se siamo di fronte ad un’opera d’arte vera o ad una costosissima gigionata", vale la pena di sottolineare che il ruolo etico dell'architettura non è un optional o un'invenzione di pochi benpensanti, e voglio ricordarlo citando uno stralcio dal libro di un biogenetista Edoardo Boncinelli: ‘Come nascono le idee’, Edizioni Laterza, 2008 – pag.107:
"In un famoso studio condotto su un nutrito gruppo di architetti, si osservò per esempio che l'interocampione mostrava nei test di intelligenza punteggi superiori a quelli misurati nella popolazione generale, ma quando gli architetti, giudicati come più creativi dai colleghi, venivano confrontati con il resto del campione, architetti creativi e architetti per cosÌ dire più normali non mostravano differenze significative nei punteggi riportati nei test di intelligenza. D'altra parte, i soggetti giudicati creativi erano anche giudicati come più intelligenti dalla media dei loro pari. Ciò può dipendere dal carattere fortemente sociale della creatività. Per essa occorre anche il riscontro della valutazione collettiva. Essere creativi implica produrre qualcosa di innovativo che appaia utile o comunque rispondente a un bisogno condiviso e che ottenga pubblico consenso per entrambi i termini. Il prodotto creativo, cioè, deve poter essere giudicato dalla comunità in cui l'atto creativo è espresso come innovativo realmente utile." Per quanto strano possa sembrare, un biogenetista parla specificatamente di ‘architetti’ e pone l’accento sulla qualità sociale che si accompagna alla creatività e che giudica l’atto creativo degno di riconoscimento in quanto origine di un prodotto socialmente utile, in grado di sintetizzare ruolo civico e valenza etica.
Apparentemente, guardando al fenomeno delle archistar, non sembra più necessario il pubblico consenso né una particolare capacità sociale, essendo la maggior parte dell’architettura e (dell’arte) moderna estranea ed incompresa per il grande pubblico e per la comunità in cui si esprime. Del resto è stato così anche quando hanno costruito la Basilica di San Pietro.
E' irrilevante che da allora siano passati secoli? Che qualcosa sia cambiato nella consapevolezza sociale dell'uomo di oggi?
E' scontato "che per dare giudizi sull’architettura occorre innanzitutto conoscere l’architettura", ma il resto del mondo, che non ha conoscenze per dare giudizi di architettura (e magari neppure ne dà), ma la paga e la subisce e dovrebbe essere l'utilizzatore finale, che ruolo ha?
Cogliendo i commenti sulla festa di inaugurazione molto elitaria del centro di Fuksas, osserva Alessandro Tempi, attento osservatore del sistema dell'arte moderno: "l’idea che il popolo - o il pubblico, i cittadini - debba solo (gioiosamente?) confermare quanto altri hanno scelto per loro in campo artistico ha qualcosa di perverso, per almeno un paio di motivi, il primo dei quali è presto detto: esso dissimula il fatto che solo questi “altri” siano in grado di dire cosa arte possa essere o diventare; il popolo può solo venire a far festa dopo."
Non voglio essere polemica, né sono in grado di offrire proposte di soluzione per una dicotomia che, anche da prima della costruzione della Basilica di San Pietro, è sempre stata "il riflesso di quella stessa fastidiosamente disinvolta autoreferenzialità che affligge la nostra classe politica, che si sforza di rendere appetibile l’Italia affamando gli italiani."
Commento
14414
di Vito corte
del 31/10/2016
relativo all'articolo
Il progetto di Fuksas per il Centro Congressi Ital
di
Sandro Lazier
Rispetto le considerazioni di Sandro Lazier e ne condivido la critica specialmente per il modo in cui essa è formulata: offrendo cioè gli argomenti di verifica, grazie ad una sufficientemente completa rassegna di documenti tecnici (il progetto architettonico allegato, purché in scala 1:200, consente di supportare oggettivamente molte riflessioni).
Vorrei tuttavia, se possibile, formulare le mie riflessioni. Esse sostanzialmente si concentrano su due aspetti.
Il primo è quello dei costi.
D'accordo sulla necessità/inevitabilità che una grande opera significativa per la Nazione necessariamente deve essere una opera impegnativa sotto il profilo dei costi necessari per realizzarla.
Ma i costi devono essere ben preventivati, specie quando non si tratti di una bazzecola.
Immagino, anche perché io stesso vittima incolpevole di un sistema burocratico amministrativo e politico italiano che definire inaffidabile è solo eufemismo, che le condizioni al contorno abbiano determinato un progressivo incremento dei costi ma vi sono alcuni elementi che nella forma e nella sostanza a me non "suonano" a favore dell'opera. Leggere infatti che nel corso dei lavori sono state effettuate ben dieci perizie di variante e suppletive, leggere che esiste tuttora un rilevantissimo contenzioso con l'impresa esecutrice e che ancora le corposissime riserve da essa formalizzate (ammontanti a milioni di euro) non sono state ancora risolte, mi porta ad esprimermi non più solo da architetto amante ed appassionato dell'architettura e del mestiere. Sono consapevole che questa posizione si presta ad essere sbrigativamente collocata nella categoria del professionismo puro, ma non è il professionismo a farmi esprimere così: è invece un'esperienza ormai lunga di un mestiere che amo più di ogni altro ma che vede sempre più svuotato di contenuti. C'è un impegno civile ed etico, insieme a quello creativo e tecnico, che muoverebbe l'architetto di un'opera - specie se pubblica- informando i suoi atteggiamenti verso la misura ed il rigore. E qua, sono i documenti a dirlo, non c'è stata misura nè rigore.
Altro aspetto critico è quello del linguaggio.
Esso è più pertinente alla disciplina del progetto: quando il passaggio di scala dal concept disegnato a mano al disegno esecutivo rimarca evidenti soluzioni di continuità allora credo che ci sia qualche problema.
Spiegandomi meglio: fintantoché l'opera architettonica, nel suo tentativo "artistico" di staccarsi dal figurativo per avvicinarsi al concettuale sarà costretta a prendere forma con materiali e soluzioni costruttive tradizionali, allora vorrà dire che il tentativo non sarà del tutto riuscito.
Quando cioè - e il caso in esame accomuna questa opera con molte altre di altri grandi architetti, tra cui F.O. Gehry - il "sistema intelaiato" costituito da membrature metalliche continua ad essere sempre uguale al trilite arcaico, pur nelle modulazioni e deformazioni del caso, non potrà dirsi, a mio parere, che si sia fatto un significativo passo avanti.
Se l'opera è concepita in tutto o in parte come risultato espressionista (e qua mi riferisco proprio alla nostra storia dell'architettura moderna che ha prodotto veri avanzamenti in tale direzione) allora che sia coerente in tutti i suoi passaggi e che non affidi, invece, al cartongesso la risoluzione della finitura superficiale ad occultare buona parte dei processi costruttivi.
Spero che queste mie considerazioni possano essere accettate e che si possa ulteriormente discutere sull'argomento.
31/10/2016 - Sandro Lazier risponde a Vito corte
Sui costi.
Pare che Fallingwater di F.L. Wright sia costata 5 volte quanto preventivato. Le varianti in opera non si contarono. Wright sperimentava, faceva facendo, che secondo me è l’unico modo possibile per portare a termine opere di complessità elevata. Giustamente un edificio pubblico deve dar conto dei costi ma, telo dico per esperienza, senza modifiche in corso d’opera, limature e affinamenti il risultato non è mai di alto livello. Solo opere banali e ripetitive possono essere definite completamente a priori, e spesso sono la gioia dei costruttori.
Altra cosa sono le ruberie e il malaffare. Ma lì l’architettura non c’entra nulla.
Sul linguaggio.
Ci sono due aspetti che non possono più essere tralasciati nel linguaggio artistico contemporaneo.
Il primo riguarda il rapporto nuovo/vecchio. Noi abbiamo vissuto per secoli nella convinzione che il nuovo dovesse sostituire interamente il vecchio. Un vero processo di sostituzione storica. Da ragazzino immaginavo che negli anni duemila ci fossero solo grattacieli di vetro e strade sospese in aria.
Ma non è accaduto così. L’avvento della rete informatica, il web, ci ha invece fatto capire che il nuovo non sostituisce il vecchio, ma si somma ad esso. Come nel web, le informazioni sono sempre presenti. Basta richiamarle in vita quando servono. La portata di questa novità è straordinaria perché, nel caso dell’architettura (occidentale) recupera tremila anni di storia conosciuta e li riattualizza.
Questo concetto, malamente interpretato dal movimento postmoderno che ha pensato di fare il nuovo pescando nel vecchio, come se tutto non cambiasse mai, ha liberato i progetti da quella che un tempo era definita coerenza: lo stile, l’-ismo. Il fatto di utilizzare concetti arcaici come il trilite (peraltro qui realizzato ad una scala inimmaginabile nell’antichità) non può più porre pregiudizio alla attualità dell’opera.
La scelta di una struttura regolare per il contenitore è parte del risultato scenico del contenuto.
Il secondo aspetto riguerda l’uso dei materiali. I materiali sono come le parole e in architettura non esistono parole nuove, vecchie, brutte, cattive. La novità o la vecchiaia, la virtù o la volgarità dipendono esclusivamente dalle frasi che si compongono, da come si mettono insieme le parole. Proprio Gehry ce lo ha insegnato.
Commento
14415
di Marrucci
del 31/10/2016
relativo all'articolo
Il progetto di Fuksas per il Centro Congressi Ital
di
Sandro Lazier
Si parte con l'idea fascinosa di una nuvola per approdare a quella più terricola di una patata trasparente imprigionata dentro ad un strutturalità che pare assai più vicina alla gabbia...
Il costo pare un mistero ma che dire? in Italia il mistero irrivelato pare abbia un fascino irresistibile...
Commento
14411
di vilma torselli
del 23/10/2016
relativo all'articolo
Ennesimo terremoto con disastro annesso
di
Sandro Lazier
bravo Sandro, una voce forte e chiara contro l'insensata retorica del com'era dov'era!
Commento
14399
di andrea pacciani
del 30/08/2016
relativo all'articolo
Un'americanata a Venezia
di
Mariopaolo Fadda
“L’adagio nostalgico:’Com’era, dov’era’ è la negazione del principio stesso del restauro, è un’offesa alla storia e un oltraggio all’Estetica, ponendo il tempo reversibile, e riproducibile l’opera d’arte a volontà.” (Brandi 1977)
"Non si deve allontanare la gente da dove ha vissuto. Amatrice, Pescara del Tronto, Arquata, Accumoli, Grisciano: bisogna ricostruire tutto com’era e dov’era. Sradicare le persone dai loro luoghi è un atto crudele. Vuol dire aggiungere sofferenza alla sofferenza". [...] "Bisogna ricostruire tra le pietre, le soglie e la gente che la abita". [...] "L’anima dei luoghi non si può cancellare (Renzo Piano 2016)
Ci sono voluti 40 anni....
Commento
13999
di Carlo Sarno
del 08/01/2016
relativo all'articolo
Sulla bellezza e l'eco-buonismo
di
Sandro Lazier
Si, è proprio vero Sandro, è ora di porre fine a questo periodo di profonda ipocrisia disciplinare architettonica, le "oscillazioni del gusto" non possono condizionare la vera Tradizione dell'Architettura... a questo tuo richiamo della coscienza mi viene in mente un significativo e pregnante messaggio di Gio Ponti, che nella sua semplicità chiarisce il mio pensiero a riguardo della tua riflessione : " AMATE L'ARCHITETTURA " !!!!!!!!!!
Commento
13997
di Carlo sarno
del 08/01/2016
relativo all'articolo
Sulla bellezza e l'eco-buonismo
di
Sandro Lazier
Si, è proprio vero Sandro, è ora di porre fine a questo periodo di profonda ipocrisia disciplinare architettonica, le "oscillazioni del gusto" non possono condizionare la vera Tradizione dell'Architettura... a questo tuo richiamo della coscienza mi viene in mente un significativo e pregnante messaggio di Gio Ponti, che nella sua semplicità chiarisce il mio pensiero a riguardo della tua riflessione : " AMATE L'ARCHITETTURA " !!!!!!!!!!
Commento
13630
di greemens
del 31/05/2015
relativo all'articolo
Il padiglione italiano di Expo 2015
di
Sandro Lazier
BRAVO Lazier... ti condivido in toto, hai proprio centrato il punto... l'architettura ha perso la sostanza, è divenuta solo apparenza e tutti a gridare "contemporaneo, spettacolare", senza capire... parlare di architettura organica, o peggio di decostruttivismo, x questo manufatto "metrocubista" con pelle alla copia&incolla (vd stadio Pechino) totalmente scisso interno/esterno è davvero uno schiaffo a chi "sa vedere l'architettura"... il commento riparatore alla tua critica attesta la vera limitatezza culturale di questi "critici trend" che applaudono ad ogni schifezza che purtroppo da troppi anni ci fanno passare x architettura... la tristissima verità è che l'architettura è morta, purtroppo... hanno ammazzato il vero architetto togliendogli la libertà, l'essenza vera alla base di ogni architettura... e non è solo un discorso italiano (che ormai conosciamo bene), ma tragicamente mondiale... Gehry un po' resiste ancora, trovo che ultimamente anche la Hadid ha ceduto... e l'ignoranza architettonica impera...
Commento
13621
di Pietro c.
del 13/05/2015
relativo all'articolo
Il padiglione italiano di Expo 2015
di
Sandro Lazier
Premetto che non ho visitato il padiglione in questione, quindi mi astengo da un giudizio definitivo su di esso. Detto ciò a quanto si può vedere dalle immagini condivido la recensione. Mi sento di aggiungere ancora una riflessione sulle motivazioni che possono spingere la progettazione verso questi risultati. Secondo me è importante, per capire, tenere presente il contesto in cui quest'architettura si inserisce. Stiamo parlando di un contesto ad alto grado di spettacolarità (spettacolo che comunque non sempre intendo con accezione negativa, quando c'è chi sa farlo), in cui i visitatori mediatici saranno enormemente superiori a quelli reali, ossia i fruitori dello spazio: in fondo, nel complesso della manifestazione credo (ahimè) che le architetture ricoprano un ruolo di supporto, uno dei tanti elementi della sociètà soggetti a reificazione, la dove il fine ultimo è il giro di denaro messo in circolo per far girare altro denaro. Questo non per giustificare le scelte progettuali, ma per provare a darne un'interpretazione.
Commento
13619
di vilma torselli
del 12/05/2015
relativo all'articolo
Il padiglione italiano di Expo 2015
di
Sandro Lazier
Sandro, mi pare che l'architettura contemporanea, come del resto l'arte visiva, sempre più tenda ad un linguaggio sinestetico entro il quale la scenografia (il come) rivendica la sua parte. Perché pelle, epidermide, facciata dovrebbero essere termini esclusi da ogni discorso sull'architettura? Forse la pelle non è indispensabile tramite per portare in superficie l'urlo che parte da dentro? E non è proprio la manifestazione epidermica, melodrammatica, teatrale che lo riverbera all'esterno? E la pelle, non è forse il luogo in cui l'architettura confina col mondo ed acquisisce senso dal confronto con esso?
L'apparenza sta sempre più diventando sostanza, sostituendo l'immagine della rappresentazione alla rappresentazione stessa in una 'realtà aumentata' o aumentabile con informazioni 'aggiuntive' che possono alterare radicalmente la percezione spaziale di ogni architettura. Se l'architettura, come ogni esperienza umana, è ciò che percepiamo di essa, oggi l'architettura è uno spazio, o meglio la percezione di uno spazio, radicalmente cambiato nei suoi stessi parametri, pluridimensionale, elastico, mutevole, colorato, interattivo, contaminato, multiforme, virtualizzato e, perché no, scenografico, questo ci dice il viaggio ai limiti della realtà tra i padiglioni dell'Expo.
"La storia dell'architettura è anzitutto e prevalentemente la storia delle concezioni spaziali" scrive Zevi ("Saper Vedere l'Architettura", 1948), ma lo 'spazio puro' non esiste più e forse non è mai esistito.
E se la 'sostanza architettonica' fosse oggi la 'forma esteriore' ?
Commento
13618
di vilma torselli
del 11/05/2015
relativo all'articolo
Il padiglione italiano di Expo 2015
di
Sandro Lazier
Indubbiamente, come suggerisce Vito Corte, sarebbe meglio verificare sul posto, scoprendo che, da altre angolazioni, il volume è decisamente meno goffo, laddove squarci vetrati sembrano voler liberare una seconda pelle, lucida e trasparente, dall’intrico di sovrapposizioni che ne costituiscono il confine e l’interfaccia con l’esterno.
Di grande suggestione percettiva gli interni, dove una sorta di entropia architettonica fa venire in mente la versione brutalista di un Calatrava o certe sperimentazioni sull’involucro di Herzog & de Mueuron.
Nel bene e nel male, un’architettura frutto di una ‘mente estesa’ in sintonia con la nostra natura biologica che aspira ad integrare dati emozionali, sensoriali, culturali, sociali secondo un principio di correlazione totale, tracciando la via per un post-decostruttivismo prossimo venturo che già fa apparire obsoleti i scintillanti ghirigori barocchi di Gehry e le cervellotiche architetture diagrammatiche di Hadid.
Quanto all'albero della vita, lo vedrei perfetto per la piazza principale di Dubai.
11/5/2015 - Sandro Lazier risponde a vilma torselli
La mia critica, Vilma, riguarda il come, non il cosa. Ed è il come questa architettura è stata espressa, in forma del tutto scenografica, che mi fa dubitare della sua capacità di superare quella che molti considerano la deriva decostruttivista. Infatti, credo, se si ha intenzione di generare nuovi linguaggi, questi non possano che procedere da una rinnovata scrittura, la quale non può essere limitata alla sola pelle dell’edificio ma deve coinvolgere la sua struttura. Né Gehry, né Hadid hanno mai concesso troppo all’epidermide. Discorso diverso per Calatrava che, nella sua ripetitività rimane, a mio parere, un neoclassico. Le strutture di Gehry e Hadid, se vogliamo, nel loro delirio drammaticamente espresso, urlano a partire da dentro; non sono espressioni di facciata su un fisico compassato e indifferente, pronto, se ce ne fosse necessità, a cambiare la propria pelle e il proprio destino. Insomma, una struttura buona per tutte le stagioni con su la maschera di circostanza. Siamo in pieno melodramma.
Ma forse sta qui tutta l’italianità.
Commento
13617
di scandellari
del 10/05/2015
relativo all'articolo
Il padiglione italiano di Expo 2015
di
Sandro Lazier
Articolo condivisibile in ogni sua parte. Una critica elegante, nel voler tralasciare i costi ma non la goffaggine del manufatto, che offende la sensibilità di Lazier e non suscita emozioni, come dovrebbe fare l'architettura quando è poesia, invece il padiglione italiano, sotto la pelle decorativa, ha un malcelato e "bulimico metrocubismo".
Geniale l'albero della vita luminoso e l'idea del castro e del decumano con la Piazza Italia all'incrocio.
Commento
13616
di Vito corte
del 10/05/2015
relativo all'articolo
Il padiglione italiano di Expo 2015
di
Sandro Lazier
Sono sostanzialmente d'accordo anche se mi riservo di andare e verificare sul posto. Le foto spesso ingannano (ma ancor più spesso ingannano a favore dell'opera...).
Aggiungo che siamo al punto che dire queste cose, che non da male a nessuno e anzi farebbe bene a molti, suona stonato mentre fare 'ooooh' ammirati davanti a opere siffatte (e siffatte storie che stanno dietro queste opere) fa star nella cerchia della tendenza. Nel giro.
Commento
13615
di vilma torselli
del 08/05/2015
relativo all'articolo
Rem Koolhaas, Fondazione Prada a Milano
di
Sandro Lazier
Rem Koolhaas mi ha sempre indotto qualche perplessità, del tipo "ci sei o ci fai?", alla lunga però ho finito per riconoscergli una onestà intellettuale ignota a molte archistar contemporanee.
Dice del suo gruppo "abbiamo abbracciato il tema della conservazione", ironia, astuzia, disimpegno, ma anche umiltà, rispetto, amore e magari un po' di nostalgia.
E dice "Dobbiamo preservare la storia", un racconto corale fatto da tutti, architetti compresi, l'antica Roma è meravigliosa, più che mai oggi "la gente vuole vivere in edifici con una storia".
C'è più di un eco di Marc Augé, di Zygmunt Bauman, il seguito di quanto già dichiarato nella veste di curatore della passata biennale di architettura di Venezia 'Fundamentals': "si concentrerà sulla storia - sugli inevitabili elementi di tutta l'architettura utilizzati da ogni architetto, in ogni tempo e in ogni luogo", la modernizzazione come percorso secolare senza soluzione di continuità, che vuol dire anche recupero, riconversione, riutilizzo.
Un percorso lungo il quale l'Italia è un paese 'fondamentale'.
Può essere una conferma?
Commento
13598
di Vilma torselli
del 24/04/2015
relativo all'articolo
Metrocubismo in salsa verde
di
Sandro Lazier
Il confronto faccia a faccia con al mole antonelliana e quello a distanza con le cime spigolose delle alpi suggerivano, in effetti, il tema di un dialogo che non c'è.
Non si capisce perchè l'ecosostenibilità debba necessariamente esprimersi in uno "scatolone vetrato", specie se il pensiero va al grattacielo di un'altra banca, la Norddeutsche Landesbank ad Hannover, a firma di Günter Behnisch, esempio di controllo sugli aspetti tecnologici, impiantistici, strutturali e funzionali che già nel lontano 2002 poneva al centro della progettazione una gestione intelligente delle disponibilità energetiche nel rispetto dell'ecologia e dell'inquinamento ambientale: l'effetto camino per una ventilazione naturale, l'isolamento della facciata a doppia pelle, il raffreddamento tramite un serbatoio che ottimizza i consumi d'acqua, alette esterne per direzionare la luce naturale e specchi eliostatici per l'energia solare, migliaia di diodi inseriti nel cristallo stratificato delle facciate per l'illuminazione notturna a basso costo......... il tutto senza rinunciare ad un segno architettonico forte, visionario, espressionista come si addice a quella cultura.
A Torino, mi pare che Piano, spesso sospeso tra minimalismo high-tech e intellettualismo qualunquista, non si sia staccato dal suo target, realizzando un'architettura anonima e un po' vecchiotta, ad 'effetto ferraglia' come già alle origini il suo Beaubourg, che però almeno cercava un confronto con la tipologia costruttiva delle demolite Halles e della tour Eiffel (credo!).
Commento
13537
di giorgio de luca
del 12/02/2015
relativo all'articolo
C'è un seguito alle invarianti di Bruno Zevi?
di
Franz Falanga
Salve, segnalo nel mio blog una serie di post dedicato al tema delle invarianti in architettura.
A partire dalle sette di Bruno Zevi, il professore e architetto Franz Falanga ha elaborato e approfondito la teoria delle invarianti
http://gdltrace.blogspot.it/search/label/invarianti%20architettura
Commento
13340
di renzo marrucci
del 01/11/2014
relativo all'articolo
Il linguaggio dell'architettura
di
Sandro Lazier
Non è una questione di palle ma di equilibrio personale , come dire di natura.
Personalmente lo credo e lo vivo. Ho sempre detto quello che pensavo e pagare è normale ... a questo mondo si pagano l'onestà e la franchezza perché è diventata un lusso che pochi possono permettersi. La lealtà è poi una gran cazzata che ti consente di prendere bastonate al limite della sopportazione e anzi occorre, fa bene all'intestardimento... e alla purificazione dell'anima... ma non del corpo beninteso...ti possono venire un cancro oppure ipertensione e mal di cuore...
Milano,1/11/2014
Commento
13309
di Augusta vecchi
del 13/09/2014
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
Prima volta a Gibellina "nuova".....come non rispondere all'indignazione di "vergognamoci tutti".
Una calda giornata di settembre,l'impossibilità di ricevere informazioni di fronte ad un deserto totale.
Il primo pensiero di fronte alla desolazione circostante é la validità dell'idea che ha messo in moto il progetto originale......forse sbagliato e velleitario in origine.
Tempi e speculazione hanno fatto il resto,una città morta prima di essere nata.
Abbiamo lasciato il paese con un senso di sgomento e di frustrazione per come vengono utilizzati i pubblici denari ed uscendo due patetiche peripatetiche ,immigrate da qualche paese africano,aspettavano invano possibili clienti.
Commento
12767
di renzo marrucci
del 31/01/2014
relativo all'articolo
Mosco colpisce ancora
di
Sandro Lazier
Al lungo scritto di Lazier faccio due battute soltanto: gli eroi ci sono, ci sono... ma possono essere benissimo sopraffatti così che non paiono degli eroi ma poveri uomini. Finiscono nel tritacarne della politica e della stupidità. Oggi non si muore con la bandiera in pugno, si muore e basta... e qualcuno può anche non saperlo.
Il disegno è più che mai un fondamentale strumento per un architetto ma questo deve essere inteso non alla maniera della forma, cioè di uno strumento per finire e per rappresentare la forma, ossia alla vecchia maniera. Il disegno è il vero modo per capire lo spazio e la spazialità se usato con il cuore e con il cervello. Ci fa vedere le cose nello spazio e impariamo a vederlo, a pensarlo, ad amarlo ... sicchè l'architettura nasce davvero con il cuore dell'uomo e porta amore... nella città.
La mancanza dell'insegnamento alto del disegno nelle scuole italiane ha interrotto, cioè non ha favorito lo sviluppo di una maniera di pensare l'architettura con il cuore e con il cervello. Viene purtroppo capito ed insegnato al modo vecchio e accademico... e non va bene neanche per la pittura... si usa sempre alla stessa maniera ottocentesca... in modo acritico e piatto, e allora non serve a nulla e va bene anche il solo computer che di fatto sostituisce ma non sostituisce proprio nulla e aumenta il baratro....
Dispiace fermarmi ma credo che questi due punti siano eccezionalmente importanti. grazie Lazier...
Commento 14760 di Alessandro D'Aloia
del 30/01/2019
relativo all'articolo Sui concorsi di architettura
di Sandro Lazier
Se si sostiene l'auspicabile abolizione dell'anonimato, il passo successivo è l'abolizione della giuria, dato che questa pone il problema (probabilmente insormontabile) della propria competenza, e la sua sostituzione con la giuria fatta dai concorrenti stessi, certamente i soggetti che avendo lavorato al caso specifico sono i più qualificati ad esprimersi sul progetto più meritevole. Come può funzionare? Semplicemente in base alla regola per cui ogni gruppo progettuale sceglie la migliore proposta (o le migliori), al di là della propria. Ciò è senz'altro possibile se la partecipazione non è più anonima. Si forma ugualmente una classifica e i progettisti sono spinti ad esercitare anche un ruolo da critici dell'architettura, in quanto conoscitori e quindi esperti della materia.
Se si pensa, per fare un paragone, che non accade mai di chiamare a giudicare l'operato di un medico, o di un'equipe medica, chi non ha competenze mediche, non si capisce perché l'operato dei progettisti possa essere giudicato da chi non progetta. Il problema dell'architettura oggi è legato soprattutto alla quasi assoluta mancanza di una committenza all'altezza delle possibilità che la nostra epoca mette a disposizione sia in termini di tecnica che in termini di competenze. Allora per dare una possibilità all'architettura è necessario dare più fiducia agli architetti e probabilmente ripensare dalle fondamenta il codice degli appalti non solo per ciò che riguarda i concorsi ovviamente. Il problema della formazione delle giurie è lo stesso delle commissioni che giudicano le migliorie proposte in sede di gara d'appalto, processo, in generale, grottesco in cui il progetto da appaltare deve essere "migliorato" magari stravolgendo le scelte del progettista, ammesso che questi abbia potuto davvero progettare...